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HOME > La Nota della Settimana > N° 25/2011

BEATO CLEMENTE VISMARA E SUOR GIUSEPPA


 

La Chiesa Ambrosiana ha tre nuovi beati - don Serafino Morazzone, suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara - saliti domenica 26 giugno all'onore degli altari in piazza Duomo a Milano. La cerimonia di beatificazione è stata presieduta dal nostro arcivescovo, Dionigi Tettamanzi, che nel presentare la celebrazione ha voluto sottolineare come il tratto che accomuna le tre figure è lo “spendersi per amore degli uomini”. Don Morazzone, il parroco di Chiuso ricordato da Manzoni nei Promessi sposi, suor Enrichetta Alfieri, l'angelo di san Vittore, padre Clemente Vismara, il missionario in Myanmar, operarono in tempi e luoghi diversi ma ebbero “la cura per una profonda alleanza tra socialità e spiritualità”. Per il nostro cardinale “queste tre figure ci ricordano come ci sia un estremo bisogno di speranza oggi in casa nostra e quotidianamente, perché il bene è nascosto nell'ordinario e questi tre beati hanno vissuto la loro vita ordinaria in modo straordinario”.


 

Padre Vismara e Cernusco - C’è un legame particolare che unisce padre Clemente Vismara alla comunità cristiana cernuschese. Tra le religiose che hanno collaborato con lui per tantissimi anni, in quella lontana terra asiatica, c’era anche una nostra concittadina, suor Giuseppa Manzoni, la cui storia ha dell’incredibile, ma ve la raccontiamo dopo quella di padre Vismara.

La vita di padre Vismara - Non è affatto immediato capire le ragioni che hanno portato alla beatificazione di Padre Vismara. In un primo momento la sua esperienza missionaria in Myanmar – si legge sul sito appositamente predisposto per la sua beatificazione (www.beatovismara.it) - pur problematica, non sembra molto diversa da tante altre: estrema povertà, isolamento, continue repressioni da parte del regime militare sono esperienze purtroppo comuni tra i missionari. Quello che segna profondamente padre Clemente e rende la sua esperienza unica è il suo modo di vivere e trasmettere il messaggio del Vangelo, la sua profonda umanità. Ha scritto Gerolamo Fazzini, di Mondo e Missione: “Padre Vismara ha testimoniato e ha educato alla vita buona del Vangelo. Lo ha fatto, in primis, mostrando la bellezza dell’essere cristiani, vivendo in condizioni ai limiti dell’umano, con una a dir poco invidiabile serenità di cuore, con una incrollabile fede nella Provvidenza.”

Padre Clemente Vismara è nato ad Agrate Brianza, il 6 settembre 1897, quinto di sei fratelli e sorelle. A cinque anni ha perso la madre, a otto anni rimane orfano anche del padre, e viene educato dagli zii (tra loro due sono sacerdoti). Nel 1913 inizia a frequentare il liceo presso il Seminario Diocesano San Pietro Martire a Seveso. Nel 1916 è chiamato alle armi e combatte sull’Adamello contro gli austriaci, guadagnandosi così la medaglia al valor militare. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale riprende gli studi e nel 1920 entra nel PIME a Milano; questo è l’inizio del suo percorso di fede, che lo porterà ad essere ordinato sacerdote nel 1923. Sempre in quell’anno parte per la Birmania, dove giunge alla fine di settembre.

Dopo una breve permanenza a Toungoo e a Kengtung, padre Clemente giunge il 27 ottobre 1924 a Monglin, dove fonda ex novo una missione. La situazione è difficilissima: povertà, scarsità di cibo e  malattie tropicali caratterizzano la zona. Nonostante l’ambiente ostile, la tenacia e gli sforzi di padre Clemente vengono ripagati: nel corso degli anni ‘30 il sacerdote fonda ben quattro distretti missionari (Monglin, Mongyong, Kenlap, Mongpyak) e la comunità cristiana si espande giungendo a circa 2.000 battezzati. Padre Vismara concentra il suo maggiore sforzo nel dare un’occupazione gratificante agli indigeni trasformandosi lui per primo in agricoltore, allevatore, sarto, barbiere, dentista, muratore, boscaiolo. Presta particolare attenzione alle vedove, che nella cultura locale sono considerate portatrici di disgrazie, e agli orfani (nel 1931 fonda l’orfanotrofio femminile accanto a quello maschile creato in precedenza). Nel 1941, mentre i giapponesi progettano di conquistare il Myanmar, padre Vismara viene internato dagli inglesi assieme agli altri missionari del PIME. L’attività della missione riprenderà dopo l’occupazione giapponese, nel 1942.

