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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 31°/2009

Il Prevosto: “Davvero il Vangelo di Gesù 
è il sostegno delle nostre scelte quotidiane?”

 

Riprendiamo, dopo la pausa estiva, i nostri appuntamenti settimanali. Benritrovati a tutti coloro che hanno la bontà e la pazienza di leggere queste note!
Se le settimane appena trascorse non hanno registrato, a livello locale, notizie di rilievo - eccezion fatta per lo sgombero delle famiglie rom dalla cascina Bareggiate, in territorio di Pioltello, ma al confine del nostro Comune, e l’assegnazione di due insegnanti per le nuove sezioni della Scuola dell’infanzia di via Buonarroti, dopo che si era temuto di non poterle avere - a livello nazionale i temi di scottante interesse non sono certamente mancati: dall’immigrazione all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, dall’introduzione della pillola abortiva all’uso distorto dei mezzi di comunicazione sociale. Temi che affrontiamo anche nell’intervista, che segue, al prevosto della città.

 

All’inizio di un nuovo anno pastorale abbiamo incontrato don Ettore Colombo, prevosto della città e responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret. Con lui abbiamo parlato della vita delle tre parrocchie cittadine e di alcuni temi di stringente attualità.

 

Don Ettore è nato a Tradate (VA) il 21 maggio 1961 ed è stato ordinato prete l’8 giugno 1985. Destinato vicario parrocchiale a Biumo Superiore, vi è rimasto sino a quando, nel 1992, è stato chiamato a far parte della segreteria arcivescovile del cardinal Carlo Maria Martini e poi del suo successore, Dionigi Tettamanzi.
Dal 2004 è a Cernusco, prima come parroco alla Madonna del Divin Pianto e poi, dal 2008, come  responsabile della nostra Comunità pastorale.

Nelle domande, le citazioni tra virgolette sono tratte da articoli scritti dal Prevosto su Voce Amica.

 

Nella nuova situazione pastorale che si è creata nella nostra città lei ha letto l’invito “a una grande capacità di lavorare insieme, per esprimere una vera e propria azione collegiale, capace di valorizzare l’apporto di tutti: sacerdoti, religiosi, laici.” (ottobre 2008). Questa è la strada intrapresa? Che cosa è stato fatto concretamente in questa direzione?

Nella costituzione della Comunità pastorale un elemento fondamentale è il Direttivo, nominato dall’Arcivescovo, col compito di guidare e di condurre la vita ordinaria della Comunità stessa. Il Direttivo della nostra Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret” è composto da sei sacerdoti, un diacono permanente e una religiosa. A queste figure abbiamo aggiunto alcuni membri dei consigli pastorali parrocchiali, per valorizzare la presenza di laici attenti alla crescita della Comunità. Ultimamente, l’unificazione dei tre consigli pastorali delle tre parrocchie in un unico consiglio della Comunità pastorale è stata un’ulteriore scelta nella linea del lavorare insieme. I numerosi cambiamenti di persone avvenute nell’ultimo anno non hanno consentito di compiere una profonda opera di discernimento in vista di scelte concrete. Speriamo che ora, dopo l’assestamento iniziale, si possa riprendere in mano il Progetto della Comunità pastorale steso agli inizi per verificarne la progressiva attuazione nei singoli punti. Nello scorso mese di giugno è stato predisposto un Calendario delle attività della Comunità pastorale concordato in base alle iniziative delle singole parrocchie.

 

Ci si accorge subito, in una comunità, quando vi è comunione di intenti e i sacerdoti lavorano insieme tra loro, i laici si stimano a vicenda, i religiosi danno testimonianza di una vita comune evangelica e tutti, nei rispettivi stili di vita, si sostengono vicendevolmente.” (febbraio 2009). Potrebbe essere questo il ritratto attuale della nostra comunità o è ancora una meta da raggiungere?

