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Quaresima, vincere l’ostentazione

 

Nel Vangelo di Matteo (Mt 6,1-6.16-18) ritornano alcuni temi e passaggi che costituiscono un invito, quest’anno, a vincere l’ostentazione, un male che sembra diffondersi nella nostra società. Il Vangelo ricorda, infatti, di “praticare la giustizia” come un valore in sé, non strumentale ad alcuni fini da raggiungere. Così pure Matteo richiama il valore dell’elemosina/carità come un gesto che ha in sé la ricompensa, anziché attendere una riconoscenza. Ancora. Matteo applica anche alla preghiera l’aspetto della riservatezza, non solo nei luoghi e nelle parole, ma anche nei gesti. Infine, l’evangelista parla del digiuno, della rinuncia come un luogo per recuperare la consapevolezza di essere liberi e non di essere lodati.
Questi quattro luoghi – la giustizia, il dono, la preghiera, il digiuno – sono i luoghi più comuni del vivere nei quali deve emergere uno stile di vita del cristiano, che vince la superbia, l’individualismo, lo spettacolarismo. Proprio dalla Quaresima, ricordando che siamo “polvere”, viene un invito forte e chiaro a vincere l’ostentazione.

L’ostentazione emerge tutte le volte che si sposa il formalismo o il narcisismo, nelle relazioni, nelle parole e nei gesti; lo ritroviamo nella politica, quando lo spettacolo o l’effetto ha più importanza rispetto ai problemi, alla verità delle cose; ricompare ogni volta che vince la prepotenza e l’oppressione; non è distante dai luoghi dell’ingiustizia e dello sfruttamento, che si ripetono e si giustificano ogni giorno; cavalca il pregiudizio e la discriminazione: cerca dei nemici tra le persone, alimenta lo “stigma”; sposa forme “snob” di consumo che si accompagna agli sprechi. Insomma, tutte le volte che si dimenticano il limite, l’alterità, la giustizia nei rapporti con Dio e con l’uomo cresce l’ostentazione, quasi una forma di paura di Dio e dell’altro, la dimenticanza del valore delle relazioni.
Per vincere l’ostentazione occorre anzitutto – è ancora il Vangelo a ricordarlo – ritrovare la paternità di Dio, sentirci a casa in mezzo alle persone, costruire la fraternità “tra cristiani e non cristiani” (Gaudium et Spes 84).

La fraternità cresce quando cresce l’universalismo dei diritti, quando cresce la ricerca del superamento delle disuguaglianze, quando non si accetta lo sfruttamento, quando si ama la città, facendo nostre “le attese della povera gente” (Giorgio La Pira). La fraternità cresce nel dono, nella condivisione che aiuta a superare le differenze, le distanze e accompagna l’incontro, spesso difficile, con chi è nuovo o viene da lontano, con chi fa fatica, con chi soffre, con chi è solo. La fraternità cresce nella preghiera semplice, anche distante dai grandi eventi, con “i mezzi poveri”, con gesti semplici (Vittorio Bachelet).  Nel documento dopo Palermo – “Con il dono della carità dentro la storia” (1996) – i vescovi italiani, delineando un’immagine esemplare di Chiesa, ricordavano, tra i diversi tratti, quello di “una Chiesa che celebra la liturgia con canti festosi e gesti semplici, ma significativi” (n. 2).

La fraternità cresce nel sacrificio, nella capacità di rinunciare come il gesto di chi sa attendere, di chi sa non dare valore assoluto alle cose, di chi conosce il valore della povertà e della gratuità, da costruire con fatica ogni giorno.
La Quaresima di quest’anno diventa allora un percorso, un cammino educativo per ricostruire la fraternità ai piedi della croce, con Maria e Giovanni, ogni venerdì, e che si conclude nella Veglia pasquale, nell’Exultet, nella gioia di aver saputo ritrovare il senso e il valore di ogni cosa, insieme. È un percorso che dalla paura e dalla diffidenza porta all’incontro; è un percorso di nuova “advocacy”, di tutela dei diritti di tutti; è un percorso di lotta alla povertà e di condivisione. È un percorso di carità, sostenuto dalla verità di una Storia guidata, la storia di Gesù, che ritrova il suo valore anche nella contemporaneità. Oggi come ieri. In questa Quaresima.

(Giancarlo Perego, direttore nazionale Migrantes, per Agenzia Sir)

 

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