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Poteri forti e sottogoverno inneggiano all'unità d'Italia
o all'immensità della torta che da sempre si spartiscono? 



E' sempre più evidente che le 'celebrazioni' del cento-cinquantenario dell'invasione piemontese rispondono più all'esigenza pubblicitaria delle peggiori lobbies di potere della penisola che cercano di sopravvivere con ogni mezzo nel sottobosco della malapolitica e del malaffare.

Questo anniversario invece avrebbe dovuto essere l'occasione per rivisitare un periodo che la storiografia ufficiale (la storia è sempre scritta dai vincitori e le ragioni dei vinti demistificate per scopi di regime) ha inventato ad uso e consumo dei Savoia prima e, poi, della classe politica di avvoltoi che a loro è seguita. Non vi è differenza tra gli uni e l'altra: l'unico obiettivo di tutti è il controllo delle risorse economiche dei 'sudditi' per il loro esclusivo interesse personale.

Dal primo di gennaio i vari tromboni di regime e vari patrioti a gettone ci ammanniscono, con ipocrisia degna dei migliori guitti della storia del teatro, l'esaltazione di tricolori, immarcescibili ideali e immancabili destini con cui hanno preso per i fondelli i popoli della penisola per 150 anni. Senza parlare dell'orgoglio di essere italiani che esiste solo quando vince la nazionale di calcio. All'estero nessuno dice di essere italiano, ma lombardo, sardo o veneto o pugliese; anche perché all'estero, come forse Napolitano dimentica, da sempre alla parola italiano ci si sente commentare “mafia, spaghetti e mandolino, professionisti del tradimento (l'Italia non ha mai concluso una guerra con gli stessi alleati con i quali l'aveva iniziata..)”. Commenti che, se si attagliano certamente a parte della popolazione, fanno perdere le staffe (eufemismo) a chi con quella parte nulla ha a che vedere, come storia, tradizioni, usi, costumi e cultura.

Non sono riusciti a fare gli italiani nonostante tutti i morti che il delirio di potenza savoiardo ha provocato: guerre di “indipendenza” (rectius di aggressione), guerre mondiali, guerre coloniali, guerre contro il “brigantaggio” (rectius guerre civili contro chi non voleva il giogo savoiardo)... Senza vergogna un politicante dell'ottocento affermò che gli italiani sarebbero nati come popolo solo dal crogiuolo di sangue delle guerre, cioè un caso eclatante di follia omicida. Francesco Crispi scrisse addirittura che “...gli italiani avrebbero dovuto rafforzare il loro spirito nazionale in un bagno di sangue...” E non ce ne hanno risparmiata una: ma nemmeno tutti quei morti, povera carne da macello per i 'padroni del vapore', sono stati utili alla causa.

E che l'attuale cento-cinquantenario sia solo l'occasione per il consueto spreco di soldi pubblici (nostri, non di nessuno, prelevati dalle nostre tasche, con una politica fiscale che in Lombardia e nel Veneto fa rimpiangere amaramente il Lombardo-Veneto degli Asburgo e Radetzkj) è dimostrato anche dal fatto che nessuno storico unitarista ha oggi il coraggio di confrontarsi a viso aperto in un pubblico dibattito con gli storici che hanno ricostruito dalle fonti il cosiddetto “risorgimento” e ne hanno riscritto la storia sulla base di documentazioni inoppugnabili e ampiamente verificabili.

Dove sono finiti gli aedi del risorgimento, i cantori dell'Italia una ed indivisibile, i guitti “sensibili al grido di dolore che da molte parti d'Italia giunge fino a noi”? E dove sono i difensori dei “padri della patria”? Vittorio Emanuele, Mazzini, Garibaldi e Cavour, sulla base dei documenti storici sono molto lontani dagli stereotipi che ci sono stati inculcati (per esempio, secondo Massimo D'Azeglio, il cosiddetto re galantuomo non sarebbe stato nemmeno figlio di Carlo Alberto, ma figlio illegittimo di popolani, sostituito al vero Vittorio Emanuele deceduto in un incendio domestico). Ebbene, questi storiografi di regime, questi leccapiedi del potere costituito, dove saranno quando, in tutto il Nord, gli storici “veri” demoliranno dalle fondamenta il castello di bubbole che loro hanno avallato, per vigliaccheria, opportunismo e ignoranza?

Nessuno di costoro ha quel minimo di dignità personale se non professionale che li induca a difendere, almeno in parte, quelle posizioni che hanno professato per anni?

La nostra piccola ma libera Associazione ha organizzato un Processo al Risorgimento nella Biblioteca di Cernusco sul Naviglio. Nel collegio dell'accusa non mancano gli “avvocati”, mentre quello della difesa, ad oggi 1/2 (il processo è programmato per il 26 febbraio) è desolatamente vuoto. Gli interpellati scantonano: il loro minimo comun denominatore è la codardia... Dovremo assegnare al risorgimento ed ai padri della patria un difensore d'ufficio che si rimetta alla clemenza della corte come in un vecchio film di Sordi? O qualcuno di questi entusiasti risorgimentalisti, in un sussulto di dignità, si farà vivo per partecipare al dibattito?

Domenico Galluzzo
Libera Associazione Carlo Cattaneo e Gianfranco Miglio – Cernusco sul Naviglio


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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