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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 42/2010

UN’AGENDA DI SPERANZA, ANCHE PER LA NOSTRA CITTÀ

 

Dal 14 al 17 ottobre scorsi si è svolta a Reggio Calabria la 46^ Settimana sociale del cattolici italiani sul tema “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”, con la partecipazione di oltre 1200 delegati. Un avvenimento che purtroppo sui mezzi di comunicazione sociale, quotidiani e televisioni nazionali, è passato sotto silenzio. Forse perché, come sottolineato da più parti, infastidisce alcuni una Chiesa e un laicato cattolico che su questa strada sono intenti a fare dell’impegno culturale e politico un atto di speranza e di amore per le città e il Paese. Per togliere questo fastidio si ricorre al silenzio mediatico.
Molti gli spunti di riflessione offerti dai lavori: a partire dal messaggio del Papa e dalla prolusione del presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, per passare poi alle quattro relazioni introduttive e alle sintesi dei lavori dei cinque gruppi di discussione, e infine alle conclusioni del presidente del Comitato organizzatore (tutti i testi sono disponibili su
www.settimanesociali.it) . Noi ci limitiamo a raccogliere delle indicazioni, tra quelle che ci sono sembrate più significative, in attesa di leggere il documento conclusivo della Settimana 2010, di prossima pubblicazione.


 

Nella sua prolusione, il cardinale Bagnasco ha ricordato che i “valori non negoziabili” indicati dal Papa - la vita, da accogliere dal concepimento fino al tramonto naturale, la famiglia come cellula fondamentale e ineguagliabile della società, formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la libertà religiosa e educativa - “non sono divisivi, ma unitivi ed è precisamente questo il terreno dell’unità politica dei cattolici”. Poi ha cosi proseguito: “È questa la loro peculiarità e l’apporto specifico di cui sono debitori. Su questa linea, infatti, si gioca il confine dell’umano. Su molte cose e questioni ci sono mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili, non sono quantificabili, pena essere negati”. La Chiesa, ha ribadito il porporato, “non cerca l’interesse di una parte della società, ma è attenta all’interesse generale. Proprio perché i valori fondamentali non sono solamente oggetto della Rivelazione, ma sono scritti nell’essere stesso della persona e sono leggibili dalla ragione libera da ideologie, condizionamenti e interessi particolari, la Chiesa ha a cuore il bene di tutti”, perché “deve rispondere al suo Signore non ad altre logiche”, forte della “incomparabile ricchezza che ci proviene dalla vicinanza concreta e quotidiana alla gente, cattolici o no, e che, direttamente e tramite i nostri sacerdoti, i consacrati, gli operatori laici, abbiamo la grazia di vivere”, nelle 25.000 parrocchie.
Altro argomento toccato da Bagnasco è stato il bisogno di “una nuova cultura della solidarietà tra società civile e Stato. Se ogni soggetto, singoli, gruppi, istituzioni, fa la sua parte, si rinnoverà uno stile, una prassi virtuosa” fatta di una “solidarietà a tutti i livelli tra loro e ciascuno al proprio interno: si può discutere e confrontarsi anche su cose gravi, ma è possibile un ‘confronto solidale’ che è tale perché ha di mira non un interesse individuale o di parte, ma il bene armonico di tutti”. “Si potrà anche cedere, fare passi indietro, rettificare posizioni, ma non sarà mai perdere o sentirsi sconfitti, sarà sempre un andare avanti, perché andrà avanti il Paese”, ha commentato il card. Bagnasco.
Il presidente dei vescovi ha poi richiamato l’urgente e delicato “compito educativo” che “richiede un rinnovato impegno di fiducia, entusiasmo e di alleanze virtuose per il bene non solo delle giovani generazioni, ma della società intera. Aiutare a comprendere e a ricordare, non solo ai ragazzi e ai giovani ma anche agli adulti, che la nobiltà e la maturità della persona passano attraverso la negazione continua dei propri egoismi, il dono di sé, la responsabilità, e che tutto questo e altro ancora richiede impegno e sacrificio, è un imperativo per tutti coloro che hanno a cuore la società e il Paese, ma innanzitutto per i cattolici”. Nasce da qui la “laicità positiva”, che “non può essere confusa né con la neutralità né con il laicismo”. “Come cattolici che amano il loro Paese – le parole del cardinale – auspichiamo che la laicità si guardi sempre dal degrado del laicismo: questo deve uscire dalla sua adolescenza e diventare una laicità vera e matura. Non dovrebbe considerare con sospetto la religione, ma, al contrario, come una sorgente per il bene generale senza, per questo, cercare di usarla in modo strumentale riducendola a religione civile”.
Per i credenti, la loro presenza della società deve essere guidata non dalla “voglia di rilevanza, ma dal desiderio di servire. La fede è vivere riferiti a Cristo. Senza questo primato della vita spirituale – che è la vita con Cristo nella Chiesa – non esiste possibilità di presenza dei cattolici ovunque siano nella società”.

