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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 49°/2008 > Allegati

«La nostra è una società che non è più capace di guardare la realtà»

 

Lo scorso  25 novembre, Eluana ha compiuto 38 anni. Per l’occasione, l’Agenzia SIR (agenzia di informazione dei settimanali cattolici, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana) ha pubblicato un’intervista con Giuseppe Savagnone, docente di storia e di filosofia.

Che tipo di "cultura" c'è dietro il dibattito sulla vicenda di Eluana Englaro?
"A monte del dibattito sulla vicenda di Eluana - il cui tragico effetto si profila come un omicidio - c'è il fatto che si scambia la libertà con l'autodeterminazione. Libertà, in questa accezione, consiste nel fare ciò che si desidera, obbedendo solo a se stessi e alle proprie motivazioni. Si tratta di un concetto discutibilissimo, alla base del quale sta la filosofia dell'individualismo assoluto: io mi faccio i fatti miei, che non riguardano nessun altro. Ma la libertà non è in sé un valore, lo diventa solo in riferimento a ciò che si fa: non è un bene da gestire in sé, è rivolto sempre a qualcosa di vero e di valido. Si sceglie sempre qualcosa. La libertà come autodeterminazione, in altre parole, assolutizza la scelta come tale, mentre il vero senso della libertà consiste nell'aprirsi a un orizzonte di bene, a qualcosa che vale, e che proprio perché vale coinvolge sempre anche gli altri".

Libertà, dunque, come responsabilità?
"Tutti noi siamo responsabili nei confronti degli altri, non perché è un principio astratto, ma perché è la vita che ce lo dimostra: qualunque nostra scelta coinvolge anche gli altri. Nessuno, quindi, ha il diritto di dire: «Faccio della mia vita quello che voglio». Al contrario, deve dire: «Faccio della mia vita quello che è bene». Eluana non è messa in condizione di scegliere della sua vita: le sue presunte volontà sono talmente aleatorie, che non verrebbero nemmeno prese in considerazione in una vicenda legata a un'eredità testamentaria. L'accertamento delle sue volontà, in pratica, è un accertamento ideale: Eluana non ha mai scelto di morire".

C' è poi la questione dello "stato vegetativo persistente"...
"A questo proposito, occorre notare che si dà per buona la famosa affermazione secondo cui si è persona se si è coscienti: ma l'autocoscienza non è uno stato decisivo. Nello stato vegetativo persistente, la vita cerebrale rimane in funzione, molto più che nello stato di coma. Eluana non è morta: chi lo nega, lo fa sulla base dell'affermazione che non è più persona in quanto non più dotata di autocoscienza. Una discriminazione, questa, assolutamente arbitraria, in base alla quale si opera una distinzione tra persona e non persona, teorizzando l'esistenza di un essere umano che però non sarebbe una persona. Se affidato alla categoria di «autocoscienza in atto» - e non a quella di facoltà, che Eluana possiede - l'essere umano come persona si riduce ad una sorta di semaforo intermittente: un concetto irrazionale e contrario alla realtà, perché sarebbe come dire che quando dormiamo, o siamo svenuti o anestetizzati «non siamo più uomini»... In questo modo, vengono annullate tutte le battaglie per i diritti umani, basate sulla convinzione che l'essere umano va difeso in quanto tale, anche quando si trova nelle condizioni più svantaggiate, come nel caso di Eluana".

Cosa si è "spezzato" nel nostro modo di affrontare la sofferenza?
"La nostra è una società che non è più capace di guardare la realtà: non facciamo che proiettare sull'altro la nostra sofferenza, con il pretesto che «non lo possiamo sopportare». Tutto viene spostato nei termini della percezione soggettiva. Il problema di fondo, allora, è quello di una cultura che distorce il senso dell'essere persona. Spesso perdiamo il senso della realtà, perché la misuriamo solo in funzione delle nostre reazioni. Una persona «ci interessa» solo in relazione a ciò che suscita in noi, non per quello che è".

Come reagire a questa "dis-umanizzazione"?
"Portando avanti - in particolare noi credenti, ma anche ogni uomo che usi la ragione - una «battaglia» che aiuti a formare nelle nuove generazioni un nuovo modo di vedere la persona umana. È spaventoso e agghiacciante, ad esempio, che quattro giovani incensurati e con nessun problema particolare alle spalle abbiamo bruciato un barbone, e che ne parlino ridendo: sintomo di una cultura che ha perso le sue coordinate, che non sa più fornire ai giovani punti di riferimento. Di qui l'attualità e l'urgenza della «questione educativa», sollecitata dal Papa e raccolta dalla Chiesa italiana".

 

«Ci hanno tolto Terri, Eluana non riviva quell’orribile agonia»
 

(Ricordiamo che Terri Schiavo, cittadina statunitense, entrò in stato vegetativo nel 1990. Nel 1998 il marito e tutore legale chiese che le fosse staccato il sondino che la teneva in vita. Ad opporsi alla richiesta furono i genitori. Il 18 marzo 2005 venne autorizzato – dopo due precedenti distacchi per due e sei giorni - la rimozione definitiva  del sondino che alimentava Terri. Dopo 14 giorni di agonia Terri morì.)

 

Mary e Robert hanno la voce stanca. È terminato da pochi minuti l’ennesimo colloquio con i genitori di un ragazzo in stato vegetativo, stavolta chiamavano dall’Il­linois. Ogni giorno arrivano decine di chiama­te simili, negli uffici della fondazione dedicata alla loro Terri. E, ironia della sorte, proprio Mary e Robert, che l’hanno vista morire, danno spe­ranza. Sono speranza. Non hanno mai voluto parlare di quegli ultimi giorni: troppo doloroso, e ingiusto. Ma quello che sta accadendo in Italia li tocca sul vivo. Nelle notizie che arrivano dalla Rete, o in qualche telegiornale, rivedono la tragedia che non sono stati capaci di ferma­re. E vogliono lottare affinché quello che è suc­cesso a Terri non capiti ancora.
 

