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Barbiana,una storia d’amore 

 

(Sono trascorsi quarant’anni da quel 26 Giugno 1967, quando don Lorenzo Milani veniva sepolto nel  minuscolo cimitero di Barbiana con ai piedi gli scarponi di montagna, come i suoi poveri. Questa mia testimonianza vuole cercare di trasmettere le emozioni che provai la priva volta che andai in quel luogo. Le stesse emozioni che provo oggi, ogni volta che ripercorro quei viottoli sul monte Giovi)

 

…E' tempo d'acqua, di piogge torrenziali e maleducate in quest'estate uggiosa, che sa solo di  fango e di umidità, di brume autunnali improvvise, quasi da novembre inoltrato, che soffiano lungo le case semichiuse in una smorfia d'agonia...E' appena passata un'altra notte d'acqua sui monti dell'  Appennino e il Mugello sta lì sotto con il suo colore di piena; l'alba appena nata segna un sole un po' velato dall'umidità e dalla nebbia della terra... Si lascia il casello di Barberino di Mugello ed è subito Borgo San Lorenzo e Vicchio, le sue rotaie, la sua stazione : di là, l'indicazione di Barbiana, la stessa che i pendolari dovevano vedere, tanti anni fa, dal finestrino del treno che da Firenze portava a Faenza, lungo l'Appennino tosco - emiliano o romagnolo che sia. Il treno saliva e saliva dopo Sesto Fiorentino e Calenzano: le stazioncine di paese, i monti alti, la gente che scendeva – poca - con le sue vite da raccontare nel giro breve di un tragitto, tra fermata e fermata. Lì, alle otto di mattina, ritrovo il nome di Barbiana, la strada per arrivarci... penso al cammino di ragazzi nella notte con un lume in mano tra boschi... penso a questo mio cammino che sale con un po' di strada asfaltata dopo un ponte sul Mugello e ai tornanti che si fanno sempre più brevi tra boschi e prati e abbandoni di case e di casali quando li riesci a vedere.

La strada ora si fa sterrata e ti par quasi di salire verso il nulla... si ritrova qualche tratto d'asfalto, e poi un po' di ghiaia di montagna, ancora brandelli di asfalto e poi più niente, e si sale quasi senza  tornanti, finché, all'improvviso, un tratto alberato ti dice di una presenza di uomini, di questi cipressi a cui sono stati tagliati i rami vecchi e più bassi quasi che stia tutta lì l'estrema volontà di dire che nulla non è completamente morto in un vallone dove tutto è disperso perché tutti se ne sono andati…

e qui, la notte, l'acqua è scesa a lungo ed ora il vapore dell'alba indugia sulle erbe e sulle piante e sui rovi in disordine e in rovina... Si deve scendere di lì, passando da quella breve ansa sotto le querce e i castagni. Poi, d'improvviso, ad una svolta del mio sguardo, la sommità della chiesa e la croce…            

Era quella l'immagine che cercavo - unico punto di riferimento che avevo - perché già vista sulle tante fotografie che i miei libri su don Lorenzo Milani, a volte, mi donavano. La strada scende passando davanti alla chiesetta di S. Andrea ed alla canonica e poi alle due croci, una dell'anno santo del 1900, l'altra, soltanto due aste di ferro incrociate per dirti che è tutta qui la rivelazione del senso ultimo di ogni cosa e di ogni vita... Non c'è più, a delimitare il piccolo sagrato, il muretto di mattoni e di pietre che ancora si vede in una foto dei funerali di don Milani... ora è recente una sorta di spalliera di tronchi e rami d'albero intrecciati... Forse la terra cede, dopo questa notte di acqua, dopo questo abbandono di uomini e cose, dopo questo desolato deserto e cerco il cimitero e il suo piccolo ossario al centro del perimetro come in ogni cimitero di montagna... alla mia destra sta il cipresso delle fotografie accanto alla chiesa... entro per un cancello aperto e scendo una scala malandata di gradini… penso di avviarmi verso il cimitero , che immagino dietro o a lato della chiesa... scendo dalla strada, o sentiero, che mi aveva condotto alle croci, alla chiesa, alla scuola; scendo sempre tra fango e rigagnoli d'acqua... ma mi sto allontanando, forse sto raggiungendo un altro lontano casale e penso che da lì poteva salire dal lavoro dei campi fino alla canonica un Michele o un Francuccio o un qualsiasi Gianni della scuola di Barbiana. Un cartello posto nei pressi della chiesa dalla Regione Toscana ricorda l'antichità e il rilievo giuridico di quella "prioria" di S. Andrea sul territorio circostante, desolato di case e di rupi. Alla fine di quella didascalia, una sola riga per ricordare l'esperienza educativa singolare del priore di Barbiana. In questa desolazione ritrovo, lontane dai miei occhi ma dentro all'anima, le pagine di Lettera a una professoressa, dell'Obbedienza non è più una virtù, della Lettera a don Piero…, quasi sento le parole di don Lorenzo insegnare agli insegnanti ad insegnare, ai deboli a pretendere il rispetto, al clero a gestire il potere spirituale e non quello temporale... A tutti,  insegnare a vivere con gli altri e per gli altri.

