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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 52°/2008

Discorso alla città di Cernusco sul Naviglio
di don Luigi Caldera

 

Signor Sindaco,
Signor Presidente del consiglio comunale,
Signori consiglieri,
Signori assessori,
Carissimi Cernuschesi,

 

Sono onorato di essere qui questo pomeriggio e ringrazio la vostra benevolenza.

Quando mi è stato chiesto di venire qui, ho ritenuto opportuno farlo come gesto di stima e di rispetto verso le istituzioni e per l’affetto che vivo nei confronti di questa città, ben sapendo anche i rischi a cui mi esponevo.

“Guai a voi quando tutti diranno bene di voi!”: questa minaccia evangelica non mi ha mai riguardato in questi quattordici anni, perché, alla luce del sole o nei corridoi di questo o di altri palazzi, di volta in volta c’è sempre stato chi me ne ha messo al riparo. E lo ringrazio.

 

Ancora una volta, anche in questa sede così solenne, posso garantire che ho sempre cercato di ispirarmi a due criteri:

-         la collaborazione leale con chi ha avuto dai cittadini l’autorità di gestire la cosa pubblica a Cernusco sul Naviglio alla ricerca del bene di tutti;

-         l’amicizia offerta alle persone che hanno ricoperto tali ruoli per le ricadute positive che questo poteva avere sul primo criterio e perché  (non mi stancherò mai di dirlo) queste persone rischiano di essere sole (come chiunque occupa posti di questo tipo, prevosto compreso).

 

Sono sicuro di aver preso in considerazione qualunque richiesta di incontro o di  iniziativa

e questo mi ha esposto a rischi che ho corso in  modo consapevole, ma assolutamente mai andando contro qualcuno: le porte della casa parrocchiale hanno visto l’accesso di chiunque ne abbia fatto richiesta.

Ho sempre cercato di muovermi in un contesto di Chiesa.

 

 La Chiesa si sente chiamata in causa quando, in qualsiasi sede e a qualunque livello, sono in gioco importanti valori etico-civili o al contrario pericolosi disvalori, come gli egoismi che, in vari modi e sostenuti da ragioni anche legittime, giungono a mobilitare e strumentalizzare sentimenti e umori che tendono al ripiegamento su di sé e alla chiusura alla solidarietà. La Chiesa, nel suo impegno educativo, si adopera per forgiare coscien­ze, mentalità, atteggiamenti conformi al bene comune con­creto e a una convivenza umana e civile informate a giustizia e carità.

Nel fare ciò la Chiesa promuove criteri di giudizio e di comportamento politici che si ispirano ad atteggiamenti come la razionalità, la concretezza, l'integrazione, la responsabilità, la legalità, il metodo della libertà.

Mi limito a chiosare qualcuno di questi criteri del giudizio e di comportamento politico oggi.

1. La razionalità e l'oggettività - La prima buona regola è quella di preservare mente lucida, nervi saldi, autonomia di giudizio, attenzione ai dati, rifiuto dunque di ogni forma di demagogia e di populismo.

2. Dalla seria razionalità e oggettività nasce la coscienza della complessità e perciò il rifiuto di soluzioni semplicistiche o miracolistiche. Oggi è infatti necessario mettere in moti processi che domandano l'apporto convergente dì molteplici soggetti e che dunque esigono tempo e gradualità.

3. La coscienza della complessità non va disgiunta da una richiesta permanente di concretezza:

le ricette, le formule magiche, gli slogan tradiscono il vuoto di veri progetti.

4. Questa concretezza, per essere tale, deve essere il senso dell'integrazione e della solidarietà tra gruppi sociali e aree territoriali. Non possono quindi essere accettati modelli culturali o istituzionali che producono o sanzionano l'esclusione di gruppi sociali o di aree territoriali. La Chiesa, per sua natura e missione, non può che favorire un processo di integrazione tra uomini, popoli e culture.

5. La Chiesa promuove inoltre in politica il principio di responsabilità, che indica l'obbligo per ciascuno, ma prima di tutto per i leaders e le classi dirigenti, di prevedere, calcolare e rispon­dere - moralmente e politicamente - delle conseguenze dei propri atti e delle proprie parole.

6. Il valore della legalità. La Chie­sa, pur così sensibile alle ragioni incoercibili della coscienza, raccomanda l'osservanza della legge giusta. Essa esprime il valore del vincolo comunitario e il rispetto dovuto all'autorità e alle istituzioni legittime.

