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HOME > La Nota della Settimana > N° 28/2011

LAVORARE CONCRETAMENTE SUL RICONOSCIMENTO DELLA DIGNITÀ DELL’ESISTENZA DI OGNI ESSERE UMANO”

 

Dopo un iter di oltre due anni, con 278 “sì”, 205 “no” e 7 astenuti, lo scorso 12 luglio la Camera dei deputati ha dato il via libera al disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), già approvato il 26 marzo 2009 dal Senato dove però dovrà ritornare in terza lettura per l’approvazione definitiva, a seguito delle modifiche apportate a Montecitorio.

 

Alcuni commentatori hanno scritto che questa legge (in allegato, una sintesi del testo approvato) obbedisce ai desideri della Chiesa. A noi non sembra che sia proprio così. È, invece, come autorevolmente sottolineato da più parti, il tentativo sofferto – sul quale hanno convenuto anche tanti “laici”, come ha dimostrato il dibattito degli scorsi giorni alla Camera, con emendamenti approvati o respinti, con voto segreto, quasi sempre a larghissima maggioranza - di dare risposte agli interrogativi che una scienza sempre più potente pone a familiari e amici di chi è arrivato alle soglie del fine vita o comunque non è più in grado di decidere quali cure ricevere.

Ai cattolici preme solo ribadire l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana, così come il rispetto della dignità di ogni malato, ed è certo che si sono spesi molto per questa legge, dopo le tristi vicende del “caso Englaro”. Gli stessi vertici della Conferenza episcopale italiana hanno detto parole chiare. Nella prolusione al Consiglio permanente Cei del 28 marzo 2011, il cardinale Angelo Bagnasco fu molto esplicito nel ritenere “che una legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita è necessaria e urgente. Si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella giurisprudenza creativa che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua”. “Chi non comprende – si chiedeva ancora il presidente dei vescovi italiani – che il rischio di avallare anche un solo caso di abuso, poiché la vita è un bene non ripristinabile, non può non indurre tutti a molta, molta cautela? Per rispettare la quale è necessario adottare regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani – nel contesto di una società materialista e individualista – risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste”.

Una linea fatta propria da un nutrito gruppo di intellettuali cattolici, con una “dichiarazione” resa pubblica ai primi di marzo («Fine vita, “paletti” necessari»), in vista della ripresa dell’iter parlamentare alla Camera, poi slittato per evitare strumentalizzazioni durante la campagna elettorale.

Ma nel mondo cattolico non tutti la pensano allo stesso modo. Le perplessità riguardano soprattutto l’efficacia concreta delle norme. Tra i “perplessi” anche Antonio Pessina, direttore del centro di bioetica dell’Università Cattolica, (che) pur condividendo i principi ispiratori del disegno di legge, avanza dubbi sul fatto che davvero si ottenga l’effetto sperato introducendo un riconoscimento giuridico delle direttive anticipate, che già ora potevano essere “prese in considerazione” dai medici. Con il rischio di togliere i vincoli attualmente presenti e aprire le porte sia all’eutanasia, sia al suicidio assistito.


 

In questi giorni abbiamo letto molti commenti sulla legge appena approvata, dagli editoriali di note personalità (teologi, moralisti, costituzionalisti, uomini di scienza) alle dichiarazioni rilasciate da esponenti politici, da rappresentanti delle associazioni e delle istituzioni. L’intervento che ci ha offerto più spunti di riflessione è quello di Mario Melazzini, persona con disabilità e medico.