Questo è il ritratto di una Comunità pastorale ideale, così come nel libro degli Atti degli Apostoli – al cap. 2 e al cap. 4, per esempio – si descrivono i tratti della primitiva comunità cristiana. A questa immagine ci si deve sempre ispirare, con grande umiltà e con un atteggiamento di profonda conversione da parte di tutti, per vedere come sia possibile attuare concretamente questa immagine di comunità, che rimane sempre un dono di Dio, da invocare nella preghiera.

 

“Fino ad ora si è cercato di tenere insieme tutto l’esistente, ora è opportuno trovare delle strutture di comunione, degli appuntamenti e delle iniziative su cui tutta la Comunità pastorale si senta coinvolta in prima persona.” (giugno 2009). C’è già qualche idea al riguardo?

Ho già ricordato la stesura di un Calendario della Comunità pastorale per l’anno 2009/2010, dove sono riprese le iniziative ordinarie e tradizionali di ogni parrocchia – quali possono essere l’amministrazione dei sacramenti e le feste patronali – e quelle che si possono svolgere in modo comune, quale la formazione degli operatori pastorali o la proposta di una catechesi per adulti. Da qualche anno il cammino quaresimale in preparazione alla Pasqua viene offerto in modo unitario alle tre parrocchie e nell’ultima festa del Corpus Domini, aiutati anche dal nuovo calendario liturgico ambrosiano che l’ha riportata al giovedì, la processione cittadina è stata comune e ha visto la partecipazione di numerosi fedeli.
Prendendo spunto dal Progetto pastorale, è stato avviato un lavoro per arrivare a fornire la nostra Comunità “Famiglia di Nazaret” di una casa di prima accoglienza per famiglie in difficoltà, grazie a tutti coloro che operano nel campo della carità. Penso che altre strutture di comunione potrebbero essere individuate nel campo della formazione – sfruttando quanto già esiste attraverso la Scuola di formazione teologica per laici – e della evangelizzazione. Sul tema dell’evangelizzazione, aiutati anche dalla proposta del vescovo nel piano pastorale diocesano, una particolare attenzione dovrebbe essere riservata al cammino di introduzione alla fede, partendo dalla richiesta dei genitori che domandano il battesimo e seguendo poi la vita delle famiglie nell’educazione cristiana dei figli. In questo campo c’è molto da investire.

 

Il suo invito iniziale - “Che ne abbiamo fatto del Vangelo? Davvero siamo consapevoli che la nostra vita dipende da Dio?” (ingresso) - ha saputo scuotere le coscienze? Da quali riflessioni nasceva?
 

Sono convinto che la domanda “che ne abbiamo fatto del Vangelo?” debba essere sempre al centro della vita di ogni singolo cristiano e della comunità in quanto tale. Soprattutto in situazioni come la nostra, dove la fede cristiana poggia su una ricchezza di tradizioni radicate nella storia della comunità, è facile correre il rischio di identificare le usanze e le tradizioni con il contenuto della fede stessa, legandosi a schemi e a consuetudini che devono essere sempre ripetute. Tuttavia, fin dalla fine degli anni ’80, proprio il Papa, Giovanni Paolo II, invitava a passare da una “fede di tradizione” a una “fede di convinzione” e l’attuale Papa, Benedetto XVI, continuamente invita a “dare ragione della propria fede”.  Da qui la domanda essenziale:  che cosa sta a  fondamento della mia fede?  In che cosa credo?  Su cosa appoggio la mia esistenza?

Davvero il Vangelo di Gesù – e non una semplice tradizioneumana – è il sostegno delle nostre scelte quotidiane? Ecco cosa significa tutt’ora per me la domanda “che ne abbiamo fatto del Vangelo?” e il motivo della sua continua riproposizione.

 

“E’ proprio il rapporto con i diversi fedeli e con la loro testimonianza (anche di chi è in ricerca) che sostiene e da forza alla vita del prete stesso.” (marzo 2009). Anche i Cernuschesi sanno dare questo sostegno?

Durante questi cinque anni di vita a Cernusco, nell’esercizio del ministero, ho potuto incontrare uomini e donne di grande fede, che mi sono stati di notevole aiuto. Gente schietta e generosa, convinta della propria scelta cristiana e capace di testimoniarla anche in mezzo alle difficoltà personali, familiari o sociali. Allo stesso tempo, ho pure incontrato gente in ricerca, capace di interrogarsi sul senso della vita e desiderosi di un confronto con la proposta evangelica. Tutte queste esperienze sono una fonte per la vita stessa del prete e per la sua spiritualità.

