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HOME > La Nota della Settimana > N° 39/2013

LA GIOIA DEL VANGELO, LA CHIESA DI FRANCESCO

C’è tutto Papa Francesco in questa prima Esortazione apostolica su “La gioia del vangelo”. Ad ogni rigo possiamo leggere le sue parole più care, in ogni paragrafo le sue espressioni più tipiche, in ogni capitolo i suoi pensieri più ricorrenti. È tutto quello che più volte abbiamo ascoltato durante le sue omelie in Santa Marta e nei diversi interventi pubblici in cui, al testo scritto, spesso vengono aggiunte delle frasi dette a braccio e col cuore. È l’immagine di Chiesa che egli ci propone.

Questa Esortazione apostolica non nasce dal nulla. È il frutto di un Sinodo dei Vescovi tutto dedicato al tema della nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, svoltosi a Roma durante la loro XIII Assemblea Generale Ordinaria dal 7 al 28 ottobre 2012. Ma a leggere ora questo testo sembra proprio che la Chiesa intera abbia riguadagnato il tempo perduto.

Lo stile di Papa Francesco si fa sentire subito fin dalle prime pagine e pare di scorgere in esse – così come in molte altre parti del testo – quell’intuizione che il Card. Bergoglio scrisse su degli appunti poco prima di essere eletto Papa: Cristo bussa alle nostra porta non solo per entrare, come afferma il libro dell’Apocalisse, ma anche per uscire, e la Chiesa ha il compito di far uscire Cristo dalle proprie ristrettezze perché davvero il Vangelo venga offerto a tutti.

Questa è la “nuova evangelizzazione”, anzi, è semplicemente l’evangelizzazione, perché – così scrive il Papa al termine del n. 11 – «ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”», solo che ce ne eravamo dimenticati, tutti intenti a difendere i nostri interessi di Chiesa e personali.

Uscire da sé e aprirsi all’altro - Uno degli inviti più ricorrenti che il Papa fa alla Chiesa e ad ogni singolo cristiano è quello di “uscire” e di “aprirsi”. Uscire da sé stessi, dalle proprie sicurezze, dalle proprie comodità, dalle tradizioni ormai radicate, per aprirsi alla novità di Dio e del fratello. Anzi, spesso proprio l’apertura all’altro che mi sta di fronte diventa segno della mia disponibilità ad aprirmi all’Altro che mi è sempre vicino e mi interpella. Le pagine sul dialogo ecumenico e interreligioso, così come tra credenti e non credenti, ne sono un chiaro esempio (cfr. nn. 238-258)

Il termine “uscire” compare dieci volte nell’Esortazione, mentre “apertura” ben diciannove volte, nel testo e nelle note. Non è certo un invito alla rottura con il passato e con la tradizione quello che Bergoglio propone: non a caso i pontefici più ricordati sono Benedetto XVI (22 volte) e Giovanni Paolo II (46 volte); ma anche san Tommaso d’Aquino viene citato otto volte. È, invece, un chiaro rimando alla Chiesa del Concilio Vaticano II, un Concilio più da vivere che da interpretare: «Il Concilio Vaticano II – scrive il Papa – ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura a una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo» (n. 26).

Questo “uscire da sé” e questo “aprirsi agli altri” viene descritto anche nei termini di “prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare” (cfr. n. 24). Ed è questa la Chiesa che il Papa sogna per sé e per tutti.

Un metodo nuovo - Anche il metodo con cui il Papa presenta questa sua Esortazione vuole essere nuovo. Al n. 16 afferma: «Sono innumerevoli i temi connessi all’evangelizzazione del mondo attuale che qui si potrebbero sviluppare. Ma ho rinunciato a trattare in modo particolareggiato queste molteplici questioni che devono essere oggetto di studio e di attento approfondimento». E poi aggiunge: «Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”».

È l’immagine di una Chiesa e di un papato che non vuole tenere tutto sotto controllo, ma che vuole semplicemente annunciare il Vangelo e, prima ancora, vivere con fedeltà ad esso, nella sicurezza che il mondo è già stato salvato da Gesù Cristo e noi siamo semplicemente suoi “collaboratori”, dal Papa all’ultimo fedele. Leggiamo al n. 22: «La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr. Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi».

La proposta e i limiti - Il contenuto del documento ci viene presentato, in sintesi, dal Papa stesso quando, nei nn. 16-18, descrive “Proposta e limiti di questa Esortazione”. Al n. 17 riporta un elenco degli argomenti che vuole trattare: a) la riforma della Chiesa in uscita missionaria; b) le tentazioni degli operatori pastorali; c) la Chiesa intesa come totalità di Popolo di Dio che evangelizza; d) l’omelia e la sua preparazione; e) l’inclusione sociale dei poveri; f) la pace e il dialogo sociale; g) le motivazioni spirituali per l’impegno missionario.

Questi sette temi vengono sviluppati nei cinque capitoli dell’Esortazione, tutti scritti con un linguaggio ricco di immagini concrete e denso di contenuto.

Il primo capitoloLa trasformazione missionaria della Chiesa – è quello che possiamo chiamare “il sogno di Francesco” e contiene proprio queste parole: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27). Tutto deve essere indirizzato alla missione e il Papa lo grida con forza: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo» (n. 49).