7. Il metodo della libertà, all'esterno e all'interno dei partiti. Esso fa tutt'uno col diritto al dissenso politico espresso demo­craticamente.

 

Senza avere l’ambizione di inventare nulla al riguardo, ma mutuando per la nostra città quanto è stato già proposto per altre realtà locali, riprendo e provo a sfogliare un vocabolario per un alfabeto minimo in cui si riassume la tutela e la promozione della dignità della persona umana e il bene comune da servire. Che sono poi i due pilastri su cui si dovrebbe fondare l’impegno politico di chi è eletto e di chi è chiamato a scegliere i propri rappresentanti. 

Mi permetto di indicare delle parole forti e chiare che dovremmo sempre tenere presenti:

- la  promozione della dignità di ogni donna e di ogni uomo;
- il rispetto della vita, dal concepimento alla morte naturale;
- la famiglia fondata sul matrimonio: architrave e risorsa fondamentale della società civile;
- la solidarietà;
- il lavoro;
-
un nuovo equilibrio nei rapporti tra i poteri dello Stato all'insegna del federalismo solidale;
- l’ambiente:
- l’educazione.

 

In modo più approfondito desidero soffermarmi su alcuni problemi sociali che dovrebbero stare particolarmente a cuore a tutti, non solo ai credenti.

 

La casa è il luogo della comunione familiare, il focolare domestico dove dall'amore vissuto tra marito e moglie nascono i figli e apprendono le abitudini di vita e i valori morali e spirituali fondamentali, che faranno di essi i cittadini di domani.

In casa l'anziano e il malato sperimentano quel clima di vici­nanza e di affetto che aiuta a superare anche i giorni della sofferenza e del declino fisico.

Ma quanti sono purtroppo, coloro che vivono sradicati dal clima di calore umano e di accoglienza tipico della casa! Pensiamo  alle persone sottoposte alla cosid­detta emigrazione economica, alle famiglie sfrattate, a quelle che non riescono a trovare un'abitazione, alla larga schiera degli anziani ai quali le pensioni sociali non permettono di procurarsi un alloggio dignitoso a prezzo equo.

Il diritto all'abitazione non va riconosciuto solo al singolo in quanto soggetto, ma alla famiglia, composta di più persone. La famiglia, quale cellula fondamentale della società, ha pieno titolo a un adeguato alloggio come ambiente di vita, perché le sia resa possibile l'attuazione di una comunione domestica autentica.

La Chiesa riconosce questo diritto basilare e sa di dover coo­perare a che esso sia effettivamente riconosciuto.

I tantissimi fidanzati che in questi anni ho incontrato mi hanno sempre raccontato della loro difficoltà a trovare un alloggio a prezzi moderati in città. Anche nella nostra città ci sono molti che avvertono il disagio provocato dalla mancanza di una casa.

Tutti - singoli, istituzioni (Comune, Regione ...) società (immobiliari, cooperative ...) - devono sentirsi chiamati a rispondere, con adeguate ini­ziative, alle conseguenze negative che la man­canza di alloggi a prezzi equi comporta sul piano individuale, familiare e sociale.

 

L'allungamento della vita (grazie an­che alla scienza e alla medicina) sta portando a un continuo incremento del numero degli anziani: soprattut­to quando attraversano momenti dif­ficili, le famiglie devono dimostrarsi aperte e accoglienti nei loro confronti. Gli an­ziani costituiscono in ogni caso una risorsa da valorizzare. Secondo la Bibbia giungere a un alto numero di anni è un grande do­no del Signore: "È Lui la tua vita e la tua longevità" dice il libro del Deute­ronomio (30,20). Ci sono molte per­sone giunte all'età matura che han­no bisogno di essere aiutate a vive­re il peso degli anni e la malattia.

Vanno elo­giate e incoraggiate tutte le persone che aiutano gli anziani a non sentir­si un peso, a non rinchiudersi nella solitudine, a non scoraggiarsi. La vi­ta dell'uomo è un dono prezioso da amare e difendere in ogni sua fase, anche in presenza di malattie. Ci so­no poi molte persone avanti negli an­ni che vivono questa fase della vita usando benissimo di tutte le oppor­tunità che vengono presentate ad es­se. Anche nella nostra comunità non mancano proposte rivolte a questa fascia d'età che spaziano dalla cul­tura ai viaggi, dai momenti formativi al servizio agli altri. Mi pare impor­tante incoraggiare tutte queste atti­vità e chiedere a tutti gli anziani di mantenere un ruolo attivo per quel che riguarda le relazioni sociali. È giusto che si ritaglino degli spazi per sé, ma sarebbe ancora più impor­tante che imparassero a dedicare un po' di attenzione e tempo ai loro co­etanei in difficoltà. Né si può dimen­ticare il ruolo insostituibile svolto dai nonni nei confronti dei loro nipoti: quante famiglie non saprebbero do­ve sbattere la testa se non ci fosse­ro i nonni!

