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HOME > La Nota della Settimana > N° 28/2012

“GIUSTAMENTE IL BUON POPOLO DI CERNUSCO È ORGOGLIOSO DELLA SUA BELLA CHIESA”

 

Probabilmente noi oggi non riusciamo a comprendere pienamente la fierezza, il fervore e la gioia  dei nostri concittadini che in quel lontano 17 luglio 1932 – quindi ottant’anni fa – accolsero l’arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster, per la consacrazione della nostra chiesa prepositurale. Un rito che iniziò alle tre e mezza della domenica mattina e si protrasse sino alle otto. Seguito poi, alle dieci, dall’amministrazione della Cresima a più di 700 bambini.

Per ricordarci di quale impresa furono protagonisti i cernuschesi di allora e per aiutarci a capire l’imponenza e la bellezza dell’opera tanto desiderata, affidiamoci ad un articolo pubblicato nel 1930 dal quotidiano milanese “L’Italia”.  

«Sei paia di buoi, aggiogati per il trasporto delle quattro colossali colonne che formavano il pronao dell'antica chiesa, non riuscirono neppure a smuovere l'enorme peso. Tutta la gioventù del paese si offerse allora, con solide funi e con potenti energie, a compiere l'impresa. Si ricorda con la più viva compiacenza della popolazione l'entusiasmo di quei giovani, allineati a centinaia, i piedi puntati nel terreno, e le spalle curve in sforzo tenace, che trascinarono, si dice, di corsa, tra gli applausi d'immensa folla, quelle colonne dalla chiesa antica alla nuova.

Questo episodio dà un'idea del fervore del popolo di Cernusco sul Naviglio per la costru­zione del suo duomo (si può chiamarlo così). E spiega come in due anni, dal 1928, quando vennero ripresi i lavori, ad oggi, per unanime e spontaneo contributo di tutti, si è arrivati all’impostazione del “cupolino” che si eleva snello, come un faro sacro sopra l'im­mensa distesa della fertile pianura, sopra il “cupolone”. La bandiera, in segno di gioia per aver raggiunto la vetta di quell'ammasso elegante, più che di pietre, del sacrificio d'ognuno, sventola oggi festosa.

L'esterno in gran parte si presenta finito; ma l'interno è ancora ingombrato da un groviglio di ponteggi e da materiale costruttivo. Ciononostante in questi giorni per la prima volta la superficie della chiesa è fatta sommariamente sgombra per accogliere il popolo che vuol vedere, non solo, ma anche portare proprio là, sul sacro suolo, più generosa del solito la sua offerta. A gara tutti hanno dato per una pesca benefica: a gara bisogna accorrere per assicurare all’iniziativa frutti copiosi. Quanto già si vede compito è motivo di gioia: quanto si intravede che resta da farsi è stimolo a dare per giungere presto al compimento di quell'opera che può additarsi alla diocesi intera, come esempio magnifico a lode d'una popoìazione profondamente re­ligiosa.

Vivissimo si sente il desiderio del giorno in cui S. E. il Cardinale potrà consacrare la chiesa; perciò s'accresce il fervore per affret­tare quella solennità da tanti anni sospirata.

Fin dal 1908 era stata benedetta la prima pietra e iniziata la costruzione lenta per permettere contemporaneamente l'organizzazione della sicura raccolta di fondi; ma la guerra costrinse a sospendere i lavori; ripresi in tempi migliori, per dare esecuzione non più al primitivo progetto, ma a uno nuovo, più corrispondente ai desideri della popolazione, dell’architetto Ugo Zanchetta.  

Egli ideò, armonizzando le esigenze liturgiche con l'arte e con la praticità (che è pure uno degli elementi essenziali nella costruzione di chiese) un tutto monumentale grandioso, di cui è già possibile vedere l'effetto specialmente guardando le absidi, dove il mo­vimento e le proporzioni della parti richiama­no l’eleganza bramantesca a cui il progettista s'è in qualche atteggiamento, felicemente ispirato. La facciata, con la cupola e i fianchi, apparirà assai meglio nel suo complesso di linee e di colori quando sarà compiuta una sistemazione stradale nelle adiacenze, necessaria per dare risalto alla costruzione e con­veniente per la valorizzazione di tutta quella zona che, situata nel centro matematico della borgata, benché ai margini del grosso dei fabbricati, è destinata a florido avvenire.

