CernuscoInsieme

Condividi il contenuto di questa pagina con i tuoi amici:

Torna alla pagina precedente

comunità pastorale

voce amica agorà oasi cVillage

piazzetta

dalla città

CernuscoInsieme.it - Il Portale della tua Città

Stai navigando in
HOME > La Nota della Settimana > N° 28/2013

CREDERE PER VEDERE

  

È la prima volta che una enciclica papale viene scritta “a quattro mani”, come fa ben capire papa Francesco quando, riferendosi alla “fraternità di Cristo”, ricorda che il suo predecessore, Benedetto XVI, “aveva già quasi completato una prima stesura” della Lettera ed egli ha assunto “il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo ulteriori contributi” (n. 7).

Non capita spesso di vedere nella società – e purtroppo anche nella Chiesa – questa capacità di lavorare insieme, di continuare l’opera di chi ci ha preceduto, pur con le proprie specifiche personalità. Benedetto e Francesco, il vescovo emerito di Roma e quello attuale che esercita il ministero di Pietro, ce ne hanno dato un esempio.

 

Un singolare scambio di doni - La Lumen fidei è la prima enciclica di papa Francesco e anche in questo caso c’è un singolare scambio di doni. Benedetto XVI, papa Ratzinger, considerato a motivo della sua storia personale il “difensore della fede”, ha dedicato la sua prima enciclica alla “carità”, con la Deus charitas est. Francesco, papa Bergoglio, presentatosi da subito come l’uomo della misericordia e della carità di Dio verso gli ultimi e i peccatori, ha scritto la sua prima enciclica sulla “fede”. Ed entrambi hanno condotto e conducono tuttora il cammino della Chiesa nella via della speranza, alla quale Benedetto XVI ha indirizzato la sua seconda enciclica – Spe salvi – mentre Francesco più volte ci ha invitato a non perderla. Anche in questa Lettera: “Non facciamoci rubare la speranza” (n. 57).

 

“Credere per vedere” - Conosciamo tutti il detto popolare “vedere per credere”, derivante dall’esperienza dell’apostolo Tommaso: “Se non vedo … io non credo” (Gv 20,25). Papa Francesco, citando un’altra pagina del quarto vangelo – l’episodio della risurrezione di Lazzaro – ricorda, invece, le parole di Gesù dette a Marta, la sorelle del morto: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11,40) e capovolge così il detto della tradizione: “Credere per vedere”.

 

Riscoprire la luce della fede - Il papa invita ogni lettore della sua enciclica – indirizzata “ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici”, ma accessibile anche a ogni uomo di buona volontà e disponibile a ragionare, credente o non credente che sia – a riscoprire la luce della fede, troppo spesso identificata come qualcosa di illusorio se non di oscurantistico (l’esatto contrario della luce).

È questa una riduzione della lettura della fede che si insinua nel cuore di ogni uomo, credente e non credente. Quanti di noi, infatti, non hanno mai pensato che la fede sopraggiunge quando non si può dare ragione delle proprie affermazioni e allora si è costretti a fare un salto nel buio?

Fin dall’inizio, invece, papa Francesco dà una definizione della fede che, in poche ed essenziali parole, ne dice tutta la novità per l’uomo: essa è “incontro con il Dio vivente che ci chiama e ci svela il suo amore” (n. 4). E, a partire da questa prospettiva, offre una lunga e articolata riflessione su questo dono che è costitutivo della vita di ogni credente e della Chiesa intera.

 

Nei quattro capitoli in cui si articola la Lettera, papa Francesco ci fa compiere un vero e proprio cammino alla riscoperta della luce della fede, o – se vogliamo – della fede che è luce.

Nel primo capitolo, tutto ha inizio dalla contemplazione della storia della salvezza, in particolare dalla figura di Abramo, riconosciuto come padre nella fede da ebrei, cristiani e musulmani, per arrivare alla pienezza della fede cristiana data dalla persona stessa di Gesù, proclamato Signore e Messia. In lui “abbiamo creduto all’amore” (cfr. 1Gv 4,16) e ci è stata data la possibilità di incontrare Dio attraverso la nostra esperienza umana, coinvolgendo tutti i nostri sensi.

