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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 31/2010

BUONE VACANZE,
CON STORIE CHE INFONDONO SPERANZA


 

Ci sono alcune storie, per questo nostro ultimo appuntamento prima della consueta pausa estiva, che vogliamo raccontarvi, perché sono di quelle che infondono speranza e di questi tempi, per tanti motivi, ne abbiamo bisogno tanta.

 

«Da pochi giorni il Tribunale di Como ha tolto i sigilli e restituito la casa (dell’efferata strage di Erba dell’11 dicembre 2006) a chi nell’eccidio perse la moglie Paola, la figlia Raffaella e il nipotino Youssef, e per la prima volta da quella sera Carlo Castagna rientra nel luogo in cui tutto avvenne …

Non conserverò nulla”, promette Castagna, “mi terrorizza l’idea di cercare i miei cari in luoghi e in oggetti che certo non li rappresentano. Loro non sono in questa casa ma su in cielo accanto al Padre buono, immersi nella luce della Grazia, e pregano per noi. Già i prossimi giorni farò portare via ogni cosa ed entro Natale qui sarà tutto nuovo”. Quella che la gente per ora ricorda come la casa della strage presto diventerà luogo di rinascita e sarà un tetto per chi non ce l’ha: “Io e i miei due figli abbiamo deciso di affidarla alla Caritas, che a rotazione la darà a giovani coppie in emergenza e famiglie in difficoltà. Dove c’era la morte tornerà la vita, la speranza spazzerà via tutto l’odio, e magari risuonerà di nuovo il vagito di una nascita”. Sarà la stessa ditta di arredamenti Castagna a fare i lavori, riportando l’antica corte lombarda di via Diaz alla sua austera bellezza, “curerò tutti gli arredi come avevo fatto per Raffaella, nulla dovrà pesare sulle spalle della Caritas o delle famiglie che ci entreranno... Chi abiterà qui troverà un luogo lindo e santo, e il ricordo di persone meravigliose”. Un progetto che nasce da una fede certa e nel quale Castagna include anche Azouz Marzouk, da poco diventato di nuovo papà in Tunisia: “Non restiamo attaccati a feticci inutili, ricordiamo i nostri cari per ciò che erano”, gli ha consigliato giorni fa al telefono parlandogli come un padre. “Gli ho detto che quando taglieremo il nastro inaugurale ci sarà anche lui al nostro fianco, che è ora di accantonare gli errori fatti e affrontare la vita con un impegno maturo... Youssef, Raffaella e Paola proteggeranno dal cielo lui e le due creature di cui adesso è responsabile. Mi sembrava ragionevole, spe­ro tanto che mantenga la promessa, lo spero per lui, per la ragazza italiana che lo ama e per quella bimba... Da questa casa, dove fu versato il sangue dei nostri martiri, può ripartire anche lui”.» (Avvenire, 25 luglio 2010)

Carlo Castagna ha portato la sua testimonianza anche ai giovani e agli adulti della nostra Comunità pastorale che hanno partecipato alla Stoà, dal 30 luglio al 1 agosto scorso, a Valsaravanche in Valle d’Aosta.


 

«Il 2 agosto 1980, alle 10.25, Carlo Dionedi alla stazione di Bologna non avrebbe dovuto esserci. È bastato un banale ritardo del treno su cui viaggiava per ritrovarsi catapultato in uno dei fatti più sconvolgenti della nostra storia. “Come se la bomba aspettasse me”, ripete convinto trent’anni dopo, unico, tra coloro che sedevano a meno di tre metri dal punto dov’è esploso l’ordigno, a poterlo raccontare, vivo, col “solo” neo di non sentirci più dall’orecchio destro, perché la violenza dello scoppio gli ha perforato il timpano.
Qualcosa di davvero inspiegabile è accaduto quell’afosa mattina d’estate ad un universitario piacentino di 21 anni che aveva fretta di tornare a casa per scalare le Dolomiti con gli amici del Cai …

Ogni volta che vado a Bologna - ha raccontato Carlo Dionedi - mi fer­mo per una preghiera davanti alla lapi­de con i nomi dei caduti e penso che ci sarebbe potuto essere il mio. Perché gli altri sono stati presi e io lasciato? Me lo sono chiesto a lungo. Quel che è certo, è che Dio non spara nel mucchio come fanno i terroristi: c’è una logica che Lui solo conosce”. Carlo pronuncia queste parole con il pudore di chi si sente lega­to a doppio filo con le persone che il 2 a­gosto la vita l’hanno persa o l’hanno a­vuta irrimediabilmente segnata. La bomba ha stravolto anche a lui, ma di­versamente. “Quando capisci che la vita ti è donata, non puoi che iniziare a prenderla sul serio e donarla a tua volta “. Così si è laureato, è diventato inse­gnante, nel 1988 ha sposato Lorena, è papà di otto figli naturali e di uno in affido. Proprio lui, che passava da una ragazza all’altra. Che fuggiva le responsabilità. Che, in un mondo così marcio, pensava che ad avere bambini c’è proprio da essere pazzi… “Ma il vero miracolo per me – precisa – è aver sperimentato che, perfino in un e­vento drammatico e profondamente ingiusto, dove la malvagità dell’uomo dispiega tutta la sua forza devastatrice, è possibile incontrare l’amore di Dio, rinnovare la fede e rafforzare la speranza. Vorrei che a ognuno fosse concessa la mia stessa esperienza, che si potesse riconciliare con la propria storia e vivere finalmente nella pace.”» (Avvenire, 1 agosto 2010)