L'interno, a croce latina, a tre navate terminanti in tre absidi, si presenta grandioso per la vastità di superficie e per la cubatura di circa tremila metri. Per chi ha interesse nelle misure, ecco altre cifre, superficie coperta: oltre duemila metri, lunghezza settanta; larghezza alla crociera quarantatre; altezza della navata centrale diciotto, delle laterali undici; la facciata s'eleva a ventitre metri, la cupola a quaranta, il campanile, di cui è costruito finora appena il basamento, ne misurerà sessantasette.

Dodici colonne assai snelle dividono le navate, senza impedire la visibilità dell’altare maggiore: quattro colossali colonne di granito ­ provenienti dalla vecchia chiesa – sorreggono la cupola ottagonale.

Opportunamente non vennero  costruite cappelle lungo il corpo della chiesa, sia per non distogliere l'attenzione dall'altare maggiore, sia per lasciare alle linee semplicità, che è insieme eleganza di ottimo gusto.  

Il cielo a cassettoni, eccetto nella tazza dell’abside maggiore e della cupola, non dimostra certo l’aspetto di agilità della costruzione, quando sarà tutto visibile l’interno (che oseremmo dire lontanamente intonato a reminiscenze di Brunelleschi) specialmente quando una sobria ornamentazione darà risalto agli elementi architettonici, e una abile mano di pittura ravviverà coi colori i pannelli ­richiesti dallo stile,

L’illuminazione, equilibrata, viene alla cupola dalla lanterna terminale, e al corpo della chiesa dall’ampio rosone sulla facciata, e da una serie di numerose finestre distribuite lungo il perimetro.

Alle esigenze pratiche per il funzionamento dell’ampia chiesa fu provveduto con agio: ampio il presbiterio e il coro, comode le cantorie, le penitenzierie, le sacrestie, non sono mai abbastanza lodate le comodità dei locali, annessi alle chiese; ci riesce quindi grato il trovarle abbondanti,

L’altare maggiore - se ha fondamento logico e liturgico il parere di chi scrive – dovrebbe avere ubicazione, meglio che nello spazio sotto l’arco dell'abside, quello sotto la cupola.

Un'altra caratteristica della chiesa merita di essere messa in rilievo: l'uso del cemento armato, non come ornamento, ma come anima - se così si può dire - della costruzione­, a concatenazione degli archi e delle murature perimetrali, collegando il tutto con la struttura del tetto e del soffitto, in modo da formare un sistema di intima collaborazione  statica fra i vari elementi: l’architetto, ordendo il tetto in cemento ha avuto di mira anche d'evitare la costosa manutenzione e il pericolo d'incendio: opportune camere d'aria equilibrano le variazioni di temperatura.

Già com'è, si mostra in tutta la sua maestà, semplice e sacra, senza novità eccentriche e senza ricalcare né nel complesso né nei dettagli stili passati. Una modernità e una personalità nobilmente impresse in tutta la concezione artistica, ravvivata da pensiero liturgico ben studiato sia nel simbolismo che nelle esigenze delle tradizioni nostre e dei nostri gusti, danno all'architetto Zanchetta il vanto d’aver costruito un tempio monumentale che riscuoterà largo favori di giudizi, specialmente quando sarà possibile vederne il compimento.

Giustamente il buon popolo di Cernusco è orgoglioso del suo bel tempio, ed è impaziente di entrarvi, per iniziare nuova era di crescente fervore.

La grande mole della nuova chiesa cambia, al panorama della gentile borgata, l'aspetto antico: dominando sopra le case, tra i campi della vasta pianura, da lontano Cernusco appare ingigantita tra i paesi che da Milano biancheggiano nel verde verso la fecondissima terra della Martesana. Sopra dominerà la croce.