 

            Invito a mettersi in ascolto delle famiglie, in particolare di quelle maggiormente in difficoltà e, insieme, a farci loro prossimi offrendo segni concreti di nuova speranza.

Anche nelle nostre città e paesi troppi nostri fratelli e sorelle mancano delle condizioni di vita essenziali per un’esistenza dignitosa e capace di un futuro sereno. Sono oppressi dalla precarietà economico-sociale, come la mancanza di lavoro e di casa, e ancor più dalla precarietà familiare dai tanti nomi, come le diverse forme di disagio all’interno della coppia, le fatiche e le carenze educative, l’incomprensione e il conflitto tra le generazioni, le difficoltà e l’insicurezza delle famiglie immigrate, i molteplici problemi legati alla fecondità e all’inserimento nella società, ecc.

Di fronte a queste e ad altre precarietà sociali e familiari deve risvegliarsi in tutti un forte senso di responsabilità, che conduca a realizzare forme vive di solidarietà: una solidarietà che sa vedere e provvedere alle varie necessità in modo concreto ed efficace. Ma anche se necessaria e insostituibile, la solidarietà dei singoli non basta: per risposte adeguate e qualificate, occorrono interventi da parte della comunità come tale, nel contesto di una rete solida che sa collegare tra loro le istituzioni, le forze sociali e il volontariato.

La parrocchie, da parte loro, non possono essere assenti né limitarsi ad essere impegnate in termini minimi in questo sforzo di solidarietà di fronte alle tante forme di precarietà sociale e familiare.

Anche nella nostra Cernusco le situazioni di precarietà familiare sono più diffuse di quanto si possa pensare. Basta non chiudersi in se stessi e fingere che attorno tutto vada bene. Presto ci si accorge così che c’è tanta gente che ha bisogno di essere aiutata.

La precarietà investe poi soprattutto le famiglie extracomunitarie che spesso hanno bisogno di continua assistenza, anche solo per espletare alcune semplici pratiche burocratiche, per le quali però la difficoltà di comprensione della lingua costituisce sovente un ostacolo insuperabile.

Storie di ordinaria precarietà in una cittadina che tende a mostrare solo il volto di un facile e comodo benessere. 

 

Di fronte al problema immigrazione invito tutti ad ascoltare la voce del cuore che ci invita a non avere paura: non siamo di fronte a un'invasione di mostri, ma a persone che hanno qualche problema come tutti, magari un bel po' più sfortunate di noi.

E' evidente che a nessuno fa piacere se qualcuno si introduce a casa sua per ruba­re o se viene scippato: e questi comporta­menti sono ingiustificabili.

Occorre però, ed ecco allora il momento del parlare, che le istituzioni si confronti­no, sapendo con lucidità che questi non possono più essere problemi di un Comune o di un altro, ma che ci vuole la capacità di lavorare insieme perché il pro­blema non sia allontanato, ma sia risolto. Su questo problema bisogna ragiona­re insieme, fidandosi l'uno dell'altro e non cercando di imbrogliarsi l'un l'altro, sul bene comune. Mi si lasci dire che in tutti questi anni (dal primo all’ultimo) ho sempre sentito gli amministratori dei paesi vicini lamentarsi per le nostre assenze.

Il nostro è un bel tempo, è un tempo da amare, un tempo che esalta e racchiude tante diversità chiamate a convivere: que­sto non è possibile se permangono indivi­dualismi e particolarismi.

Il nostro è un tempo in cui si sente come un'offesa insopportabile la violenza e l'abuso sulla persona: ma al valore del rispetto degli altri ci si educa con tempo e fatica e non c'è mai la certezza del valore acquisito.

Il nostro è un tempo in cui potere non può che essere servizio all'uomo senza degene­rare in dominio, passione per l'uomo e non indifferenza.

Il nostro è un tempo in cui ci sono offerte tante opportunità.

