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HOME > La Nota della Settimana > N° 2/2013

 QUANDO I GIOVANI DELLA SACER
VISITAVANO I CARCERATI

 “Violazione di diritti umani, tortura e trattamento disumano o degradante”: con queste motivazioni la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato, lo scorso 8 gennaio, l’Italia per il trattamento riservato a sette persone detenute nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. La Corte ha accusato l’Italia di violare i diritti dei reclusi tenendoli in celle in cui hanno a disposizione meno di tre metri quadrati a testa. Il nostro Paese deve pagare ai sette detenuti un totale di centomila euro per danni morali ed è stato invitato a porre rimedio, entro un anno, al sovraffollamento carcerario. In Italia ci sono 206 istituti penitenziari per adulti e una capienza di 45.817 posti, che però ospitano oltre 21.000 persone in più, circa 15.000 delle quali in attesa di primo giudizio. Inoltre, in prigione, vivono oltre 50 detenute madri con più di 50 bambini sotto i 3 anni.

Vincere il pregiudizio verso le misure alternative - L’ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, don Virgilio Balducchi, si è detto scettico rispetto alla possibilità che, a seguito del pronunciamento della Corte, in Italia la situazione muti, “perché il problema era già molto conosciuto” e, anzi, “c’era un decreto che poteva in qualche modo allargare le pene alternative, ma non è stato approvato” nelle scorse settimane dal nostro Parlamento. Per don Balducchi “è il meccanismo di amministrazione della giustizia” che dev’essere riformato, andando nella direzione di “pene alternative al carcere e cambiamenti di mentalità che facciano capire come stare semplicemente in prigione, senza possibilità di lavoro né percorsi di socializzazione, significhi perpetuare l’illegalità”. Il pregiudizio verso le misure alternative, per l’ispettore generale, “si supera se si guardano con realistica intelligenza i dati. E questi mostrano come tra coloro che permangono in carcere la recidiva sia molto più frequente rispetto a quanti fruiscono di pene alternative”.

Di condizioni inaccettabili delle carceri italiane dovute al sovraffollamento ha parlato anche il nostro arcivescovo, cardinale Angelo Scola, nella messa della vigilia di Natale con i detenuti di San Vittore. Per Scola, in vista delle prossime elezioni, è importante che tutte le forze politiche “esplicitino nel programma elettorale come intendono occuparsi delle carceri”. Perché se l’Italia vuole uscire dalla situazione di crisi attuale, ha aggiunto l’arcivescovo, “deve dare segnali chiari rispetto ai luoghi di sofferenza come le carceri”.

L’esperienza dei volontari - Secondo l’esperienza quotidiana dei volontari a fianco dei detenuti italiani, “la situazione in cui versano le carceri oggi è deleteria e insopportabile, non solo per l’illegalità e l’inumanità che si produce, ma anche per la drammatica diminuzione delle opportunità di misure alternative ai fini del reinserimento sociale”. Il modello del carcere con funzione punitiva - per Luisa Prodi, presidente del Seac, il Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario - “serve a perpetuare un’appartenenza al mondo del crimine mentre il carcere che rieduca ha una funzione preventiva dei reati, ne consegue un incremento della sicurezza di tutta la collettività”. Certo, promuovere percorsi di riconciliazione sociale è una battaglia politicamente impopolare.

Anche i cristiani sono parecchio disinteressati - Tornando alla sentenza della Corte Europea, per il cappellano dell’istituto penitenziario di Rebibbia, a Roma, don Sandro Spriano, “è importante che la sentenza abbia suscitato una maggiore attenzione e una riflessione ulteriore. Ma è ancora più importante che chi può decidere, decida. Ma questo non sta avvenendo”. Il cappellano di Rebibbia ha poi aggiunto che “il problema è che i detenuti italiani sono abbandonati. Non hanno più i diritti che dovrebbero avere dei cittadini che scontano una pena, prima di tutto il diritto alla dignità. Di questo non si parla. Non interessa che un detenuto non possa più parlare con la propria famiglia o che non abbia indumenti da indossare. Siamo a questo livello. I miei appelli oggi sono molto più forti e sono rivolti ai cristiani, ancora parecchio disinteressati rispetto a questi temi”. Anche se ha riconosciuto che rispetto al passato c’è “sicuramente maggiore attenzione. Ogni domenica invito alcune comunità parrocchiali a Rebibbia a partecipare alla Messa con i detenuti. Questo aiuta a capire qual è il tipo di giustizia che dovremmo attuare secondo il Vangelo. Certo la Chiesa fa molto, perché il volontariato all’interno delle carceri è soprattutto ecclesiale ed è determinante per creare delle condizioni di vita un pochino più umane. Se non ci fosse il volontariato credo che ci sarebbero delle rivolte”.

I giovani della Sacer, nel passato, hanno più volte partecipato all’animazione della Messa domenicale nel carcere di San Vittore. «Un’esperienza molto significativa e importante. Siamo partiti un po’ presuntuosi e curiosi: ci sembrava di essere “missionari”, di seguire quelle parole tante volte sentite “ero prigioniero e mi avete visitato” e siamo tornati sicuramente con una ricchezza in più. Questa ricchezza consiste nell’aver capito che anche i detenuti sono persone che hanno un valore e una dignità uguale a tutte le altre e che quindi il carcere non deve, come pensano in molti, far soffrire e trattare male, ma deve recuperare e tentare di cambiare.» Così scriveva una giovane cernuschese su Voce Amica, a commento della visita nel carcere di San Vittore a Milano del 1° febbraio 1998. Riproporre quest’esperienza sarebbe certamente utile, perché i giovani possono essere di grande aiuto nel convincere gli adulti a superare molti pregiudizi verso i detenuti.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 14 gennaio 2013

 

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