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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 2/2011
 

PERCHÉ TANTA INTOLLERANZA RELIGIOSA?

 

Perché tanta intolleranza religiosa? È la domanda che ognuno di noi, e non solo i credenti, si dovrebbe porre dopo l’ultima strage di cristiani in Medio Oriente. Ad Alessandria d’Egitto, un’autobomba, è esplosa davanti la chiesa copto-ortodossa dei Santi, alla fine della messa di mezzanotte del 31 dicembre, causando 22 morti e 90 feriti. Ma le notizie delle stragi nei confronti delle minoranze cristiane si sono rincorse in queste ultime settimane: dall’Iraq all’Inguscezia, dalla Nigeria al Sudan, dalle Filippine all’Orissa.

È anche la domanda di fondo dell'omelia che l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha pronunciato lo scorso 6 gennaio nella cattedrale di San Lorenzo, in occasione della solennità dell'Epifania.

Perché tanta intolleranza religiosa? "La domanda - ha detto il cardinale - non è retorica e non nasconde nessun desiderio di rivalsa. È sincera e nasce, non può essere diversamente, dal sangue di tanti cristiani, dalle loro sofferenze. È una domanda che dà voce al brivido interrogativo che sale da tante parti della terra: perché?".
"Forse - ha domandato – s’identifica il Cristianesimo con il mondo occidentale?". "Ma non può sfuggire che il Vangelo s’incarna in ogni cultura senza identificarsi con nessuna", ha spiegato il porporato che ha aggiunto: il Cristianesimo "è chiamato a farsi lievito e sale nella pasta dove si trova, ma ha anche una dimensione metastorica irrinunciabile. La fede cristiana è presente in tutto il mondo, secondo il mandato del Signore, e s'impianta e convive, rispettosa e benefica, in ogni Paese, popolo, tradizione".

Oppure, ha domandato ancora, "l’intolleranza, a cui sono soggetti i cristiani, è dovuta ad una loro intolleranza religiosa?". In questo caso, ha aggiunto, "dobbiamo guardare serenamente la dottrina della fede e il comportamento dei discepoli di Cristo". "Nell’insegnamento di Gesù non esiste ombra d’intolleranza, ma solo l’invito a cercare onestamente la verità, ricordando che solo la verità fa libero l’uomo ed è il criterio del bene morale". "I cristiani, là dove vivono come maggioranza - ha proseguito il cardinale - non sono arroganti verso nessuno, tanto meno intolleranti. Partecipano alla vita pubblica nel rispetto delle leggi, propongono i valori fondamentali che stanno alla base dell’umanesimo e di una società libera e giusta: principi e valori nei quali credono per fede ma che sono anche conquista della ragione".
"Esiste, mi sembra, una terza ipotesi", ha proseguito Bagnasco. "Forse i cristiani sono discriminati e perseguitati proprio perché, in nome di Cristo, parlano di dignità e di uguaglianza di ogni persona, uomo o donna che sia? Di libertà di coscienza? Perché predicano l’amore anche verso coloro che si pongono come nemici? Perché parlano di perdono, rifiutano la violenza e operano come costruttori di pace? Perché predicano la giustizia e lo Stato di diritto? Forse è per questo che qualcuno li giudica pericolosi e inaccettabili, oggetto di intolleranza, meritevoli di persecuzione e di morte?"
L'esortazione del porporato è che i cristiani siano uniti nel chiedere che "la comunità internazionale, a cominciare dall’Europa, faccia sentire una voce forte e una parola chiara perché il diritto alla libertà religiosa sia osservato ovunque senza eccezioni".

L'arcivescovo ha anche invitato i fedeli ad "essere missionari del Vangelo" perché "non si tratta di essere arroganti ma luminosi …  L’esempio di tanti nostri fratelli nella fede, che rischiano e danno la vita per Gesù e la Chiesa - ha spiegato - ci scuota dal torpore delle cose facili, dalla tiepidezza sempre alle porte, dalla facilità indolente di seguire la corrente del mondo".