 Nel 1955 padre Clemente viene inviato a Ming Ping, 225 km da Monglin, in un ambiente più salubre ma in cui è necessario ripartire da zero. All’inizio degli anni Sessanta, nel giro di poco tempo riesce a dotare Mingping di un orfanotrofio, una scuola, una chiesa, le case per i missionari e le suore. Nonostante le condizioni di salute sempre più precarie, padre Vismara continua nella sua opera con una grande resistenza fisica.

Negli anni Ottanta fonda nuovi distretti missionari a Tongtà e a Pannulong. Si spegne il 15 giugno 1988, all’età di 91 anni, dopo ben 65 anni di missione, al funerale accorrono anche molti buddhisti e musulmani.

Padre Piero Gheddo, postulatore della causa di beatificazione di padre Vismara, così lo ha descritto: “Dove andava costruiva la cappella, l’asilo e la scuola. Faceva sempre le medesime cose con grande semplicità, ma lo spirito era eccezionale, un uomo pienamente unito a Dio. Un uomo di fede semplice ma intensissima (alle quattro e mezza del mattino era già in cappella e ogni giorno ci ritornava sei volte), come semplicissima era la sua catechesi: ripeteva sempre quelle verità elementari apprese da ragazzo: amare Dio e il prossimo, fare la carità. Padre Clemente, dopo ogni visita in un villaggio ritornava con due o tre bambini, che portava alle suore.” Del gruppo di religiose che ha collaborato con padre Vismara, come abbiamo già accennato, c’era anche la nostra concittadina suor Giuseppa Manzoni.


 

Suor Giuseppa Manzoni è partita per la Birmania nel 1931 e non è mai ritornata in Italia. Un'autentica missionaria del Vangelo. Nata a Cernusco il 13 maggio 1904, entrò nella congregazione delle suore di Maria Bambina e partì per il Paese asiatico nel maggio del 1931; dopo circa un anno trascorso in India, dapprima fu destinata a Mong Lin e nei villaggi dei dintorni, poi nel lebbrosario di Kengtung, distante pochi chilometri. Qui ha pronunciato sia i primi voti, nel 1932, sia, sei anni più tardi, quelli per­petui. Da allora è sempre stata lì; dopo il lebbrosario, suor Giuseppa si dedicò agli orfani in un contesto politico che è sempre stato ostile alla presenza dei missionari. Nel 1966 sfuggì all'e­spulsione decretata dal governo milita­re birmano, salito al potere nel 1962, per tutti i missionari stranieri giunti nel Paese dopo il 1948. Di lei non si seppe quasi più nulla per moltissimi anni. Voce Amica pubblicò alcune sue lettere solo nel 1982. E un bel giorno la ritroviamo "protagonista" di un libro e di numerosi articoli di giornali, dopo che padre Piero Gheddo del P.I.M.E. riuscì a mettersi nuovamente in contatto con lei e le altre suore della missione. Infatti, nel 1993 un noto giornalista - Tiziano Terzani - corrispondente dall'Asia per alcuni giornali europei, ricordandosi di una profezia di un vec­chio indovino, decise di non volare e di girare l'Asia in treno, in nave, in auto e anche a piedi. Fu così che incontrò suor Giuseppa e, di quell'indimenticabile incontro, ne parlò nel suo libro "Un indovino mi disse" (Longanesi & C. - 1995 - pagine 429).

All'inizio del 1997 un gruppo di amici del Laboratorio missionario "Beato Gio­vanni Mazzucconi" di Lecco si recò in Birmania. A Kengtung, "dopo un viag­gio che definire avventuroso è un palli­do eufemismo", il gruppo incontrò Suor Giuseppa. Raccontarono al settimanale “Città nostra” del loro col­loquio con la nostra concittadina e del ricordo che aveva sempre nel cuore: "la sua Cernusco".

A novembre del 1998 il gruppo missionario della Parrocchia di Santa Maria Assunta riu­scì a mettersi in contatto con una suora birmana, che era venuta in Italia e che viveva con suor Giuseppa. La consorella rassicurò che la nostra concitta­dina stava bene, anche se aveva diffi­coltà visive e di deambulazione. Era lucida di memoria, riempiva le sue gior­nate di preghiera e ogni volta che rice­veva Voce Amica se lo faceva leggere dalle altre religiose.