E' un tempo da amare senza recinti e senza muri, nella libertà di stabilire relazioni sin­cere con chiunque.

 

Adolescenti e giovani, anche nella nostra città, crescono nutri­ti dall'idea che tutto quello che si riesce a fare è giusto farlo senza nessuna riserva morale o remora sociale, anzi sanno benissimo che nessun grande li potrà rimprove­rare perché lui stesso ha molto di peggio da coprire, di che cosa pos­sono essere accusati? Se si lasciano scappare le occasioni e si sentono perfino dare del fesso, come dargli torto se si danno da fare per emer­gere? Se l'unico modo per farsi nota­re è vivere la sessualità sfruttando le occasioni che capitano, che colpa dargli? Se tutti (politici, economisti, commercianti) si lamentano del calo dei consumi, perché non essere un po' creativi: che sarà mai qualche foto se poi posso comprarmi quegli splendidi pantaloni già accurata­mente strappati nei punti giusti che ti fanno guardare da tutti?

C'è, c'è eccome la responsabilità di ciascuno, ma per ragazze e ragaz­zi in età formativa è indispensabile che ci sia accanto a loro la presen­za educativa degli adulti. Già: dove sono gli adulti? Dove sono gli adulti col coraggio di proporre delle indi­cazioni per il bene della persona? Dove sono gli adulti capaci di fare proposte alternative rispetto all'an­dazzo dominante? Si ha paura a svolgere un ruolo educativo, con tutta la fatica che esso comporta: si è totalmente assorbiti dallo sbarca­re il lunario o dall'imperativo di fare sempre più soldi, si è tesi unicamente a realizzare le proprie voglie, senza chiedersi mai che tipo di persona, di vita, di relazione con gli altri si vuole impostare. Si fanno sacrifici, ma solo per raggiungere gli obiettivi materiali che ci si propone. Neppure gli adulti sono capaci di orientarsi nella scelta tra il bene e il male, scegliendo il bene e rifiutando il male: si va sempre nelle direzione del piacere effimero e dell'ottenere vantaggi immediati.

I grandi educatori di oggi sono gli strumenti di comunicazione: e qui il discorso si fa drammatico. Che tipo di educazione propone una trasmis­sione dove i ragazzi si permettono di mettere in discussione in modo maleducato coloro che dovrebbero essere gli insegnanti e ostentano di­sprezzo per le loro valutazioni? Che idea del rapporto uomo-donna, quale valore della persona viene fat­to passare da trasmissioni che per ore e ore propongono di scegliere l'uomo o la donna della propria vita come se si fosse a un supermercato o ad una scelta su un catalogo illu­strato?

Abbiamo perso la capacità critica di valutare le cose, il gusto della fatica di educare.

Bisogna tornare a proporre modelli positivi: e qui la famiglia, innanzitutto, e tut­te le altre agenzie educative (scuola, oratorio, società civile, mezzi di co­municazione...) devono fare la loro parte.

È urgente che l'educazione dei ragazzi e delle ragazze parta da un'al­ta concezione di sé: solo se ci si stima, se ci si considera un bene prezioso e importante si impara a rispettarsi, a rispettare la dignità degli altri e a farsi rispettare.

Solo una vera alleanza tra tutti coloro che hanno a cuore l’educazione integrale delle nuove generazioni può aiutare le diverse agenzie educative a svolgere bene il loro ruolo. Invito proprio a parlarne e a fare qualcosa in questa direzione.

 

Senza la pretesa di fare un discorso esaustivo, accenno ora ad alcune caratteristiche della cul­tura in cui siamo immersi

Facciamo una fatica terribile a vivere le relazioni a qualunque livello, dai rap­porti parentali alle amici­zie, dai rapporti professionali a quelli di buon vicinato. Una delle cause è che abbiamo dimenticato di essere persone, cioè fatte per l'incontro con gli altri, non per mettere al centro di tutto sé stessi e le proprie voglie. L'individuo la fa da padrone …

L'altro, chiunque sia, ci fa paura. Noi ci siamo costruiti un nostro modo di essere, di vivere, di comportarci: chiun­que si permetta di mettere in discussio­ne questo deve essere respinto. Incredibilmente spesso il primo altro che si rifiuta è il figlio in arrivo: sono troppi, decisamente troppi, i bambini che non vengono fatti nascere.