Per questo – nel secondo capitolo della Lettera – il papa si sofferma ad analizzare quella particolare relazione che si instaura tra la fede e la ragione, partendo da una affermazione del profeta Isaia: “Se non crederete, non comprenderete” (cfr. Is 7,9). Solo chi si lascia raggiungere dalla luce della fede – intesa come “ascolto” della voce di Dio e “visione” del mondo a partire dalla sua rivelazione – arriva a leggere la realtà con occhi nuovi e a penetrare il reale da una nuova prospettiva.

Questa fede – è l’oggetto del terzo capitolo della Lettera – non nasce interiormente in ciascuno di noi per merito nostro, ma viene trasmessa ad ogni uomo come dono. Come nessuno nasce da se stesso, così nessuno può credere per se stesso. La fede ci viene trasmessa e il luogo originario di questa trasmissione è dato dalla vita stessa della Chiesa, madre della nostra fede, attraverso i quattro elementi tradizionali ricordati dallo stesso papa: “la Confessione della fede, la celebrazione dei Sacramenti, il cammino del Decalogo, la preghiera” (n. 46), in particolare quella “del Signore”, cioè il “Padre nostro”. Per questo motivo, papa Francesco, usando le parole dell’apostolo Paolo, ricorda quale è il compito della Chiesa nei riguardi della fede: “Vi trasmetto quello che ho ricevuto” (cfr 1Cor 15,3). Un compito che spetta in modo singolare al successore di Pietro.

L’ultimo capitolo – che ha per titolo un versetto della lettera agli Ebrei: “Dio prepara per loro una città” (cfr. Ebr 11,16) – permette di evitare quello che spesso capita nell’esistenza di molti credenti: separare la fede dalla vita. La luce della fede non è un vago annuncio consolatorio. È, invece, la capacità di affrontare la vita di ogni giorno, le realtà quotidiane – anche quelle più dure e complesse, come il dolore, la sofferenza e la morte – con nuove capacità.

 

Un testo ricco e profondo - L’insieme della Lettera può essere sintetizzato nell’espressione con cui Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, esprime il cuore dell’esperienza cristiana: «E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2Cor 4,6). È il testo citato dal papa stesso nel primo paragrafo dell’enciclica e da cui Francesco, su suggerimento di Benedetto, ha colto l’orizzonte della luce per parlare della fede.

La lettura – personale e comunitaria – di questo testo così ricco e profondo nei riguardi del dono della fede (che si aggiunge alle altre precedenti encicliche sulla carità e sulla speranza, completando così la trilogia delle virtù cristiane teologali, che provengono da Dio e ci rendono simili a Lui) potrà aiutarci a uscire da molti luoghi comuni del nostro discutere sulla fede e, ancor più, del nostro viverla, per farci passare “da un cristianesimo di abitudini, di consuetudini e tradizioni a un cristianesimo di scelta, di decisione e di riflessione interiore, di appropriazione della fede”, come ebbe a dire il card. Martini nel 1987, nella conclusione del convegno dedicato agli Oratori milanesi. E come ribadì, nel 1992, papa Giovanni Paolo II, nella lettera scritta ai Vescovi lombardi dopo la loro visita ad limina, allargando gli orizzonti all’intera comunità cristiana.

 

La preghiera a Maria - L’enciclica di papa Francesco si conclude con una preghiera a Maria, nella quale tutti i temi della Lettera vengono ripresi e ripresentati alla Madre del Signore. Vale la pena di leggerla e di farla nostra:

“Aiuta, o Madre, la nostra fede!
Apri il nostro ascolto alla Parola, perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.
Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi, uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.
Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede.
Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore, soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare.
Semina nella nostra fede la gioia del Risorto.
Ricordaci che chi crede non è mai solo.
Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché egli sia luce sul nostro cammino.
E che questa luce cresca sempre in noi, finché arrivi quel giorno senza tramonto, che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!”.

don Ettore Colombo

 

Sito continuativamente attivo dal 1 gennaio '01    Best View:  800x600  IE 6