L’intervento del sig. Mauri e la Nota della Settimana n.
22/08, entrambi originate dall’approvazione in Consiglio
Comunale di una mozione presentata dalla Maggioranza,
hanno avuto il grande merito di portare alla luce una
discussione che era finora rimasta confinata nell’ambito
degli addetti ai lavori. Essendo stato di tale proposta
di delibera il relatore, mi sento chiamato ad esprimermi
sull’argomento.
Un’efficace sintesi degli interventi tenuti in Consiglio
è riportata in calce alla Nota già citata; da quella si
evince chiaramente la posizione mia personale e del
gruppo politico che rappresento circa la necessità di
tutelare le convivenze non matrimoniali: Rifondazione
Comunista da sempre è favorevole al riconoscimento dei
diritti, prerogative e facoltà delle persone che fanno
parte delle unioni di fatto ed a questo scopo non
riteniamo dirimente né il genere né l’orientamento
sessuale quanto piuttosto il sistema di relazione fra i
conviventi. Questo punto di vista è antitetico rispetto
a quello esposto dai due contributi che ho richiamato in
apertura e la discussione su questo tema, che è aperta
anche nel Paese, ci porterebbe lontano.
La mia intenzione qui è quella di definire la finalità
dell’atto amministrativo approvato dal Consiglio. Non mi
nascondo dietro un dito: è innegabile che il
provvedimento di applicazione della legge n. 1228/54 e
del DPR n. 223/89 rivesta, nel clima che stiamo vivendo
in Italia, una significativa portata simbolica.
Tuttavia, al di là delle legittime opinioni che si
possono nutrire circa l’opportunità di una misura del
genere, è bene evitare ogni confusione sugli effetti
della stessa perché solo così sarà possibile comprendere
qual è il percorso sin qui compiuto e quale prospettiva
ci attende.
Intanto respingo il collegamento fra piena applicazione
della legge anagrafica e mancanza di rispetto per la
“famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna”; può
anche darsi che qualcuno fra le migliaia di votanti per
Comincini si senta tradito (in fondo succede anche nelle
migliori famiglie e mi scuso per l’ironia di questa
espressione), ma ciò non può certamente ascriversi
all’approvazione della mozione di cui stiamo discutendo
che –ripeto per chiarezza- prevede l’applicazione di una
legge dello Stato che ha più di cinquant’anni e del
relativo decreto attuativo. Aggiungo che sul difficile
compito di crescere dei figli il certificato
dell’anagrafe comunale, per fortuna, non ha alcun
effetto; mi spingo anche più in là, per rilevare come in
genere nemmeno un atto di matrimonio tradizionale
rappresenti da solo una garanzia di saper crescere i
figli nel rispetto di sé stessi, delle altre persone e
dei valori che si intende trasmettere loro.
La sentenza del TAR del Veneto dello scorso anno,
richiamata dalla Nota, non ha inteso mettere in
discussione la competenza comunale circa la piena
applicazione della legge anagrafica; ha invece posto
condizioni sulla predisposizione dei moduli di
attestazione. Di questo abbiamo tenuto conto nel lavoro
preparatorio alla presentazione della mozione,
prevedendo nel dispositivo che la modulistica venga
approntata previa acquisizione dei necessari pareri dei
competenti organi dello Stato.
I punti salienti della Legge sono:
1)
che la relazione fondata
su un legame affettivo costituisce una famiglia
anagrafica;
2)
che la costituzione e le modificazioni di tale famiglia
devono essere registrate all’anagrafe;
3)
che è possibile richiedere all’anagrafe un’attestazione
dell’esistenza e della composizione della famiglia
anagrafica.
L’iscrizione nei registri anagrafici delle famiglie e
delle convivenze non costituisce un vincolo giuridico a
cui si ricollegano effetti propri diversi da quelli
anagrafici, cioè non costituisce una forma
alternativa di matrimonio civile, ma ad essa possono
fare e fanno riferimento il legislatore e gli enti
locali nell’ambito della propria autonomia in varie
occasioni in cui si fa derivare un qualche diritto o
beneficio dall’esistenza di una situazione di fatto
certificabile, nella sua esistenza e nella durata. Non è
condivisibile l’affermazione secondo la quale quasi
tutti quelli che oggi vengono rivendicati come “diritti
negati” ai conviventi –dall’assistenza del partner in
ospedale al subentro nel contratto d’affitto, passando
per le visite in carcere ai permessi lavorativi– sono in
realtà “diritti già tutelati” dalle leggi approvate dal
Parlamento. Al contrario, negli esempi che ho citato nel
mio intervento in Consiglio –e di cui la Nota ha dato
correttamente conto- i diritti o le facoltà riconosciute
possono essere goduti a condizione che si dia prova
dell’esistenza della relazione affettiva di coppia e
tale prova può essere fornita dalla produzione di un
certificato anagrafico. In alcuni casi, come per la
legge 53/2000 che riconosce alla lavoratrice e al
lavoratore il diritto ad un permesso retribuito di tre
giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di
documentata grave infermità del convivente, è la legge
stessa a prevedere che la prova della stabile convivenza
sia data proprio con l’attestazione anagrafica (art. 4).
Quanto alla sollecitazione al Parlamento perché affronti
il tema del riconoscimento giuridico dei diritti, doveri
e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di
fatto, esso rappresenta la logica conseguenza di quanto
emerso a suo tempo nel dibattito consiliare che portò
alla bocciatura della proposta di istituzione del
registro delle unioni civili.
Sulle lezioni che il Partito Democratico dovrebbe
apprendere lascio naturalmente la valutazione ai miei
titolati colleghi. Qui mi limito a segnalare il mio
disagio per l’espressione “zapaterismo etico-sociale”,
usata volutamente in chiave negativa ed abituale
patrimonio di testi che hanno molto da invidiare alla
Nota della Settimana quanto a stile e sobrietà.
Grazie ancora per aver contribuito a portare il
dibattito su questa materia fuori dall’aula consiliare,
con lo stile pacato e civile che solitamente appartiene
agli interventi su questo sito.
Ermes Severgnini
Consigliere Comunale PRC-SE
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