I dati di qualche anno fa parlavano di un aborto ogni due nati nel nostro Ospedale: a che cosa educhiamo, quale il livello di rispetto della vita se verso il più debole  e indifeso degli esseri, quello che non può parlare e non ha organizzazioni che lo difendano, si mette in campo solo la disponibilità del volontariato?

Altro rifiuto ingiustificabile è quello verso gli stranieri in generale e in particolare verso chi è in difficoltà.

A noi spetta costruire una cultura del­l'accoglienza e dell'incontro anche con coloro con cui si fa fatica, perché questo è l'unico modo per far progredire la civiltà. E si badi bene che non tiro nep­pure in ballo i valori cristiani.

Ai genitori dei bambini della Prima Comunione, in tutti questi anni, ho sempre chiesto di dare ai loro figli meno cose e più valori.

 

Non mi nascondo che in alcune occasioni si sia parlato di "forte ingerenza politica" della parrocchia nella vita della nostra città.

Mi domando: perché chiunque sia al potere quan­do incrocia punti di vista non collimanti con i suoi usa que­ste espressioni? Le comunità cristiane hanno solo il diritto di stare zitte? Non mi sembra che questo sia da Paese democratico. Ecco allora perché ricordo a tutti alcune frasi di uno dei documenti più importanti del Concilio ecumenico Vaticano II, intitolato "La Chiesa nel mondo contempora­neo" (Gaudium et Spes) del 7 dicembre 1965:

"La Chiesa in nessuna maniera si confonde con la comu­nità politica e non è legata ad alcun sistema politico. È insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascen­dente della persona umana. La comunità politica e la Chie­sa sono indipendenti e autonome una dall'altra nel proprio campo. Tutte due, anche se a titolo diverso, sono a servi­zio della vocazione personale e sociale delle stesse perso­ne umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a van­taggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro.

Ma sempre e dappertutto, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la sua dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomi­ni e dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime (n. 76)”

 

Riallacciandomi ad un intervento dello scorso anno del nostro Arcivescovo - nell’ormai tradizionale appuntamento annuale con gli amministratori locali delle città e paesi della diocesi -  invito tutti a porre attenzione sulla comunità civile e sulla sua identità.

In  concreto, sull’importanza che nessuno nelle nostre comunità si senta estraneo, straniero. Non c’è dubbio che su una simile questione l’apporto di voi amministratori locali è fondamentale, perché è nelle vostre mani, nella vostra intelligenza e nel vostro cuore la possibilità di costruire una società che non sia un incontro casuale tra individui, ma una comunità.

Quale fisionomia immaginiamo e progettiamo per le nostre città e per i nostri paesi? Non corriamo il rischio di limitarci ad una difesa verbale delle nostre origini, a rimarcare la differenza tra nord e sud, a sottolineare la grande diversità tra culture e religioni? Tutto questo però suscita e alimenta solo l’essere contro, la diffidenza reciproca, la chiusura. Non genera accoglienza, convivenza serena, solidarietà di vita, condivisione di esperienza. Eppure oggi i cittadini hanno bisogno di fiducia, di speranza: di poter guardare al futuro con serenità.

Per  creare questo clima, c’è necessità di una politica lungimirante e forte che sappia capire, interpretare, scegliere di conseguenza, aiutare a superare le paure, la frenesia dell’isolamento e dell’individualismo, che apra quindi all’accoglienza e ad un progetto sociale nuovo, che abbia radici profonde nel passato, ma sappia aprirsi al futuro; che riesca a tener conto delle paure, non chiudendo gli orizzonti dei cittadini, ma aprendoli.

Occorre una grande politica, anche quando si tratta di amministrazione locale: e la grande politica è quella che nutre l’ambizione di guardare lontano, se fosse possibile, oltre l’orizzonte. E’ necessario quindi che tutti non pensino solo al loro piccolo spazio. E gli amministratori, per primi, non possono pensare solo alle loro piccole realtà. Nessuna realtà può essere considerata svincolata dal resto, sciolta da ogni legame.

So che è già difficile occuparsi del singolo Comune, tuttavia è necessario uno sforzo per pensare insieme, per decidere insieme, per dare corso insieme a un progetto significativo per la convivenza umana, qui, nei nostri territori, ed ora, in questo tempo. Ci attende una grande sfida: quella di uscire dalla mediocrità di una politica che asseconda e non guida, rimane ferma e non traccia vie nuove, sopporta un futuro che accetta solo nella sua inevitabile casualità, proprio perché lontano e fuori da ogni riflessione e da ogni progetto.