La Chiesa è cosciente “di non dover essere un’agenzia di pronto soccorso e che la sua presenza non può essere ridotta alle innumerevoli attività di carattere sociale”: “aspettarsi che i cattolici si limitino al servizio della carità perché questa è un fronte che raccoglie consensi e facili intese, chiedendo invece l’afasia convinta o tattica su altri versanti ritenuti divisivi e quindi inopportuni, significherebbe tradire il Vangelo e quindi Dio e l’uomo”.


 

Nella prima relazione introduttiva dal titolo “Il processo, l’agenda, l’attualità” il sociologo Luca Diotallevi, ha posto, tra l’altro, l’accento sulle differenze territoriali ed economiche tra le diverse aree del Paese – ma “quella territoriale è solamente una delle dinamiche divaricanti che spingono il Paese verso la frammentazione” - perché “altrettanto radicale è la divaricazione tra generazioni con una continua sottrazione di opportunità a danno dei giovani e della quale il declino demografico è la sintesi più fedele e più dura” e “altrettanto drammatica è la divaricazione tra la qualità di vita di chi lavora in aziende che ‘stanno’ sul mercato e quella di chi vive in nicchie protette, tra chi studia in severe istituzioni educative e chi invece è parcheggiato o accoccolato presso contenitori in cui non si istruisce, non si educa e non si fa ricerca”.


 

Un federalismo bene inteso e correttamente applicato - lo ha detto Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica, nella sua relazione - costituisce la principale e forse ormai unica soluzione alle lacerazioni che, anziché comporsi, spesso si allargano e moltiplicano tra il Nord e il Sud dell’Italia”. Per Ornaghi, un federalismo “autenticamente solidale potrebbe avere due importanti effetti positivi per il futuro”: in primo luogo, “richiamerebbe sia il Nord sia il Sud a far crescere e praticare quella virtù della ‘responsabilità’ – spesso evocata e raramente praticata – non solo nei confronti dell’intero Paese, ma anche rispetto a se stessi”. In secondo luogo, “per essere applicato con successo, un federalismo solidale comporterà di necessità la formazione e il radicamento di un ceto politico” con le “rappresentanze sociali”. “I problemi del presente richiedono certamente giudizi franchi e valutazioni differenti o anche contrastanti”, ha ammesso Ornaghi, ma “sollecitano un nostro contributo fattivo e scevro da preconcetti, sul federalismo, sulla riforma elettorale, o sulla scuola e su tutte le quotidiane traduzioni di un welfare che per un tempo imprecisabile sarà costretto a fare i conti con risorse limitate”.

 

L’origine della crisi economica? Il fatto che le famiglie non fanno più figli”. Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, ha spiegato anzitutto così ai delegati “la crisi economica globale”. Per il banchiere, “il crollo della crescita demografica nei Paesi occidentali ha determinato un calo del Pil, accompagnato da altri fenomeni come la crescita dei costi fissi, la diminuzione dei risparmi, l’aumento delle tasse. Tra i tentativi di compensazione si è cercato di aumentare la produttività, si è percorsa la strada della delocalizzazione, ma anche la strada pericolosissima della crescita a debito”. Per Gotti Tedeschi, l’uscita dalla situazione determinatasi “può avvenire per diverse strade, dal default come da modello Argentina, alla bolla finanziaria, fino all’austerità”. “Senza fare figli si può vivere, ma cambia il ciclo economico, non c’è ricchezza, si cresce solo per i consumi”. Uno scenario che chiede un’inversione di tendenza. “Deve riprendere il circolo virtuoso – ha detto ancora il presidente dello Ior – anche se il momento attuale è difficile. Si sente la povertà e questo scoraggia le coppie, disincentiva a fare figli. Eppure questi sono il valore più grande. Sarebbe opportuno fare subito una politica di incentivi finanziari e fiscali per le famiglie, per la loro formazione e per il sostegno all’educazione dei figli. Sgravi fiscali per le spese scolastiche, fino a completamento del ciclo di studi. E incentivazioni alle imprese per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro. Così potremmo sperare di combattere la paura”.


 

Dalle cinque aree tematiche – che hanno visto i delegati discutere su: lavoro e impresa, educazione, immigrazione e inclusione, mobilità e sviluppo, transizione istituzionale – sono scaturite parecchie proposte interessanti.


 

Dalla prima area è venuta “una chiara condanna del fenomeno dell’evasione fiscale", che si conferma "un macigno che pesa sulla crescita e condiziona il cammino dello sviluppo dell’intera società." Circa l’evasione fiscale, dall’assemblea dei delegati è stata fatta "la richiesta all’intera Chiesa di un intervento più incisivo su questa materia". Un altro aspetto ha riguardato il lavoro, ricordando la "precarietà" in cui si trovano soprattutto i giovani. Si è infine posto l’accento sulla necessità che "il lavoro non contraddica le logiche della famiglia ma le sostenga", auspicando la "riforma dell’intero sistema fiscale verso la famiglia e il lavoro" e "rapportando il carico fiscale al numero dei componenti della famiglia stessa".


