CernuscoInsieme

Condividi il contenuto di questa pagina con i tuoi amici:

Torna alla pagina precedente

comunità pastorale

voce amica agorà oasi cVillage

piazzetta

dalla città

CernuscoInsieme.it - Il Portale della tua Città

Stai navigando in
HOME > La Nota della Settimana > Settimana 4°/2008

Bocciato il Registro delle unioni civili

Il consiglio comunale della nostra città, lo scorso mercoledì 23 gennaio, ha bocciato la mozione che proponeva di istituire un Registro delle unioni civili per le coppie di fatto. Il dibattito è stato ampio, con numerosi interventi, interessante, perché ha dato modo di esplicitare le diverse posizioni, e sereno, non ci sono stati eccessi verbali.

La mozione invitava “il consiglio comunale ad istituire anche nella nostra città un Registro delle unioni civili o coppie di fatto. La funzione dei registri è senza dubbio simbolica ma deve essere l’occasione per fare pressioni sul Parlamento nazionale per approvare una legge che riconosca e garantisca i diritti di tutte le coppie di fatto, nuovi nuclei famigliari emergenti nella nostra città. È quanto mai urgente impedire che nel nostro Paese si rinunci ad un vero processo di modernizzazione dei diritti civili e anche al rischio di allontanarci sempre più dall’Europa civile e solidale.”

Dopo aver analizzato l’andamento dei dati sui matrimoni e le unioni di fatto in Italia, la mozione si concludeva con la richiesta all’amministrazione comunale di indire, “a sostegno della proposta di istituire un Registro delle unioni civili”, anche “un censimento delle coppie di fatto esistenti sul territorio comunale.”      

 

Nel dibattito, si sono confrontate sostanzialmente quattro posizioni: la prima, espressa dall’attuale maggioranza, che giudicando la proposta priva di effetti concreti e riguardante una materia di competenza del parlamento nazionale, l’ha bocciata; la seconda posizione - sostenuta dal presentatore della mozione, l’ex sindaco, e da un suo fido collaboratore - ritenendola fattore di modernizzazione della società, l’ha approvata; la terza posizione, sfociata nell’astensione della Colazione del Cuore, pur dicendosi contraria al tema in esame, ha inteso riconoscere il valore del dibattito e del confronto anche su idee differenti dalle proprie; la quarta posizione - espressa dai consiglieri di Forza Italia, anche loro contrari al Registro - ha motivato il suo diniego, pur nel rispetto dei diversi convincimenti, presenti anche all’interno del loro partito, con ragioni personali, dette in modo chiaro e convincente: la famiglia è quella naturale, tra uomo e donna, fondata sul matrimonio, come recita l’articolo 29 della nostra costituzione. Inutile nasconderci che quest’ultima posizione ha raccolto la nostra piena adesione; chi è intervenuto al riguardo l’ha fatto in modo pacato e appassionato.

 

Sull’argomento in discussione occorreva evitare ogni possibile strumentalizzazione, e questo ci sembra che sia stato capito e fatto.

Chi ha presentato, per conto di altri, la mozione non è riuscito ad andare oltre, nell’illustrare le sue motivazioni, una generica quanto incomprensibile esigenza di “modernizzazione della società”. Se si considera la famiglia fondata sul matrimonio come la struttura portante della vita sociale, che cosa ci può essere di moderno nel svuotarla di significato attraverso la creazione di forme giuridiche alternative?

Chi, nell’attuale maggioranza consiliare, ha giustamente rinviato al parlamento nazionale il compito di disciplinare la materia, a nostro avviso, non ha compiuto un ulteriore passo, forse per ragioni di coesione politica: quello di riconoscere quantomeno il ruolo della famiglia, come indicata nella nostra costituzione.

Nella stessa maggioranza sono state poi espresse posizioni che personalmente non condividiamo assolutamente: quella del consigliere Claudio Gargantini del Partito Democratico (sulla discriminazione a cui sarebbero sottoposte le coppie gay) e quella del consigliere Ermes Severgnini di Rifondazione comunista (“al fine di definire natura e qualità di tali unioni di fatto non deve essere dirimente il genere dei conviventi nè l’orientamento sessuale”).

 

Ricordiamo che la legislazione italiana, al momento attuale, non prevede alcun riconoscimento pubblico delle unioni di fatto o convivenze. Esiste solo un regolamento anagrafico che prevede di censire, a meri fini statistici e di regolazione degli atti di residenza, le convivenze intese come coabitazioni. E ciò al di là di qualsiasi atto di volontà delle parti interessate o dei legami di solidarietà o dei vincoli affettivi esistenti tra i conviventi.