Si rende necessario un progetto d’insieme per il quale ciascuna comunità è chiamata in causa, deve essere pronta a giocarsi qualcosa, a mettersi in discussione. Non si può sperare sempre che tocchi a qualcun altro!

Bisogna saper costruire una nuova e diversa convivenza all’interno delle nostre comunità civili. Una convivenza che dica apertura e stima reciproca, attenzione e condivisione, e che sappia conservare con cura le ricchezze antiche e insieme aprirsi alle cose nuove sviluppando con intelligenza e pazienza il necessario processo di integrazione e di condivisione di quanto le culture hanno prodotto.

Un compito che è affidato alla responsabilità e all’impegno di tutti, ma in particolare a coloro che sono impegnati in politica. Ai quali è chiesta la capacità di scelte coraggiose, lungimiranti e tempestive, di essere al servizio dei rapporti tra gli uomini, di sapersi scambiare reciprocamente, servizi, aiuti, doveri, di promuovere il dialogo, e infine recuperare l’idea e il valore della partecipazione.

 

Signor Sindaco,

mi avvio alla conclusione esortando coloro che scelgono di fare politica a volare alto, a progettare sui valori, soprattutto a proporre ai giovani qualcosa per cui valga la pena di entusiasmarsi. La vera emergenza è quella educativa (senza che gli altri problemi vengano sottovalutati, si capisce: anzi, esigono risposte serie ed efficaci): nella nostra cultura non è Dio che è in crisi, non è la Chiesa ad essere in crisi (essa è chiamata ad essere granellino di senape, lievito! E dirlo a Cernusco fa una certa impressione…), ma è l’uomo che non sa più chi è e che cosa vuole, in che direzione cammina. Manca una visione dell’uomo, un’antropologia e un’antropologia senza Dio è dimezzata, è un impoverimento per la persona.: l’assoluto è ciò che dà fondamento e senso all’uomo. Altrimenti si va verso il trionfo del relativismo, cancro mortale della nostra cultura. Il dovere di educare si oppone all’avanzare di una cultura individualistica radical-borghese dove ciascuno si crea i valori a suo uso e consumo, facendo di se stesso un idolo. Riconosciamo che i nostri idoli sono falliti o fuorvianti, perché non tengono conto di tutte le dimensioni della persona.

Ho apprezzato molto quanto da Lei detto il 12 ottobre u.s. alla celebrazione di inizio del ministero Pastorale di don Ettore Colombo come responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret: “E si badi: non è compito della democrazia decidere quale sia la verità; essa è competente soltanto per quel che concerne le opinioni. Attraverso l’applicazione del principio maggioritario la democrazia stabilisce quale sia l’orientamento prevalente in una determinata circostanza: quale posizione cioè si trovi a prevalere, non quale sia la vera. In ciò la democrazia non può che essere laica”.

Mi lasci dire che questa consapevolezza espressa in modo così lucido la trovo raramente in giro, parlerei quasi di umiltà di fronte alla verità che deve aiutare soprattutto i giovani a riflettere, a confrontarsi, a discutere nelle sedi dei partiti.

Per quanto riguarda i cattolici , ricordo solo che, nelle diverse appartenenze politiche, sono tenuti a esprimere la loro sensibilità comunionale e a preservare dall’irrigidimento contrapposto.  Il Cardinal Tettamanzi al Convegno della Chiesa italiana a Verona nel 2006 ebbe modo di affermare che è meglio essere cristiani senza dirlo che dirsi cristiani senza esserlo.

 

Mi sia consentito, infine, di formulare in questa sede i miei auguri (ma penso di interpretare il pensiero di tutti) in occasione del suo compleanno che ricorre oggi.

A tutti l’augurio che Natale sia Gesù, non le renne con le slitte, i babbi natale, le luminarie e i buoni sentimenti: Natale è Gesù!

 

Vi ringrazio per la pazienza e lunedì chiederò la residenza al Sindaco di Cesano Boscone.

Auguri a tutti. 

 

Cernusco sul Naviglio, 20 dicembre 2008
Palazzo comunale, sala consiliare: “Incontro con la città”

 

52°/2008  Parole ed emozioni di una domenica indimenticabile
> Il saluto del Sindaco, Eugenio Comincini

> Il discorso alla città di don Luigi Caldera
> Alcuni commenti a caldo
> Il saluto di don Ettore Colombo
> L'omelia nella solenne concelebrazione di domenica 21

 

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