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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 51°/2007

Commercio: “Salviamo la domenica”

Il Consiglio regionale lombardo, lo scorso 20 novembre, ha approvato una legge che introduce nuove norme per le attività commerciali. A favore del provvedimento ha votato la maggioranza di centrodestra, con la sola astensione di un consigliere di Alleanza Nazionale; contraria tutta l’opposizione.

Nel concreto, la nuova legge stabilisce che i centri commerciali e ipermercati in zone non turistiche possono rimanere aperti 24 domeniche all'anno (oggi possono farlo solo in 8 domeniche più le 4 di dicembre); i centri commerciali e ipermercati in zone turistiche, nei comuni ad alta vocazione turistica, ed entro i 500 metri dalle aree aeroportuali possono tenere aperto tutte le 52 domeniche dell'anno (la nuova legge però dimezza il numero di questi comuni, da 433 a 200); i centri commerciali e ipermercati a Milano possono aprire in 36 domeniche all'anno; i piccoli negozi (con una superficie commerciale inferiore a 250 metri quadrati) possono rimanere aperti tutte le domeniche (oggi possono farlo solo nei comuni entro i 2000 abitanti); per gli outlet, apertura tutte le domeniche.

Delle perplessità suscitate dalla nuova normativa regionale si sono fatti portavoce gli Uffici diocesani lombardi di Pastorale del lavoro che hanno elaborato e diffuso un documento, il cui testo integrale si può consultare su www.chiesamilano.it.

Innanzitutto, gli estensori richiamano la «tradizionale laboriosità delle genti di Lombardia, tratto caratteristico che da sempre contribuisce a dare forma a quello “stile di vita” lombardo, universalmente riconosciuto ed apprezzato. Il mondo del commercio, in tutte le sue articolazioni, ha concorso non poco a realizzarlo.»

Riconoscono poi che “l’attività commerciale, sia nella sua forma più capillare, territorialmente diffusa, sia in quella che si svolge nei centri commerciali di vaste dimensioni, rappresenta una realtà molto radicata entro il nostro tessuto sociale, in grado di influire non poco sulla vita delle persone, sul loro relazionarsi reciproco, sui rispettivi ritmi di vita; in una parola, sulla qualità complessiva del vissuto.”

Fatte queste premesse e ricordato che nel contesto sociale ed economico che ne deriva, si accompagnano responsabilità precise per gli operatori del settore e per le istituzioni, il documento passa a indicare una “serie di perplessità riguardanti anzitutto lo squilibrio concernente la qualità della vita, da sempre fondata sull’alternanza tra tempo del lavoro e tempo del riposo e della festa.”

Gli incaricati lombardi della Pastorale del lavoro osservano che “estendere i tempi dedicati al consumo anche a numerose giornate festive comporta, prima di tutto, un aggravio per i dipendenti del settore e ancor più per i titolari dei piccoli esercizi a conduzione familiare; comporta inoltre il sostanziale accantonamento di un sistema di vita in cui la festa era considerata luogo non soltanto di ricupero di energie fisiche, ma di conseguimento di quelle finalità (religiose, relazionali, culturali, educative, di sevizio all’altro, sociali,…) altrimenti impossibili nel corso dell’ordinaria ferialità.”

Naturale che a fronte dei nuovi scenari che si andranno a delineare sorgano spontanee alcune domande: “In che direzione siamo incamminati? A chi giova questa spirale per cui a tempi di lavoro sempre più dilatati devono corrispondere tempi di consumo ancor più ampi? Di fronte a questo fenomeno è possibile assumere soltanto l’atteggiamento della passiva rassegnazione o è ancora possibile un suo governo? E non è pensabile proporsi uno stile di vita diverso?”

Il documento, quindi, ricorda che “biblicamente, il tempo festivo non è soltanto compensazione del tempo speso nella fatica del lavoro, ma pienezza di vita, occasione per sostare e gustare i frutti della ferialità. Questo motivo trova la sua eco in numerosi interventi ecclesiali, anche molto recenti.”

Gli estensori del testo si preoccupano però di evidenziare che queste perplessità non nascono unicamente da «motivazioni squisitamente religiose, ma del rispetto di valori antropologici, universalmente riconoscibili ed apprezzabili. Tra questi, vi è certamente da custodire anche la dimensione relazionale: fondamentale ovunque, ma in particolare nel tempo cosiddetto “libero” da impegni o dal lavoro». Osserva come “è soprattutto in famiglia che possono svilupparsi relazioni intense ed approfondite, che esigono condizioni precise per questo, quali innanzitutto il potersi trovare il più possibile assieme in uno stesso giorno. Là dove la relazione educativa è compromessa emergono forme di disgregazione e di violenza.”