 

Richiamando quanto detto dall’Arcivescovo a proposito dell’anno sacerdotale - da intendersi “in riferimento al sacerdozio ministeriale e al sacerdozio comune dei fedeli” - quali sottolineature avrà nella nostra Comunità, pensando anche a due importanti avvenimenti che celebreremo nei prossimi mesi: la beatificazione di don Carlo Gnocchi e il centenario della nascita di monsignor Arcangelo Rossignoli?

Il Papa ha voluto indire un Anno Sacerdotale per richiamare l’attenzione dei fedeli all’importanza e alla necessità del ministero dei preti all’interno delle comunità cristiane, nella speranza di suscitare nuove vocazioni al sacerdozio e di edificare la vita stessa dei preti. Ma il sacerdozio “ministeriale”, cioè quello dei preti a servizio della comunità, non avrebbe senso se non fosse correlato al sacerdozio “comune” dei fedeli, cioè alla vocazione propria ad ogni cristiano di donare la propria vita a Dio e ai fratelli, a immagine di Gesù. In una parola, in riferimento alla chiamata alla santità che il Padre rivolge ad ogni uomo, creato a immagine e somiglianza del suo Figlio Gesù.
La beatificazione di don Gnocchi, che ha vissuto il suo primo anno da prete proprio a Cernusco, è per tutti noi un richiamo alla santità cristiana, così come il ricordo della nascita di monsignor Rossignoli, che tanto ha contribuito al crescere della nostra città svolgendo il suo ministero sacerdotale con zelo e con profonda umiltà. Mi piacerebbe che dall’esempio di queste grandi figure di sacerdoti e di cristiani nascesse in molti giovani il desiderio di dedicarsi interamente ai fratelli consacrando la propria vita a Dio nel sacerdozio. Alcuni segnali ci sono, ma dobbiamo insistere molto con la preghiera, personale e comunitaria, come ha chiesto Gesù.

 

“Chi crede – alla pari di chi non crede – non rinuncia a pensare (almeno non dovrebbe) ed è altrettanto impegnato a dare ragione della propria fede e della propria speranza.” (aprile 2009)
Oggi si fa veramente fatica a pensare? Perché?

Sono molte le cause che possono incidere su questa “fatica a pensare” ed è difficile descriverle. Mi limito a sottolineare due aspetti. Da una parte assistiamo a un soggettivismo esasperato, nel desiderio di dare il giusto valore a ogni singola persona e alla libertà di ciascuno. Dall’altra, la mancanza di punti di riferimento comuni e condivisi produce una situazione di relativismo assoluto, dove il confronto tra diverse posizioni diventa praticamente impossibile. Inoltre l’attività del pensare è qualcosa che richiede pazienza, approfondimento, verifica, capacità di dialogo, disponibilità al confronto; tutte cose che non siamo disposti ad accettare facilmente, soprattutto in un mondo come il nostro dove la fretta e la superficialità spesso fanno da padrone.

 

“E’ necessario garantirsi e coltivarsi un vissuto spirituale profondo da parte di tutti i membri del Direttivo. Occorre concedersi molto tempo segnato da momenti spirituali qualificanti, senza i quali ogni programmazione pastorale rimane superficiale e precaria …” (giugno 2009). Una regola di vita valida per ogni credente? Perché oggi è difficile ritagliarsi del tempo per la propria formazione spirituale?