Come avete reagito alla notizia che una trage­dia simile a quella di Terri sta per ripetersi?
Con un dolore indicibile, e tanta rabbia. Spera­vamo che le immagini di quello che era suc­cesso a nostra figlia potessero bastare. Proprio per questo motivo più volte abbiamo chiesto che venissero pubblicate, e che negli ultimi gior­ni della vita di Terri le televisioni, i giornalisti, le persone comuni potessero venire a vederla.
 

Non è andata così, però.
No, infatti. Ci siamo trovati innanzi al parados­so di un notizia che ha fatto il giro del mondo, che è stata sulle prime pagine di tutti i giornali, e in televisione, e questo mentre nessuno ve­deva Terri. Nessuno sapeva esattamente quel­lo che stava accadendo. Eravamo soli. Il suo tu­tore e suo marito, Michael Schiavo, impedì che le si facesse visita.
 

Perché credete che fosse così importante ve­dere Terri?
Soprattutto perché smettessero, tutti, di dire che era uno 'stato vegetativo'.
 

Potete spiegare questo punto?
Chi ha il coraggio di chiamare queste persone 'vegetativi'? La verità è che non si conosceva niente di Terri, così come ci sembra non si co­nosca nulla di Eluana. Chi è ora? Dove guarda? Come cambiano le sue espressioni? Chi vive con queste persone, ora dopo ora, giorno dopo gior­no, impara a capire quando sorridono, quando piangono, quando vogliono essere spostati. Ba­sta essere lì, basta prendersene cura.
 

Nemmeno i giudici che decisero sulla sorte di Terri la videro mai, vero?
Non la videro mai. Decisero di mandare a mor­te una persona che nemmeno conoscevano. Decisero che poteva morire, che non meritava di vivere, decisero persino le sue condizioni cli­niche, dissero che era uno stato vegetativo 'per­manente'. Decisero tutto su Terri, tranne di sa­pere chi era.
 

Spiegatelo ora. Chi era davvero Terri?
Era talmente piena di vita, e talmente deside­rosa di vivere. Era chiaro a tutti che sentisse la nostra presenza. Quando eravamo nella stan­za, le parlavamo, o le stringevamo la mano, gli occhi le diventavano lucidi, le guance si colora­vano. E quanti sorrisi, ci faceva! Adorava scher­zare. Io – parla Robert – ogni giorno mi prepa­ravo decine di barzellette da raccontare, e mi mettevo lì a declamarle, per lei. Il volto le si di­stendeva, poi la fronte si increspava, e poi quel­l’aria soddisfatta: così Terri rideva alle mie bat­tute ».
 

Come avete reagito alla sentenza sulla morte di Terri? Nel vostro caso, a differenza di quello di Eluana, i giudici decidevano contro la vostra volontà di genitori.
Non credo ci sia differenza – risponde Mary –. Non è chi è favorevole o contrario a una sentenza a rendere più o meno grave una decisione co­me quella presa su Terri, o Eluana. Quando un giudice decide sulla morte di una persona si consuma un’ingiustizia as­soluta. E perdiamo tutti.
 

E per lei, Robert?
Quando Terri era piccola, e aveva la febbre, io tornavo presto dal lavoro per por­tarla dal dottore. La portavo dal dottore per curarla, per­ché la mia bambina doveva stare bene. L’ho curata tut­ta la vita, protetta, come vuole la legge naturale che un padre faccia coi suoi fi­gli. E poi la legge degli uo­mini me l’ha portata via. Perché? Nessuno ha rispo­sto ancora a questa do­manda, e nessuno rispon­de a questa domanda nean­che per Eluana: perché?.
 

Qui in Italia forse qualcuno le risponderebbe: perché era troppo malata.
Perché era troppo malata? Avremmo potuto cu­rarla: avevamo contattato i medici più esperti in questo campo. Perché era troppo oneroso mantenerla in vita? L’avremmo portata a casa con noi, ce ne saremmo presi cura, proprio co­me sappiamo che fanno alcune suore per E­luana. Perché qualcuno non considera quella vita? Avremmo potuto provare che lo è.
 

Vostra figlia è rimasta senza cibo, né acqua, per 14 giorni.
Sono stati giorni orribili – parla solo Robert –. Ab­biamo assistito allo sgretolarsi delle nostre cer­tezze sulla civiltà del nostro Paese, e su quella umana. Abbiamo rivisto le agonie patite nei campi di concentramento dagli ebrei, come se quella strage, quegli sbagli, non fossero mai sta­ti compiuti. La nostra Terri si è consumata in u­na interminabile agonia, il corpo come quello di uno scheletro, i denti digrignati in una smor­fia… È stata la morte di una sola donna, ma per noi è stato come se il mondo – il mondo che a­veva permesso quella fine – fosse finito.
 

 Cosa vi sentite di dire al padre di Eluana?
 Non c’è giorno in cui non preghiamo per lui. Stiamo raccogliendo centinaia di messaggi e te­lefonate di persone che fanno lo stesso. Prega­re ci sembra tutto quello che possiamo fare in questo momento. Ci sentiamo genitori anche di questa ragazza, e facciamo appello al suo amo­re di padre, e a quello della madre. L’amore è tutto quello che serve, e che basta, per Eluana.

(di Viviana DAloiso, Avvenire, 27 novembre 2008)

 

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