L’appello finale è rivolto a “Chi abbia a cuore il benessere integrale della persona umana” nella certezza che «non può non adoperarsi per difendere il significato antropologico, culturale, sociale e per il cristiano anche religioso della domenica e, in ogni caso, del giorno comune a tutti di riposo festivo, nella certezza che “salvare” la domenica non significa soltanto salvare un giorno della settimana. “Salvare” la domenica significa piuttosto “salvare” l’uomo stesso, cioè aiutare ogni uomo ad essere “più libero”, ad essere – in definitiva – “più uomo”».

L’Assessore regionale al commercio, Franco Nicoli Cristiani, in una lettera ad Avvenire dello scorso 12 dicembre ha scritto che “la legge sul commercio di recente approvata dal Consiglio regionale semplicemente organizza un’attività sociale essenziale secondo criteri di libertà e di razionalità in aderenza alle necessità espresse sia dalle associazioni dei consumatori sia da quelle degli esercenti.” E  ha aggiunto che “sulle aperture festive la legge è più restrittiva di quanto le normative nazionali consentirebbero.”

Le preoccupazioni espresse nel documento, per quanto l’esperienza di questi mesi ci ha dato di constatare personalmente, sono pienamente condivisibili.

Ci auguriamo,quindi, vivamente che tutti i soggetti interessati – titolari di attività commerciali, dipendenti del settore, associazioni di categoria e dei consumatori, pubbliche istituzioni – riflettano sulle perplessità esposte e avviino un serio e approfondito confronto. Nella nostra zona, con alta concentrazione di centri commerciali, questa nuova disciplina sul commercio è destinata sicuramente a far sentire i suoi effetti. Anche nella nostra città!

Rimanendo in tema di commercio, a livello cittadino, rileviamo che si tratta certamente di un settore che ha bisogno di una forte azione di sostegno, anche da parte delle pubbliche istituzioni.

 

Registriamo intanto con soddisfazione, come avevamo già avuto modo di osservare una settimana dopo l’attivazione del sistema di videosorveglianza, che il transito degli autoveicoli nella zona a traffico limitato si è quasi dimezzato (vedere il comunicato dell’amministrazione comunale pubblicato anche su questo sito). Un centro commerciale naturale, come possono esserlo le vie e piazze centrali di una città, può senz’altro trarre beneficio dalla possibilità offerta ai pedoni di camminare in tutta tranquillità e sicurezza. Come pure, può diventare attraente e frequentato se ben tenuto: arredo urbano gradevole, fondo stradale compatto, pulizia accurata. Per quest’ultimi aspetti, è bene che chi ne ha la responsabilità pubblica se ne preoccupi, perché si osservano tante smagliature.

 

Negli scorsi giorni il Direttivo della lista civica “Il Naviglio”, per non perdere l’abitudine ormai comune a tutto il centrodestra, ha attaccato Voce Amica sul caso “risonanza magnetica” (vedere il comunicato sulla “piazzetta” di questo sito). Premesso che non vogliamo certamente sostituirci alla Redazione di Voce Amica - che avrà tempo e modo, se lo riterrà opportuno, di rispondere - aggiungiamo che saremmo ben contenti se fosse convocata una conferenza stampa per chiarire, alla presenza di tutti i protagonisti, i contorni della nota vicenda.

Il mensile cattolico si è occupato dell’argomento perché lo ha ritenuto, coma ha scritto, “emblematico di un certo modo di fare comunicazione”. E la presa di posizione del Naviglio lo conferma.

Voce Amica, secondo la lista civica, “si dovrebbe occupare principalmente di questioni riferibili alla vita sociale e religiosa della comunità cernuschese”. Ma ci domandiamo: che cosa c’è di più sociale dei temi attinenti alla comunicazione e ai temi della salute?

Non si preoccupino i dirigenti del Naviglio che Voce Amica, per quanto ci è dato di sapere e conoscere, non ha alcuna intenzione di “fare politica a tutto campo dispensando giudizi affrettati e di parte”, neppure di “essere un mensile aggiunto all’amministrazione comunale” o un notiziario di “tutte le forze politiche”. Il mensile ha una sua precisa linea editoriale, recentemente approvata anche dai tre consigli pastorali parrocchiali cittadini, che intende perseguire; tra i suoi compiti vi è quello di “aiutare a formare una coscienza critica ispirata ai valori cristiani”.

Nell’articolo contestato (“Come si costruisce sul nulla una notizia e una polemica” pubblicato sul numero di novembre 2007), il mensile cattolico ha citato lettere e riportato dichiarazioni; a ben vedere l’unico pettegolezzo in pagina è quello scritto proprio da un esponente delle medesima lista civica: Giorgio Mandelli & Friends.  Un bel autogol, non c’è che dire, per Il Naviglio!

Nell’incertezza della prosa che caratterizza la presa di posizione del direttivo della lista civica, dobbiamo osservare che se le accuse di “affermazioni prive di fondamento”, “di falsità volutamente dette” sono rivolte a Voce Amica sono destituite di qualsiasi fondamento, da respingere in toto e rispedire sdegnosamente al mittente.

 

Carlo & Ambrogio

 

Cernusco sul Naviglio, 15 dicembre 2007

 

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