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ELUCUBRAZIONI ELETTORALI,
OVVERO PASQUINATA CERNUSCHESE

 

“Galoppino mio! Galoppino mio! Perché mi hai abbandonato?”

Un urlo nero squarciò la notte: stille di fresco collante, come vitale linfa, fuoriuscirono copiose, finché un’ulteriore lacerata lo svelse definitivamente dalla sua boriosa ubicazione.

Poi, il silenzio: “al tacito, morir d’un giorno inerte”. 

Strappato, denigrato, deturpato, celato, brutalmente scardinato ed infine abbandonato come cicca di tabacco ai margini delle strade: vita adamantina in questi ultimi mesi a Cernusco sul Naviglio per un manifesto elettorale!

In guisa di sacra reliquia fuoriesco sgargiante dalla tipografia per essere poi esposto alla mercé del volgo, non sempre coeso con il messaggio politico da me palesato. Eppure, la crocifissione in pubblica piazza non è che il prologo di un’esistenza pervasa dalle più truci sofferenze!

Come i procreatori di vita umana disquisiscono sulla nomea del proprio postero, così anche i politichini si infervorano in ardenti diatribe circa l’ambasciata da me effigiata.

“Ludi cartacei”: nulla di più reputava le democratiche elezioni un despota del secolo scorso. Ed io, cari cernuschesi, mi rinvengo totalmente in siffatta perifrasi!

In questi mesi ho visionato il potere non nei personaggi maggiori dei partiti, ma in figure intermedie e minori, che consentano però di mettere in luce una fitta rete di connivenze e solidarietà. Il potere è la macchina dell’artificio, palesato non come l’azione solitaria di un’autorità, ma come segno di costume di una classe sociale.

“A saper maneggiare i manifesti, nessuno ha torto e nessuno ha ragione!” mi sovviene, parafrasando il Manzoni.

Nel gran teatro delle elezioni sono tre, essenzialmente, i personaggi di potere che si sono distinti: il conservatore, il progressista e il dissidente.

Le parole, elaborate, eloquenti, sonore, allusive, diventano un mezzo per controllare la realtà: ed io ne sono il tramite con gli elettori!

Tali parole torneranno a farsi sentire nel silenzio della notte, e diverranno punto saldo di confronto in diatribe e disquisizioni tra gli uni e gli altri.

“La vita è il paragone delle parole”: nelle ultime settimane ho assistito a denunce, querele, turpiloqui e vituperi gratuiti.

Nella comunità cittadina “un piccolo numero di vocaboli diviene il materiale di tanti discorsi”: il moltiplicarsi dei punti di vista fa emergere il valore relativo della parola.

Le parole servono a sostenere con sicurezza le opinioni più disparate: nasce così una babilonia di discorsi tra gli abitanti. Qualcuno, finché può, sceglie il silenzio. Un   baluardo protettivo che gli consenta di non compromettersi con nessuno: se si conceda di parlare, è solo per sfogare il malumore lungamente represso e criticare chi non si regoli come lui. Allora, confondendo le giuste esigenze del popolo con la propria causa personale, a poco a poco si esalta, smarrisce la prudenza e rivive in lui la fiducia nella parola, tanto che arriva a tenere in pubblico un infiammato discorso. L’euforia è destinata però a durare poco: non basta credere in una verità e affermarla a parole, per vederla poi tradursi in fatti concreti.

Possedere la capacità di interpretare i messaggi altrui ed esprimere i propri è un diritto-dovere essenziale, in quanto consente l’integrazione consapevole nella società.

Alla fine, siamo solo “pezzi di carta attaccati alle cantonate”, che fanno paura ai deboli, mentre chi possiede la forza può ridersene.

Tutto ciò ha generato una galleria di tipi umani di pirandelliana reminiscenza: il solerte attacchino, il politicante dalle arringhe pompose e magniloquenti, il galoppino elettorale prodigo nel procacciare voti a giovamento di un determinato partito o candidato, il celere chauffeur di vetuste cariatidi rispolverate per la bagarre amministrativa…

Cari cernuschesi, io da quassù vi osservo tutti: vi vedo correre in ufficio o a scuola la mattina; vi vedo a pranzo, seduti ai tavolini di un bar, “parlare con profondità, di anarchia e di libertà”; vi vedo la sera, “tra un bicchiere di whisky e un caffè, tirare fuori i vostri perché e proporre i vostri farò”…

Vi vedo anche la notte, “parlare con tenacità, di speranze e possibilità”, nonostante qualcuno di voi mi voglia lacerare, imbrattare, addirittura sradicare, reo di essere portatore di fede politica avversa alla sua: non odiatemi, sono solo un messaggero!

Il galoppino elettorale a cui sono stato affidato ha abbandonato da tempo il suo avamposto: la battaglia infuria altrove…

L’alba del giorno dopo “son rimasto io da solo al bar, gli altri sono tutti quanti a casa. E quest’oggi, verso le tre, sono venuti quattro ragazzini. Si son seduti, li vicino a me, con davanti, due coche e due caffè: li sentivo chiacchierare, han deciso di cambiare, tutto questo mondo che non va…”

Cari cernuschesi, ricordatevi sempre che fare politica significa innanzitutto “mettersi al servizio dei cittadini”! La logica si riduce ad analisi del linguaggio, la filosofia non deve elaborare dottrine, ma soltanto tendere al chiarimento delle proposizioni.

Una saggia persona disse: molti eventi della vita sono paragonabili ad un ramo d’albero d’inverno, su cui, dopo una copiosa nevicata, si è posato un bianco manto di migliaia di fiocchi di neve. Quel ramo può permanere così, nel suo stato d’inerzia, per ore, giorni, settimane; ma basta un solo fiocco di neve in più che si posi su di esso per farlo spezzare.

Tutti voi dovete sentirvi come quel fiocco di neve! Dovete convincervi che con il vostro impegno la realtà possa cambiare, e non importa se facciate parte di quelle migliaia di fiocchi di neve che si sono posati sul ramo senza spezzarlo: l’importante è esserci su quel ramo, ed essere convinti che è anche grazie a voi che quel singolo fiocco abbia potuto spezzarlo!

 Marco Magni
CIUSCO 1968


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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