 

Il 25 luglio quest’anno è caduto di domenica. Il 2010 è quindi di diritto anno “iacobeo”, cioè dedicato al cammino di san Giacomo, il Cammino per eccellenza, quello diretto al santuario di Santiago de Compostela. Santiago è infatti l’abbreviazione di san Giacomo, l’apostolo che secondo una tradizione evangelizzò la Galizia (Spagna del nord) e che dopo il martirio in Palestina trovò sepoltura nei luoghi in cui aveva predicato. Compostela è a sua volta l’abbreviazione di Campus stellae, vale a dire “campo della stella”: nell’813 l’eremita Pelayò vide delle luci fortissime, simili a quelle di stelle, sul monte Liberon. Qui, dopo accurati scavi, venne trovata una sepoltura di epoca romana, che conteneva alcuni corpi: uno di questi presentava la testa mozzata (san Giacomo era stato decapitato per ordine di Erode Agrippa nell’anno 44 della nostra era) e l’indicazione della scritta sepolcrale non lasciava dubbi: lì giaceva “Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomè”. Dall’epoca della scoperta iniziarono i pellegrinaggi.

E tra qualche settimana a mettersi in cammino verso Santiago de Compostela saranno anche gli adolescenti della nostra Comunità pastorale.

Come ha scritto uno dei tanti pellegrini che ha provato l’emozione di questo cammino “il viaggio è soprattutto interiore. Il camminare vuol dire rimettersi in discussione, sfidare le proprie ansie, il proprio egocentrismo, per aprirsi all’altro. Perché in viaggio verso Santiago non si è mai soli: il cammino è una delle più grandi occasioni di incontro con persone di tutte le età e provenienza. È poi quando torni a casa che il pellegrinaggio ti comincia a lavorare dentro”.

Accompagniamo questi nostri adolescenti, con i loro responsabili e guidati da don Andrea, con tutta la simpatia e l’attenzione che meritano per la scelta che hanno fatto, non facendogli mancare anche la nostra preghiera.


 

Nello scorso fine settimana, al termine delle sante messe, nelle chiese parrocchiali cittadine, hanno portato la loro testimonianza alcune carcerate che, riunite nella cooperativa “Il germoglio” e grazie all’impegno di una suora, hanno intrapreso un percorso di riscatto e di reinserimento sociale. Una forte lezione di umiltà per tutti noi, presentata con semplicità, pudore e delicatezza, che ben traspare dalle belle e originali composizioni floreali che loro stesse hanno fatto e che hanno posto in vendita per sollecitare un gesto concreto di attenzione e di condivisione del loro percorso.

Come ben sappiamo, la condizione attuale delle carceri italiane è rovente (basta leggere, per esempio, l’inchiesta pubblicata sul numero 31 del 1/8/2010 di Famiglia cristiana: celle sovraffollate, temperature insopportabili, condizioni igieniche allarmanti, costante insufficienza del personale di custodia e degli operatori dell’area educativa, attività formative e di socializzazione dei detenuti insufficienti, forti difficoltà organizzative …), anche perché sono poche le iniziative volte al recupero, attraverso il lavoro o altre azioni (teatro, sport, …) dei reclusi.

Queste donne ci dimostrano che non tutto è definitivamente perduto, quando ci si sa mettere in ascolto degli altri e si sanno offrire occasioni concrete per valorizzare le proprie capacità.


 

In questi giorni, al termine di mesi talora anche burrascosi, abbiamo forse un po’ tutti bisogno di silenzio e di ritrovarci per capire il senso profondo della nostra identità di persone, di cristiani, di popolo di Dio, a partire magari dalla riscoperta dell’importanza di parole, di gesti e di comportamenti semplici. Non si tratta di voler prendere ad ogni costo le distanze da una realtà vacanziera che va in tutt’altra direzione, ma di saper cogliere e vivere con originalità e leggerezza, che non è superficialità, un tempo che ci è dato, anche questo, come dono.

Buone vacanze e, salvo imprevisti, il prossimo appuntamento è per lunedì 13 settembre 2010.

Carlo & Ambrogio
 

Cernusco sul Naviglio, 2 agosto 2010

 

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