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ORA E SEMPRE RESISTENZA

Cari amici,

celebreremo a giorni il 25 aprila e ricorderemo coloro che sono caduti e che sacrificarono gli anni migliori della loro vita per dare al paese la libertá e la democrazia.

Anche col senno di poi, non ci sono attenuanti per un regime e un’ideologia che mandó milioni di giovani a morire, prima in Africa, esaltati dall’idea di essere gli alfieri della civiltá, poi sui fronti europei, convinti di poter realizzare il sogno di un’Europa libera, distruggendo e saccheggiando. Al culmine della tragedia, milioni di uomini, donne e bambini, appartenenti ad altre etnie e confessioni, furono marchiati e deportati nei campi di concentramento nazisti dove l’industria della morte lavoró alla loro eliminazione.

Furono anni terribili. Il vicino di casa denunciava e condannava alla deportazione il proprio vicino di casa. L’amico d’infanzia diventava il nemico. Il compagno di scuola sparava al compagno di scuola.

Eppure oggi, con la sobrietá e la maturitá che viene dalla distanza temporale dagli avvenimenti, dovremmo trovare il coraggio di dire che la tragedia fu da entrambe le parti. I giovani che allora, irretiti dalla propaganda assordante di quei regimi, morirono indossando la divisa sbagliata, furono in prima linea essi stessi vittime dell’orrore e del terrore fascista.

Cosí oggi, io, figlio e nipote di combattenti partigiani e nipote di un deportato nella Germania nazista, mi chiedo quale senso puň ancora avere la commemorazione del 25 aprile, al di lŕ del ricordo e dell’onore dovuto ai caduti. Quale il monito? Quale il messaggio alle generazioni di oggi e di domani?

Anche se non č questo lo spazio per una analisi dettagliata della situazione internazionale, a nessuno, credo, sfugge la drammaticitá degli eventi attuali.

Non posso fare a meno di riconoscere nella cronaca odierna, gli avvisi di una nuova terribile tragedia che stá per compiersi.

Da anni c’č chi vuole ad ogni costo dividere il mondo nelle categorie di un oriente cattivo che vuole sopraffare un occidente buono.

Le grandi potenze, oggi come allora, stanno posizionando le loro pedine sullo scacchiere internazionale. Migliaia di ragazzi nei loro anni migliori hanno perso la vita nella valle dell’Indokush e nei deserti dell’Iraq. Migliaia di civili hanno perso la vita nei grattacieli di New York, nelle metropolitane di Londra e Madrid e nei mercati di Tel Aviv e Bagdad. Chi fino a pochi anni fa voleva dividere l’Italia, vorrebbe oggi marchiare e deportare milioni di uomini, donne e bambini appartenenti ad altre etnie e confessioni. La macchina della propaganda lavora a pieno ritmo da una parte e dall’altra per vincere la battaglia del consenso.

Prepariamoci al peggio.

Ci saranno nuovi attentati. Si faranno piú frequenti le consultazioni internazionali. Aumenterá la presenza militare nei deserti arabi e persiani mentre comincierá una nuova caccia alle streghe.

Facile farsi trascinare dalla propaganda che vuole tutte le colpe da una parte sola, mentre oggi, come allora, ai massimi livelli dell’industria, della finanza e della politica, i rappresentanti di una parte e dell’altra siedono e mangiano alla stessa tavola.

Allora, quale dovrá essere il nostro compito di eredi degli ideali della resistenza?

Non sono profeta e non so nei dettagli cosa saremo chiamati a fare, ma so di sicuro cosa non faró.

Non denunceró e non condanneró alla deportazione il mio vicino di casa, anche se viene da un altro paese, anche se č clandestino, anche se prega in un modo diverso dal mio.

Non lasceró che il mio amico d’infanzia diventi mio nemico, anche se oggi la pensa in un modo diverso dal mio.

Non spareró al mio compagno di scuola di ieri, anche se domani marcerá nelle file di una schiera militante.

Non lasceró che il seme dell’odio razzista che in questi giorni abbonda sui giornali e sulle TV nazionali, germogli nel mio cuore.

Non mi lasceró abbagliare dai partiti dell’odio e della discriminazione.

Non č molto, il mostro che ci stá di fronte č enorme e non abbiamo a disposizione i mezzi di coloro che della violenza e dell’odio sono professionisti. Eppure non ci deve abbandonare la speranza.

Passeremo parola fra noi, consapevoli che la nostra speranza č piccola, come il seme della senape, “che č il piú piccolo dei semi, ma poi cresce e diventa un albero”.

Ci prenderemo per mano per non perderci di vista, consapevoli di essere “rari nantes in gurgite vasto.”

Faremo sě che la nostra utopia di un uomo migliore passi di mano in mano e di cuore in cuore, come la fiammella che passa di candela in candela senza esaurirsi.

L’errore di un impiegato statale ha fatto crollare in una notte il muro di Berlino e un pastorello adolescente uccise con un sol colpo di fionda un gigante spaventoso sui monti di Israele.

Questa č la nostra speranza, la speranza degli umili, la speranza dei poveri di spirito, forti peró della fede nella promessa che i nemici degli uomini “cadranno nella fossa che essi stessi hanno scavato.”

Stefano Comi


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilitŕ legata al presente comunicato

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