Il secondo capitoloNella crisi dell’impegno comunitario – il Papa si sofferma sul discernimento del tempo presente e sulle sfide del mondo attuale. Il termine “crisi”, del resto, significa proprio “discernimento”, in greco. Quello che il Papa propone è un discernimento “spirituale”, cioè una capacità di leggere la realtà “avvinti dallo Spirito”, sullo stile ignaziano – non dimentichiamo che Bergoglio è un gesuita – e ciò permette di affrontare la difficile situazione presente senza cadere in un clima di sterile lamentosità o di inutile nostalgia. I nn. 52-75 sono un vero e proprio trattato sulla città secolare e sulle modalità con cui attuare la missione evangelizzatrice nel moderno contesto urbano. Non mancano, in esso, parole molto critiche circa l’attuale economia di esclusione, così come forti inviti alla conversione per gli operatori pastorali e per i singoli cristiani e le comunità, spesso impegnati a farsi guerra a vicenda, piuttosto che a portare la buona parola del Vangelo.

Nel terzo capitoloL’annuncio del Vangelo – possiamo riscontrare il cuore dell’Esortazione. Papa Francesco – come si è espresso fin dal primo saluto dal balcone di piazza S. Pietro, nel giorno della sua elezione – non manca di ricordare come sia “tutto il Popolo di Dio” ad essere evangelizzatore. Il compito di annunciare il Vangelo, infatti, non spetta alla gerarchia ecclesiastica, ma ad ogni singolo cristiano, ed è da esercitarsi in quella comunione missionaria che è la sola garanzia di una buona evangelizzazione (cfr. nn. 111-134). Accanto a questa affermazione basilare e quasi come esemplificazione concreta, il Papa si sofferma sul tema dell’omelia, dedicando all’argomento ben quattordici pagine (cfr. nn. 135-159). È una lamentela frequente quella dei fedeli circa le omelie dei preti, ma è anche una immane fatica dei preti quella di far incontrare la potenzialità della parola di Dio con il cuore dei fedeli. Di queste pagine dobbiamo tutti farne tesoro e viverle: anche solo questo semplice atto favorirà di molto la nuova evangelizzazione.

Il capitolo quartoLa dimensione sociale dell’evangelizzazione – descrive i frutti e le aspettative di questa mai finita opera della Chiesa. L’annuncio del Vangelo ha delle ripercussioni comunitarie e sociali che si sviluppano da sé. Tra questi, Papa Francesco rimarca quell’attenzione ai poveri che gli viene dalla sua storia personale e che è stata pure sottolineata dal nome che si è scelto, nel desiderio di mantenere fede all’appello rivoltogli da un confratello Cardinale nel giorno della sua elezione: “Ricordati dei poveri”. I poveri hanno un posto privilegiato nel Popolo di Dio – da qui possiamo comprendere molti degli atteggiamenti di Papa Francesco, che non sono assolutamente formali – e non stupisce che il termine “poveri” compaia ben 62 volte nell’intero documento.

Da ultimo, il capitolo quintoEvangelizzatori con Spirito – sintetizza e rinnova le motivazioni che lo hanno spinto a scrivere questa esortazione, invitando a non disgiungere l’impegno attivo dalla preghiera. Una nuova spinta alla “dimensione contemplativa della vita” che apre alla “carità”.

Una conclusione operativa - Fin dall’inizio, al n. 18, Papa Francesco confessava: «Mi sono dilungato in questi temi con uno sviluppo che forse potrà sembrare eccessivo. Ma non l’ho fatto con l’intenzione di offrire un trattato, ma solo per mostrare l’importante incidenza pratica di questi argomenti nel compito attuale della Chiesa. Tutti essi infatti aiutano a delineare un determinato stile evangelizzatore che invito ad assumere in ogni attività che si realizzi. E così, in questo modo, possiamo accogliere, in mezzo al nostro lavoro quotidiano, l’esortazione della Parola di Dio: “Siate sempre lieti nel Signore. Ve lo ripeto, siate lieti!” (Fil 4,4)».

Quanto ho scritto – ed è già fin troppo – deve solo invitare a leggere personalmente questa Esortazione che è una miniera di perle e di gioielli, teorici e pratici, tutti indirizzati a vivere il Vangelo, prima ancora che a testimoniarlo, lasciandosi coinvolgere direttamente. Non ho mai letto un testo scritto da un Papa con la stessa intensità emotiva con cui ho affrontato queste pagine, un coinvolgimento che mi spinge ancora a riprenderle in mano. Forse solo la Gaudete in Domino e l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI, altri due documenti sulla gioia e sul Vangelo, ma questi – data la mia età (avevo 14 anni quando furono scritti) – li ho accostati in tempi successivi alla loro composizione. Qui ho potuto scorgere la Parola in atto, quella Parola che chi la scrive la sta vivendo e testimoniando in prima persona. E mi auguro che questo valga per ciascuno di noi, quando la leggiamo e la facciamo nostra.

Buona settimana!

don Ettore Colombo

Cernusco sul Naviglio, 2 dicembre 2013

 

 

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