Già nel 1997, come sintesi del 47° Sinodo Diocesano, il Card. Carlo Maria Martini aveva proposto ai fedeli della Diocesi un piano pastorale dal titolo: “Regola di vita del cristiano ambrosiano”. Ciò significa che ogni cristiano non può affidarsi al caso o alla soggettività per vivere la propria esperienza di fede, ma deve necessariamente avere dei parametri di riferimento, delle regole a cui attenersi. La vera regola del cristiano, ovviamente, è il dono dello Spirito, che agisce nei cuori come il “maestro interiore”, secondo l’espressione di sant’Agostino. Ma è proprio questo Spirito che sostiene la vita della Chiesa, la vitalità della Scrittura, la grazia dei Sacramenti e ci offre tutto questo e molto di più come riferimento per la nostra vita cristiana. Purtroppo sono ancor tanti i cristiani che preferiscono vivere la fede “a modo loro”, senza alcuna relazione con la ricchezza della tradizione e senza la necessità di darsi una regola di vita.
Nella regola di vita di un cristiano è contemplato anche il tempo dedicato alla preghiera, alla riflessione e al silenzio. Forse è difficile trovare del tempo per il dialogo con Dio e per la formazione spirituale perché abbiamo un po’ timore di tutte le realtà che ci spingono a rientrare in noi stessi. Ma è indispensabile. Quanto più aumenta il nostro servizio alla Chiesa e al mondo in cui viviamo, tanto più deve aumentare il tempo dedicato al silenzio, alla preghiera e alla ricarica spirituale. Di occasioni, di per sé, ce ne sono molte, forse più di un tempo (pensiamo alle varie Scuole di formazione o alle innumerevoli proposte di preghiera e di cammini spirituali). Il problema è che non li sfruttiamo abbastanza.

 

In città, i matrimoni civili nel 2008 avrebbero superato quelli religiosi. Questo dato come interpella la nostra Comunità?

Non ho a disposizione i dati reali, ma con tutta probabilità occorre leggerli anche con una certa attenzione. Sarebbe interessante domandarsi chi si è accostato al matrimonio civile. Se nel numero di tali matrimoni, infatti, teniamo presente che sono comprese le nozze di persone non cristiane o di cristiani che sono già al secondo matrimonio, dopo uno religioso che si è concluso, allora i dati assumono un altro rilievo. Ad ogni modo, la comunità cristiana è chiamata a formare le coscienze dei singoli perché siano educati a vivere secondo la logica della fedeltà e della continuità nella relazione affettiva, per esprimerne tutto il valore. Sotto questa prospettiva, proprio la proposta del matrimonio cristiano ha molto da offrire a chi cerca una relazione ricca, stabile, coinvolgente e vera. Il dono del sacramento non è una struttura che ingabbia la propria libertà, ma piuttosto un aiuto che la sostiene.

 

Per il terremoto in Abruzzo e per il sostegno alle famiglie in difficoltà, a causa delle crisi economica in atto, i Cernuschesi sono stati invitati alla generosità. Secondo lei, come hanno risposto? La loro proverbiale generosità non si è forse un po’ appannata?

Certo, è sempre possibile fare di più. Tuttavia la situazione economica di ristrettezza e di difficoltà ha toccato un po’ tutti, se non altro generando timori e paure. Due emergenze così improvvise come il terremoto dell’Aquila e la crisi economica si sono assommate alle altre innumerevoli richieste di aiuto che provengono dalla realtà caritativa e missionaria e dai bisogni ordinari della comunità. La generosità aumenta quando ci si affida maggiormente alla Provvidenza e si lascia che Dio agisca nella vita quotidiana anche attraverso i piccoli gesti di solidarietà e di attenzione che tutti possiamo compiere verso chi ci sta vicino ed è nel bisogno.

 

Dell’attuale crisi economica e finanziaria quali riscontri ha avuto in questi mesi? Quali richieste ha ricevuto con maggiore frequenza? Quali iniziative sono state messe in campo dalla Comunità?

Dall’osservatorio delle ACLI e della Caritas si ha l’impressione che la situazione di crisi economica e finanziaria ha toccato un po’ tutti i settori. Chi già viveva in ristrettezza economica ha visto peggiorare la propria situazione, ma anche chi non aveva grossi problemi e si è trovato improvvisamente senza lavoro, ha dovuto affrontare la difficoltà di gestire i propri bisogni. Le richieste per generi alimentari di prima necessità sono notevolmente aumentate, come risulta, ad esempio, dalla distribuzione ad opera della San Vincenzo. Per tenere monitorata la situazione, l’amministrazione comunale e la Caritas cittadina hanno costituito un tavolo di confronto, cercando di coinvolgere altri organismi. In qualche caso abbiamo già avuto modo di attingere dal fondo di solidarietà istituito dall’Arcivescovo per le famiglie. Da parte nostra, come Comunità pastorale, abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di mettere a disposizione una casa di prima accoglienza per famiglie in difficoltà, utilizzando stabili di proprietà delle parrocchie di Cernusco.