La vicenda umana e religiosa di suor Giuseppa tornò alla ribalta nel dicembre del 2000, per­ché il prevosto di allora, don Luigi Caldera, ricevette prima una telefonata e poi una lettera dalla provincia di Verona.

In Birmania – scrisse il connazionale - ci andammo «non solo per la curiosità di conoscere popoli, tradizioni, cultura, società, economia, di quel Paese, ma anche perché tutti avevamo bisogno di evadere dalle preoccupazioni e dalle tentazioni del vivere quotidiano: politica, economia, tensioni sociali, corsa sfrenata e mai appagabile, verso un benessere che è sempre là davanti, dove altri sembrano essere arrivati ma che in realtà non sarà mai raggiunto. Tutto ciò crea una tensione di insoddi­sfazione e di preoccupazione per la nostra società occidentale, ma sopratutto lo constatiamo in chi ci è più vicini, più caro: i nostri figli. Con questo stato d'animo abbiamo affrontato il viaggio e con altrettanta curiosità abbiamo varca­to a Kengtung la soglia del Monastero del Cuore Immacolato, segna­lata su manuali turistici come meta e dove ha voluto portarci la guida buddista, per conosce­re una suora italiana di 97 anni venerata tutti come la "Madre Teresa" birmana. Si chiama Suor Giuseppa Manzoni di Cernusco sul Naviglio. Da 60 anni vive là e non ha pensato di ritornare in Italia perché sa che non la farebbero più rientrare in Birmania. Vive nella casa che ha fatto costruire assieme a 20 consorelle per aiutare a crescere 192 ragazzi e ragazzi della tribù Shan le cui famiglie sono in diffi­coltà. Abbiamo visto quei bimbi: erano sereni, allegri, avevano negli occhi la voglia di vivere pur essendo stati abbandonati dalle famiglie. Se anche tutti i nostri bimbi avessero quegli occhi e quella voglia di vivere! La casa era pulita, in ordine pur essendo tutta di legno, pure i letti.

Siamo stati a salutare suor Giuseppa. Era a letto molto ammalata. Le era stata annunciata, poche ore prima, la nostra visita. Aveva manifestato felicità ed emozione. Quando siamo arrivati era però assente con la mente anche se manifestava serenità di fronte alle amorevoli attenzioni delle consorelle e dei bimbi che a turno la "viziavano" di affetto e di baci. Io non so se ci abbia riconosciuto, non so se il suo stato di saluto sia peggiora­to o migliorato, so di certo che il segno di croce che ha fatto con tanta tenerez­za ed affetto voleva essere un saluto all'Italia e un atto di grande riconoscen­za che resterà incancellabile nel mio cuore.

Ho capito che la santità è tanto più eroi­ca quanto più la si vive con semplicità ed umiltà nella gioia di dare agli altri un po' di affetto sfidando a testa alta qual­siasi pericolo, qualsiasi minaccia, qual­siasi persecuzione.

Suor Giuseppa è in Birmania da 60 anni, di là non si allontanerà mai perché non vuole rischiare di non poter tornare laggiù dove oggi 192 ragazzi la amano, la venerano, ma dove da decenni molti le devono la vita.

Anche la Birmania ha arricchito tutti noi: non solo di tramonti, non solo di pae­saggi, non solo di monumenti, ma anche della serenità che la povertà può essere vissuta con grande dignità. Con devozione e con la certezza che Cernu­sco non potrà dimenticare suor Giu­seppa.»

Suor Giuseppa Manzoni è morta il 19 ottobre 2000, alla veneranda età di 96 anni.


 

Sappiamo che molti credenti, pur avendo vissuto una vita da santi, non hanno raggiunto l’onore degli altari, ma la loro testimonianza non è meno importante e la gente comunque li riconosce come tali. È il caso, per esempio, di suor Giuseppa. Cernusco non può che essere orgogliosa e riconoscente al Signore per quanto ha fatto questa suora e continuano a fare tanti missionari e missionarie che dalla nostra comunità sono partiti per altri continenti per annunciare il Vangelo. Spetta a noi non sprecare un così grande patrimonio di valori e di fede.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 27 giugno 2011

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