Sento don Lorenzo aiutarci a capire la stupidità e l'inutilità di ogni guerra, la vacuità di parole come patria, orgoglio, pregiudizio, razzismo.

A comprendere cosa significa essere con gli ultimi, tra gli ultimi, e dare loro il senso della giustizia e della dignità.

Dovrei intravedere la forma della cappellina mortuaria del cimitero, penso... cerco quella fotografia e guardo giù nell'avvallamento di terra fangosa che scivola tra cespugli d'erba disordinata.                  

Vedo due spioventi di tetto: il cimitero è là, al centro di quel bosco o di quel disordinato interramento

...quando don Milani vi era giunto, alla metà degli anni ’50, non c'era neanche la strada che ho fatto per giungere alla canonica...quando don Milani era priore aveva voluto che i suoi poveri arrangiassero il terreno per poter scendere su qualche impossibile gradino di terra fino ai loro vecchi morti.

La morte qui non è nuda e cruda... la morte qui è solo la morte, la sua solitudine, il suo muto e cieco abbandono. Una nota quasi umana: la porta del cimitero ha una catena che la chiude, ma la puoi aprire perché un piccolo moschettone ne unisce due anelli e tu li puoi sciogliere.... ho quasi la sensazione che qualcuno mi stia aspettando; tra quei rovi e quegli abbandoni, nel silenzio, c'è quasi una voce d'attesa , di speranza... Il cimitero è diviso in due zone:quella a sinistra è un rovinio di lapidi sbrecciate su cui invano si ricerca un nome, uno sguardo, una riga di parola, la presenza di un numero...qui l'erba invade incurante e trionfante nel suo potere... la tomba del priore, bianchissima, va fuori l'ordine dei sepolcri, collocata alla destra nel campo...

Più giù, vicino al cancello, una fossa confinata con assi di legno mi dice di una salma recente... ed è l'unico vero indizio della vita che, per ora, sento in questo luogo...

Priore di Barbiana dal 1954 : questo c’è scritto sulla tomba. Non un segno di più, quasi la morte lo avesse voluto priore per sempre di quel luogo, lì, chiuso, incassato dentro all'Appennino... Lo penso dentro alla terra con i suoi paramenti sacri e i suoi scarponi da montagna, pari ai sui poveri, quasi che il cammino tra i monti non fosse ancora finito e mi soffermo a lungo, commuovendomi, di fronte ai mille e mille messaggi che sono scritti nel librone nella camera mortuaria da quelli che, come me, vengono fin quassù da ogni parte della terra…

Testimonianza incredibile della grandezza di un uomo vissuto in un luogo dimenticato dal mondo.

Barbiana. Don Lorenzo, le sue opere.

"I care"… "Me ne importa"…" Mi sta a cuore tutto quello che mi circonda e che fa soffrire mio fratello in qualunque parte del mondo"…
Ne ero tutto dentro quando a Milano, giovane studente, leggevo quelle pagine come pane e sale e terra e acqua e sole e senso della vita... Penso al grido di quell'uomo, oggi, di fronte alle grandi ingiustizie del mondo e a questa croce, un'altra ancora, di ferro, ficcata dentro a un cippo davanti al cimitero. Metto dentro ad un vaso di fiori appassiti e secchi due steli di campanule di montagna, azzurre come il cielo che ora si sta facendo bianco di luce. Qui ci vorrebbe un cero acceso a testimoniare anch'io di una piccola fede.
Risalgo in disordine la riva scivolosa che porta al cimitero per visitare la canonica, ma è  chiusa, sbarrata… Allora mi rivolgo alla terra verso i monti dove intravedo un piccolo canale di piscina abbandonata e secca e vuota. Vedo il pergolato, e, forse, ma non mi sembra più, il tavolo di lavoro... Ma io voglio vedere, voglio capire perché un uomo abbia voluto farsi seppellire qui a 44 anni con gli scarponi da montagna e i paramenti sacri... il voler bene a quei ragazzi, a quei contadini fuori dal mondo, l'esserne per certi versi innamorato, lui, rampollo di ricchissima famiglia fiorentina, lui che lascia tutto per stare con i poveri tra i poveri…  I raggi e la luce penetrano sempre più tra le ombre del bosco e i riflessi arcobaleno delle piccole gocce della pioggia lasciate dalla notte creano quasi una
cornice irreale a questa storia... quella che mi ritrova sospeso a guardare queste croci, qualche casolare disperso, tra i resti che devi immaginare di ciò che è ancora oggi una chiesetta, una scuola… dei ragazzi... un perduto ed infinito amore... con quegli scarponi da montagna dentro al cuore....

Barbiana. Don Lorenzo.

Devi scendere dentro al deserto e al cuore, nell'attesa e nell'abbandono... devi saper gridare "perché?" qui, tra questi anfratti di monti e di valli, di solitudini inaccessibili, a volte, abbagliate dal sole.
Devi capire la storia "nuda e cruda" passata per questi luoghi, captare le voci nel vento, decifrare i suoni tra gli alberi…
Devi raccontare il meraviglioso messaggio di questa storia… 
La storia di un uomo straordinario, fatta di scarponi da montagna e dall'amore che hai nel cuore...

 

Gabriele Calvanelli
(nato nel Mugello, figlio di contadini)

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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