«Oggi, una certa corrente di pensiero – ha scritto Mario Melazzini - ritiene che la vita in certe condizioni si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come a un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della malattia. In questi tempi in cui si parla sempre più, con scarsa chiarezza, di diritto alla morte, del principio di autodeterminazione, di autonomia del paziente, si deve lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano che deve essere il punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza e si impegna affinché la malattia e la disabilità non siano (o diventino) criteri di discriminazione sociale e di emarginazione.
Il dolore e la sofferenza (fisica, psicologica), in quanto tali, non sono né buoni né desiderabili, ma non per questo sono senza significato: ed è qui che l’impegno della medicina e della scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità, e per migliorare la loro qualità di vita, evitando ogni forma di accanimento terapeutico. Questo è un compito prezioso che conferma il senso della nostra professione medica, non esaurito dall’eliminazione del danno biologico.
La medicina, i servizi sociosanitari e, più in generale, la società, forniscono quotidianamente delle risposte ai differenti problemi posti dal dolore e dalla sofferenza: risposte che devono essere implementate e potenziate e che sono l’esplicita negazione dell’eutanasia, del suicidio assistito e di ogni forma di abbandono terapeutico. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive una condizione di malattia: questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati e delle loro famiglie, introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società, e favorisce decisioni rinunciatarie.
La legge sulle Dat, va vista anche come uno strumento che ci porterà a riflettere su temi eticamente sensibili, che stimolerà la cultura verso la malattia, la fragilità, la vulnerabilità, la disabilità. Ma sempre più quando si parla di questa nuova legge su vari quotidiani leggiamo che “la posta in gioco è libertà e dignità della vita” che non verrebbero tutelate ... Ed ecco, allora, che – come cittadino, come persona con disabilità, come medico – io dico: diritto di morire o libertà di vivere? Eutanasia o accanimento terapeutico? Autodeterminazione o relazione clinica?

Il confronto serio e costruttivo con tutti i protagonisti del dibattito in corso passa da una condizione preliminare: intendersi sulle parole, imbastire sine ira ac studio un lessico condiviso. La sensazione, però, è che si stia andando in un’altra direzione. A svolgersi è sempre quello che io chiamo "il tema del benpensante", secondo la cui tesi in determinate situazioni di fragilità o di malattia la vita non è più degna di essere vissuta. I benpensanti perdono di vista il nucleo del problema: la vita umana, l’essere umano, la persona.
Si dovrebbe guardare alla vita umana come mistero non riducibile al suo livello biologico e non manipolabile da nessuno. È una questione totalmente e radicalmente "laica" che ha riguardato e riguarda ognuno di noi. La legge proposta guarda in modo incondizionato al bene del paziente, ribadisce l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana, il "no" sia all’abbandono sia all’accanimento terapeutico, il "no" all’eutanasia e al suicidio assistito. Ed è necessaria, questa legge, perché il valore della vita e la salvaguardia della libertà e della dignità della persona umana non possono più essere lasciate a una qualche decisione dei giudici. È sbagliato dipingerla come una legge che divide, perché può, anzi deve, diventare uno strumento di condivisione per un obiettivo comune: lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano come punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza.
Un Paese che voglia veramente dirsi civile deve essere in grado di mettere tutti i propri cittadini nella condizione di vivere con dignità anche l’esperienza della malattia e della grave disabilità, promuovendo l’inclusione e non l’esclusione sociale o, peggio ancora, l’isolamento e l’abbandono. Basta nascondersi dietro a falsi ideologismi pregiudiziali sulla definizioni di dignità della vita. La dignità della vita, di ogni vita, è un carattere ontologico che non può dipendere dal concetto di qualità di vita "misurata" in base a un processo utilitaristico. Basta affermazioni del tipo nutrizione e idratazione sono atti terapeutici, artificiali, no, sono semplici strumenti di supporto vitale. Dovremmo però essere anche noi medici a contribuire, assieme alle Istituzioni, a rinsaldare nel nostro Paese la certezza che ognuno riceverà trattamenti, cure e sostegni adeguati.
Si deve garantire al malato, alla persona con disabilità e alla sua famiglia ogni possibile, proporzionata e adeguata forma di trattamento, cura e sostegno. L’indipendenza e l’autonomia del medico, che è un cittadino al servizio di altri cittadini, potranno garantire che le richieste di cura e le scelte di valori dei pazienti siano accolte nel continuo sforzo di aiutare chi soffre e ha il diritto di essere accompagnato con competenza, solidarietà e amore nel percorso di fine vita.»
(Mario Melazzini - Presidente nazionale Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLAOnlus), Direttore scientifico Centro clinico NeMo-Milano – per Avvenire, 16 luglio 2011).


 

Se siamo consapevoli che la vita è un "dono" e che comunque è "altro" dalle nostre capacità e potenzialità, cercheremo sempre di difendere questo "dono" per noi e per gli altri e lo difenderemo soprattutto quando ha più bisogno di sostegno, all'inizio e alla fine della vita.
Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 18 luglio 2011

 

Allegati:

“Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”: sintesi del testo approvato


 

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