 

In tema di immigrazione la Chiesa invita a coniugare sicurezza con accoglienza, legalità e solidarietà. Una posizione che, in molti casi, rischia di spaccare le comunità. Nei Cernuschesi quali sensibilità ha riscontrato? Oltre ad alcune iniziative già avviate da molti anni (cena del martedì sera, centro di ascolto) ce ne sono altre in programma?

I segnali, a volte, possono essere anche contraddittori. A fronte di un grande impegno per le attività missionarie, ad esempio, e di una grande stima e sostegno per chi opera in esse, nel linguaggio di tutti i giorni si riscontrano giudizi e pregiudizi comuni a tutti: la paura del diverso, la diffidenza verso lo straniero, la chiusura ad ogni tipo di confronto. Inoltre è diverso darsi da fare in un’associazione che si mette a servizio di chi ha bisogno e rispondere concretamente e in prima persona a chi mi sta davanti e chiede di essere aiutato. Ciò che non va dimenticato, ancora una volta, è la necessità di ispirarsi al vangelo nel compiere ogni scelta di attenzione all’altro.

 

Un tema scottante di questa estate è stato quello della laicità, in nome della quale c’è chi vorrebbe anche escludere l’insegnamento della religione della scuola. Qual è il suo parere al riguardo?

Spesso la laicità viene sopraffatta dal laicismo. Se è vero che uno stato debba essere laico e non confessionale, per rispettare le fedi di ciascuno, è altrettanto vero che non ne rispetta nessuna quando asseconda solo iniziative di contrapposizione e di scontro, se non di netto rifiuto, in campo religioso. Per rimanere nel tema dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, basta osservare che tale insegnamento non è confessionale – anche se spesso viene fatto passare come tale – ma attiene al bagaglio culturale di un popolo e di una nazione. Sarebbe davvero difficile vivere nella realtà quotidiana escludendo ogni rapporto con la religione cattolica: molte opere d’arte, così come molti eventi storici, sfuggirebbero alla nostra comprensione. Il vero problema non è che a scuola si insegni anche la religione cattolica, ma piuttosto che la scuola – non proponendo alcuna alternativa a tale insegnamento che non sia discriminante nei riguardi di alcuni – abbia di fatto abdicato al suo compito di insegnare, assecondando e la pigrizia e l’astensionismo degli studenti. Occorre pensare all’insegnamento della religione cattolica nella scuola come a una occasione di confronto in un ambiente non confessionale, facendo attenzione a non cadere nella tentazione di rinunciare ad educare.

 

In queste ultime settimane si è assistito ad un crescendo di dure prese di posizioni nei confronti della Chiesa (sui temi dell’immigrazione, insegnamento della religione, pillola abortiva, caso Il Giornale - Avvenire). Secondo lei, perché?

Molto spesso è importante non solo la proposta di un contenuto, ma anche il modo di porgerlo. Da parte di chi non crede i valori cristiani vengono avvertiti solo come ingerenze e imposizioni, mentre per i credenti alcune proposte suonano come un vero e proprio attacco alla fede. Occorre individuare luoghi di incontro e di confronto, dove ciascuno possa spiegare all’altro il proprio linguaggio e le proprie ragioni, senza essere visto subito come un pericolo o un avversario.
Per un cristiano, poi, la testimonianza alla verità non può mai essere resa se non in modo evangelico. Mi pare significativa l’analisi che Enzo Bianchi offre nel suo libro Per un’etica condivisa. In esso scrive: “Quelli in cui viviamo sono ‘giorni cattivi’ per coloro che credono nel dialogo tra credenti cristiani e non cristiani e tra cattolici e laici. Troppo spesso alcuni cattolici sembrano voler costituire gruppi di pressione in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro”. E aggiunge: “I cristiani devono favorire, con le loro parole e le loro azioni, l’emergere di quella immagine di Dio che ogni essere umano porta con sé. Anche il non cristiano”.
Non dimentichiamo, poi, che il vangelo per sua natura è eccedente rispetto alle attese e alla logica del mondo, e non c’è quindi da stupirsi se i discepoli del Signore vengono perseguitati a causa di esso: Gesù stesso lo aveva preannunciato, chiedendo ai suoi amici non di contrapporsi agli avversari, ma di confidare nel Padre e di testimoniare con fiducia la bellezza della vita evangelica.