 

Serve un dialogo sui progetti di società -  “Questi attacchi arrivano stranamente in concomitanza con il recente Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente - ha detto il gesuita e ismamologo Samir Khalil Samir all’agenzia SIR - dove i padri sinodali hanno insistito nel restare nei rispettivi Paesi anche se ciò può, talvolta, rappresentare un pericolo e sulla necessità di collaborare con la cittadinanza, con i musulmani, con lo Stato per creare una società giusta, pacifica e rispettosa di diritti umani. Il Sinodo non ha stabilito che i cristiani debbano difendersi ‘contro’, quanto piuttosto, collaborare con la maggioranza musulmana in vista di una società migliore. È triste vedere questa reazione: i terroristi non leggono certo i documenti del Sinodo, forse non ne hanno nemmeno sentito parlare. Quale futuro, allora? Si deve arrivare ad un dibattito sui modelli di società: da una parte c’è il modello dei radicali islamici che vogliono che l’Islam penetri tutti gli atti della vita, i comportamenti, dal vestire al mangiare passando per le relazioni tra uomo e donna, per la vita economica e politica. Dall’altra parte abbiamo il cosiddetto modello occidentale che tende, diciamo pure pericolosamente, ad escludere il fenomeno religioso dalla vita politica. Credo che la motivazione dei radicali nel proporre il loro modello di società sia proprio l’opposizione a quello occidentale. Due progetti di società, due ideologie opposte e non si riuscirà a distruggere il fondamentalismo islamico con le armi. Serve un dialogo sui progetti di società, in cui l’Occidente e il movimento islamico si rimettono in discussione, per arrivare a dare alla religione il suo giusto posto nella società tenendola separata e non opposta dalla vita politica. Questa è la posizione della Chiesa cattolica che auspica la mediazione e la collaborazione tra fede e politica in nome di una laicità positiva. Ed è l’unica via che vedo”.

 

Le vittime vengono colpite mentre sono riunite in preghiera nelle assemblee domenicali - «Vorrei sottolineare un dato – ha scritto lo scorso 6 gennaio su “La Stampa” Enzo Bianchi, priore della comunità ecumenica di Bose - che emerge dalle più recenti stragi di cristiani, a Baghdad come ad Alessandria, come in tanti altri luoghi: le vittime vengono colpite mentre sono riunite in preghiera nelle assemblee domenicali, mentre celebrano il mistero cruciale della loro fede. Se da parte dei terroristi può essere solo un calcolo assassino per mietere un maggior numero di vittime, non dobbiamo trascurarne la valenza simbolica e la sua centralità nel discorso della libertà religiosa. Garantire a ogni cittadino la libertà di professare in privato e in pubblico la propria fede è ciò di cui ogni Stato di diritto dovrebbe farsi carico, ma per i cristiani l’eucarestia domenicale è ben di più di un gesto “pubblico”: è l’evento comunitario per eccellenza, è il luogo e il tempo che costituisce come tale una comunità cristiana. Non si tratta di avere uno spazio in cui potersi riunire o manifestare, un luogo e un giorno che potrebbero quindi variare di volta in volta per ragioni di sicurezza, ma di ritrovarsi nel “giorno del Signore” per celebrare la “cena del Signore”, per riconoscersi comunità convocata dalla parola di Dio e chiamata a formare un corpo e un’anima sola. Per questo i cristiani, anche minacciati di morte, non rinunciano a ritrovarsi in chiesa come assemblea di credenti, come hanno ribadito i cristiani in Egitto e in Iraq in questi giorni. Non a caso già negli “Atti dei martiri” dei primi secoli troviamo testimonianze limpidissime in questo senso. Durante la persecuzione di Diocleziano (304 d. C.), al proconsole di Abitene - nell’odierna Tunisia - che lo accusava di aver ospitato nella sua casa assemblee domenicali cristiane contro l’editto dell’imperatore, il martire Emerito rispose: “Non potevo proibire loro di entrare in casa, perché senza l’eucaristia domenicale non possiamo esistere”.
È su questa consapevolezza del profondo legame tra fede personale ed espressione comunitaria del culto che si radica il cristianesimo: non su identità culturali reali o immaginarie, non su astratte convergenze di idee, ma sul vissuto quotidiano nella comunità dei credenti, sulla trasparenza di una testimonianza di fratellanza e di amore universale.»