 

Nella seconda area è stato tracciato l’identikit dell’educatore cattolico. “Persone solide, credibili, autorevoli, significative” che possano essere “un riferimento concreto e incisivo sia per i ragazzi, sia per gli altri adulti”. E’ stata auspicata la presenza di percorsi di “sostegno alla genitorialità” per padri e madri ed è stata ribadita “l’importanza della funzione pubblica della scuola, sia statale che paritaria”, il cui “ruolo insostituibile” nell’educazione dei giovani richiede di “investire tutte le risorse disponibili”. “Creare occasioni di incontri” tra le associazioni ecclesiali, “rilanciare” le scuole di formazione alla politica, dare più importanza ai media come “luogo educativo informale che permea la nostra società, sia per la fascia giovanile che per la fascia adulta”: queste altre proposte dei partecipanti, che hanno chiesto anche per i giovani “spazi educativi di cittadinanza attiva”.

 

Per i delegati partecipanti alla terza area tematica, “la paura dello straniero, il rifiuto ed i pregiudizi non possono trovare casa nella comunità ecclesiale che anche attraverso i suoi pastori è chiamata ad un di più di accoglienza, di rispetto e di condivisione. Il riconoscimento della dignità della vita del migrante è l’esplicita declinazione di un valore non negoziabile e premessa indispensabile per la costruzione di un bene comune”. Ribadita la necessità di “cambiare la legge sulla cittadinanza con particolare riferimento agli oltre 600 mila minori nati in Italia e figli di stranieri”, riducendo “i tempi, la discrezionalità e l’eccessiva e pericolosa burocrazia”. Inoltre, si avverte “la necessità di predisporre specifici percorsi per l’inclusione e l’esercizio della cittadinanza: diritto di voto almeno alle elezioni amministrative, servizio civile, coinvolgimento nelle associazioni ecclesiali e nelle aggregazioni giovanili”.

 

La quarta area di discussione ha posto l’accento sulla necessità di elaborare “un modello di sviluppo in cui coniugare crescita e solidarietà”, mettendo in evidenza che “l’università è il luogo e tempo decisivo per favorire la mobilità sociale”. I partecipanti hanno esortato a “prendersi cura dell’università italiana per sostenere con forza il suo contributo alla crescita del Paese, anche attraverso una diversa interazione con il territorio”. Di qui la necessità di “ripensare all’idea stessa di università a partire dal sistema Paese”, potenziando “il legame tra scuola e università” e lavorando di più “perché diminuisca la distanza tra scuola e lavoro”.

 

Dall’ultima area di confronto è venuto l’invito a completare la transizione politico-istituzionale con tutti, senza lasciare ‘al di qua’ nessuno, senza lasciare indietro i poveri, i giovani, i non qualificati”; è stata richiamata la proposta di don Sturzo di cambiare l’art. 49 della Costituzione per fare dei partiti delle “associazioni di diritto pubblico”; si è auspicato che “si torni a dare all’elettore un reale potere di scelta di indirizzo e di controllo sull’eletto, come cuore della democrazia”; tra le modifiche chieste sui temi politico-istituzionali, quella “sul numero dei mandati, sulla ineleggibilità di chi ha problemi con la giustizia, di una maggiore ‘gratuità’ nell’impegno politico”.

 

Molti partecipanti alla 46^ Settimana sociale hanno sottolineato che si è trattato di un grande laboratorio di idee e di proposte, ma hanno messo in evidenza pure il pericolo che, una volta conclusi i lavori, tutto resti solo a livello di intelligenti sollecitazioni, senza la traduzione in concrete iniziative.
Come evitare questo pericolo? È necessario - come richiamato da più delegati - creare strutture di mediazione, reti sociali promosse nelle comunità cristiane e in dialogo con le istituzioni e i partiti che – nello stile della partecipazione – abbiano la forza “politica” di rendere operative tali proposte. Questo a livello nazionale e soprattutto a livello locale, nell’auspicio che la Settimana possa costituire una scossa per le Chiese particolari.
Per quello che noi possiamo fare, cercheremo di proporre a livello cittadino una ripresa di questa “agenda di speranza”, a partire da un confronto sulla nostra realtà locale.


 

Non possiamo dimenticare, in chiusura di questa Nota, il 55° di attività dell’AVIS cittadina. Ricordare questo anniversario - come ha detto don Andrea durante l’omelia della messa di domenica 24 ottobre delle ore 9,30 in prepositurale - non è semplicemente fare memoria di un avvenimento, ma innanzitutto essere grati e pregare per coloro, e sono stati tantissimi, che si sono impegnati attivamente nell’associazione. Due poi in particolare i motivi citati da don Andrea per ringraziare l’AVIS Cernusco: la grande attenzione posta ai giovani, nel proporre e testimoniare il valore della “donazione”; il contributo dato dalla sezione locale alla ricostruzione della chiesa e di un asilo di Pratola Peligna in Abruzzo; interventi destinati non solo a riaprire edifici importanti per la vita di un paese, ma volti soprattutto a tener viva la speranza e a rinsaldare valori morali e culturali posti a fondamento della crescita personale e comunitaria. Grazie dunque, anche da parte nostra, all’AVIS cernuschese.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 25 ottobre 2010

 

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