 

L’emergenza educativa, nei riguardi delle giovani generazioni, come è avvertita e affrontata dalla Comunità?

Da lunghissima tradizione, le nostre parrocchie si sono dotate dello strumento educativo dell’Oratorio per venire incontro alle giovani generazioni, e ciò vale anche nella Comunità pastorale, dove è innegabile la grande attività educativa svolta in Oratorio. L’Oratorio, infatti, non è altro dalla parrocchia, ma è l’attenzione educativa che la comunità adulta esprime nei riguardi dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani. Perché ciò sia vero, è necessario non solo chiedere la presenza degli adulti come sostegno alle attività dell’Oratorio, ma coinvolgerli nella progettazione, nella cura e nella conduzione della vita oratoriana, finalizzata a costruire il cristiano maturo, adulto, capace di vivere nella comunità.
Sono poi gli stessi giovani che devono farsi carico dei propri coetanei, in una vera dinamica missionaria, per trasmettere quei valori che aiutano a fronteggiare ogni deriva educativa. Perché ciò avvenga con maggior capacità incisiva, è utile che le diverse proposte educative rivolte ai giovani – dall’Oratorio all’associazionismo, dagli scout ai centri di aggregazione giovanile, dalle società sportive alla scuola – sappiano stimarsi a vicenda e interagire tra loro, a sostegno delle famiglie che rimangono il primo e insostituibile riferimento educativo della gioventù.

Della nostra città che cosa apprezza?

Il clima di “familiarità” che in essa si respira. Pur essendo una realtà cittadina, Cernusco non asseconda la deriva dell’anonimato, ma permette di vivere relazioni forti e gratificanti con molte persone e in diverse situazioni. Oltre a questo, ovviamente, sono molto ben impressionato dalla tradizione e dalla grande attenzione ai valori cristiani che si avverte in città e dalle innumerevoli iniziative di associazionismo che esistono in essa. Tutta questa vitalità rende Cernusco un luogo particolarmente privilegiato per le relazioni con le persone.

 

C’è un suggerimento, una riflessione, un problema che vorrebbe sottoporre all’attenzione dei consiglieri e amministratori comunali della nostra città?

Non è mio compito dare delle indicazioni concrete. Piuttosto mi piacerebbe che nella realtà politica e amministrativa di Cernusco, così come nelle altre città e anche a livello nazionale, ci fossero dei luoghi di incontro, di confronto e di formazione al sociale e al politico che aiutassero a non ridurre ogni problema a un semplice scontro tra posizioni. In diocesi di Milano, dopo l’esperienza positiva dello scorso anno, alcuni enti e associazioni cattoliche ambrosiane ripropongono dei percorsi formativi all’impegno socio-politico per giovani-adulti tra i 18 e i 35 anni. Questo orizzonte più ampio permetterebbe di guardare ai bisogni quotidiani – quelli reali – e di affrontarli insieme a lunga distanza, nella logica del servizio ai cittadini e per il bene di tutti, a partire dagli ultimi.


Una lunga intervista con, a nostro parere, molte sottolineature importanti per ripensare seriamente al nostro cammino di fede, per esser cristiani compagni di strada di ogni essere umano. Senza labbra cucite e con il cuore e la mene liberi, colmi solo della potenza del Vangelo.

Buona settimana! 

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 7 settembre 2009

 

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