Le unioni di fatto, anche se iscritte in fantomatici registri, non possono assicurare alcuna tutela di diritti individuali. Tuttavia, in questi casi, i diritti individuali, perché proprio di questi si tratta, sono già regolati da norme presenti nel nostro ordinamento giuridico o che possono esserlo con altri specifici provvedimenti, senza ipotizzare forzature come il riconoscimento di nuove figure giuridiche alternative al matrimonio e alla famiglia.

 

Noi riteniamo - secondo un convincimento ampiamente diffuso - che le convivenze non devono affatto essere vietate, però lo Stato non le deve incentivare riconoscendo ai conviventi gli stessi diritti dei coniugi. Il che non significa nemmeno che ai conviventi si debbano negare i diritti fondamentali: a loro, e tanto più ai loro figli debbano essere riconosciuti i diritti di tutti gli uomini in quanto singoli, ma non quelli che lo Stato riconosce specificamente alle coppie sposate per il loro contributo alla continuazione della società. Agire così non è discriminare, perché discriminare vuol dire trattare cose uguali in maniera diversa, e la relazione dei conviventi è appunto diversa da quella dei coniugi, perché i conviventi non si assumono le responsabilità e gli obblighi a cui i coniugi si impegnano.

 

Non siamo certamente d’accordo con chi sostiene che la disciplina delle coppie di fatto non porterebbe conseguenze per il matrimonio. Riteniamo, infatti, che l’istituzionalizzazione di una prassi la diffonde perché induce a pensare che ciò che è legale sia anche morale e dunque fa cadere le remore etiche; perché la legalizzazione di una prassi la rende più comodamente accessibile.

 

Sottoscriviamo quanto ha dichiarato un laico liberale: “Il matrimonio civile è un istituto civilistico. Se uno convive lo fa perché intende sottrarvisi, cioè non vuole vincolarsi a quel contratto. Allora, sia chiaro, non può pretenderne uno in parallelo. Perché di questo passo chiunque si trovi a praticare uno stile di vita che ha scelto in assoluta libertà chiede che sia emanata una normativa ad hoc, parallela al diritto civile. Così facendo si socializzano i desideri, si nazionalizzano le scelte personali.” (Piero Ostellino, ex direttore del Corriere della sera). 

 

Durante il dibattito in consiglio comunale sono stati citati, dall’ex sindaco, anche il cardinale Tettamanzi e il prevosto della città, don Luigi Caldera, come fautori di un’attenzione alle coppie conviventi.

Nessuna meraviglia - come ha affermato il nostro Arcivescovo, cardinale Dionigi Tettamanzi - che ci sia “uno sguardo attento e un profondo interesse anche per tutte le altre situazioni di coppia (diverse dalle coppie e dalle famiglie cristiane, fondate e sostenute dal sacramento del Matrimonio). Sia che si tratti di famiglie nate da un vincolo matrimoniale civile o religioso non cristiano, sia che si tratti di realtà di convivenza … Prima di una questione politica queste esperienze di relazione tra le persone interessano la Chiesa e la sua missione di annuncio e di testimonianza del Vangelo dell’amore.” (Consiglio pastorale diocesano, 17 febbario 2007)

Nello stesso discorso, però Tettamanzi - in relazione agli “interventi che la società, e in essa la politica elabora per affrontare la problematica delle unioni di fatto, in particolare dei tentativi, attraverso varie proposte di legge, per una loro regolamentazione giuridica” - si è così espresso: “L’interrogativo riguarda il come, a quali condizioni e verso chi deve attuarsi tale intervento: a prescindere da una concreta attenzione globale e complessiva ai valori ed alle esigenze della famiglia? Riconoscendo uno status giuridico analogo a quello della famiglia? Personalmente ritengo che a queste domande si debba rispondere negativamente. I diritti e i doveri delle singole persone che convivono possono essere infatti adeguatamente regolamentati ricorrendo al diritto comune e ad eventuali modifiche della normativa civilistica.”

Precisato questo, il nostro Arcivescovo, sempre nella medesima circostanza, ha ribadito “la necessità di un’azione pastorale verso i conviventi. È un campo dove la Chiesa è chiamata tutta intera ad agire in prima persona, senza sottrarsi alle complessità attuali e alla fatica di cercare forme nuove di vicinanza e di sostegno. Il Vangelo è parola di speranza per l’oggi, per ogni uomo e donna che vive in questo mondo che cambia: questa deve essere la nostra ferma e gioiosa convinzione.”

Parole che sappiamo essere pienamente condivise anche dal nostro prevosto. 

                                                     Carlo & Ambrogio

 

Cernusco sul Naviglio 26 gennaio 2008

 

Sito continuativamente attivo dal 1 gennaio '01  -  Best View:  800x600 - IE 6