Al generoso fervore del popolo di Cernusco, capace di creare nell'epoca nostra un'opera insigne della quale potrebbe sembrare esser stata capace appena la fede degli avi, tutta la Diocesi guarda con ammirazione.» (articolo a firma “Tamburini”).

 

Ammirazione e gratitudine - Questo anniversario ci invita, innanzitutto, a essere grati ai nostri padri che hanno intrapreso e portato a compimento la grande impresa di edificare una maestosa chiesa. In una comunità molto più piccola e parecchio più povera economicamente dell’attuale ebbero il coraggio di dare il via a un’opera non certamente facile. Basta guardarci in giro e domandarci quanti altri comuni della nostra zona hanno una chiesa così grande come la nostra? E forse capiamo anche perché a livello di incontri decanali e zonali spesso è scelta la nostra chiesa anziché altre.

Difficilmente oggi saremmo in grado di mettere in cantiere un’iniziativa simile. A chi l’ha voluta, progettata, costruita e finanziata - la stragrande maggioranza dei cernuschesi - tutta la nostra ammirazione e gratitudine.

 

Nel 1932, una comunità fortemente coesa e partecipe - Perché fu possibile quell’ardire? Perché si trattava di una comunità profondamente radicata nella fede, che testimoniava anche nella vita concreta di tutti i giorni – famiglia, lavoro, scuola, società - quella “buona notizia” che ascoltava e meditava fra le mura del tempio. Sola una comunità fortemente coesa e partecipe, unita attorno ai suoi preti, poteva riuscire in una così grande opera. Le tante forme associative che esistevano in paese – espressione di un maturo cattolicesimo sociale - ne erano una concreta testimonianza, unitamente alle molteplici iniziative che negli anni sorsero per finanziare la costruzione della nuova chiesa. Non dobbiamo dimenticare che “coloro che costruiscono le chiese visibili a Dio prima hanno costruito in sé una chiesa nel cuore.” (da una citazione di Giovanni Paolo II).

Oggi la nostra comunità è cosi coesa e partecipe? Quasi sicuramente no, se una persona solitamente prudente e misurata - come il nostro vicario episcopale di zona, monsignor Carlo Faccendini, al termine del suo incarico, nell’intervista concessa a Voce Amica e che pubblichiamo integralmente su questo sito - ha dato un giudizio sferzante: a proposito della nostra comunità pastorale ha detto che ha avuto «l’impressione più di una “confederazione di gruppi” che non quella di una comunità.»   

 

Oggi, quale Chiesa siamo? - L’anniversario di consacrazione della nostra prepositurale è, dunque, anche l’occasione di ripensare al nostro modo di essere Chiesa. Lo ha sollecitato don Ettore, prevosto di Cernusco, all’omelia della celebrazione eucaristica delle ore 9,30 di domenica 15 luglio, ponendo ai presenti alcune domande per un serio esame di coscienza: “Siamo una Chiesa che si mette in ascolto della parola di Dio sempre e comunque dando spazio alla proclamazione del Vangelo e partendo da esso per compiere le proprie scelte? Siamo una Chiesa che sa celebrare con gioia, ma anche con fedeltà, il mistero di Cristo innervando la propria vita quotidiana con il dono dello Spirito? Siamo una Chiesa che vive la comunione e la fa crescere soprattutto nella capacità di favorire il cammino dei più deboli e dei nuovi arrivati? Siamo una Chiesa in dialogo con la società e al servizio degli uomini capace di scorgere il bene e di leggere i segni dei tempi là dove si manifestano nella nostra vita?”

A conclusione della sua omelia, don Ettore ha invitato tutti a chiedere “al Signore di essere consapevoli della duplice condizione in cui viviamo come cristiani: da una parte abbiamo il compito di essere tra le case testimoni della presenza di Cristo in ogni epoca della storia e in ogni parte del mondo; dall’altra non dobbiamo mai dimenticare di essere la famiglia di Dio pellegrina sulla terra, mai con una casa stabile, in cammino verso la Città del Cielo, che è la Gerusalemme celeste.”

 

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 16 luglio 2012

 

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