 

Assuefarci alle stragi per motivi religiosi, fare pericolose generalizzazioni, incorrere in analisi superficiali e liberatorie, dimenticare il peso della storia e degli errori commessi ancora oggi nel mescolare politica e religione sono alcuni dei comportamenti che dobbiamo evitare. La via maestra rimane quella del dialogo, aprendo per davvero le porte al confronto. 

 

In città – La vita amministrativa cittadina risente ancora della sosta per le festività natalizie. L’ultimo appuntamento importante è stata la seduta del consiglio comunale dello scorso 21 dicembre, durante la quale è stato approvato il Bilancio preventivo 2011 e sono stati anche illustrati i risultati del primo sondaggio collegato al Bilancio partecipato.  Mentre si è ancora in attesa, dopo l’approvazione dello scorso 29 ottobre, del deposito e della pubblicazione del Piano di Governo del Territorio e ci si prepara a vivere un anno che, essendo pre-elettorale - l’appuntamento infatti con le elezioni comunali, salvo imprevisti, sarà nella primavera 2012 - non mancherà  probabilmente di riservarci delle sorprese.

A proposito di Bilancio partecipato, l’amministrazione comunale aveva proposto ai Cernuschesi di indicare la preferenza per alcune opere pubbliche, con il vincolo di non superare la cifra complessiva di 85.000 euro. Delle schede distribuite con il numero 4 del notiziario comunale, ne sono state restituite 233 schede (la maggioranza consegnate a mano), delle quali 216 valide.

L’opera più votata è stata la costruzione di un parcheggio lungo via Boccaccio (105 preferenze), seguita dalla posa di una fontanella in piazza Matteotti (99 voti) e dall’installazione di giochi per bambini sull’ex campo da bocce di piazza Gavazzi (97 voti), per terminare poi con l’illuminazione a risparmio energetico di via Toti-via Filzi (76 preferenze) e la pavimentazione in porfido del ponte sul Naviglio di via IV novembre (56 voti).

“Una consultazione – ha detto il consigliere delegato al Bilancio partecipato, Ermes Severgnini - che riteniamo significativa, dato che i riscontri da parte dei cittadini sono in linea, in termini numerici, con quelli che si sono registrati in altri Comuni che hanno intrapreso questo genere di esperienza.” Aggiungendo poi che “il valore più importante, al di là dei numeri, è quello di avere cominciato un percorso di tipo culturale verso la partecipazione come contributo alle scelte che l’Amministrazione deve compiere per la città. Una modalità di governo che non ha precedenti nella storia amministrativa di Cernusco.” Tutte le opere sottoposte al sondaggio saranno comunque realizzate nel corso del 2011.

Si potrebbe essere d’accordo con il consigliere Mario Oriani (PDL) che ha considerato “riduttivo parlare di Bilancio partecipato quando si è messo solo a disposizione dei cittadini 85.000 euro per scegliere alcune opere da realizzare. Credo che dovrebbe essere qualcosa di più utile, che dovrebbe riguardare di più la qualità dei servizi e ricercare un maggior coinvolgimento dei cittadini.”

Tuttavia non si può non riconoscere all’attuale amministrazione il merito di aver intrapreso un percorso mai tentato prima. Lo ha fatto probabilmente nel modo più semplice possibile, per verificare la rispondenza che poteva raccogliere tra i cittadini, alla luce anche della scarsa partecipazione che si era riscontrata negli incontri di presentazione di questo progetto. C’è la possibilità di far crescere questo esperimento, anche avvalendosi di quanto già fatto in altri comuni italiani, e ci auguriamo vivamente che questo possa accadere. Considerato pure che l’amministrazione comunale avrebbe tutto da guadagnarci dall’affermarsi di una prassi di Bilancio partecipato: in termini di fiducia, di trasparenza, di collaborazione, di accresciuto senso civico, di condivisione delle scelte e di immagine.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 10 gennaio 2011

 

  

 

 


 

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