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HOME > La Nota della Settimana > N° 24/2014

DA BREMBATE A MOTTA VISCONTI:
“L’UMILTÀ E IL CORAGGIO DI PREGARE”

Hanno suscitato molto sgomento i due casi di cronaca nera alla ribalta della scorsa settimana: l’individuazione del presunto omicida di Yara Gambirasio e l’efferato omicidio di Motta Visconti.

La vicenda di Yara, peraltro, ha insegnato a tutti - grazie anche alla testimonianza straordinaria di una famiglia e di un paese intero - proprio che la ricerca di giustizia non si confonde con la vendetta. Che il dolore straziante non acceca l’umanità, non fa dimenticare il vincolo che lega la comunità, non può far dimenticare che ci sono persone, famiglie, bambini, travolti da una nuova tragedia e da un nuovo dolore.

A Motta Visconti il tragico evento «ha lasciato tutti senza fiato - confessa il parroco, don Giovanni Nava, al cronista di www.chiesadimilano.it -. Marito e moglie erano giovani cresciuti in oratorio, che tutti conoscevano. Non si può fare a meno di chiedersi come sia potuto succedere? Ma nessuno umanamente è in grado di dare una risposta». Per il cristiano la via per affrontare queste situazioni è la preghiera. Per le persone che hanno perso la vita, per il marito e padre che ha ucciso, che ora si trova in prigione, per le famiglie che hanno perduto i loro cari. «Una preghiera che si faccia strumento di intercessione, di conforto, di maggiore unità e fraternità tra noi», continua don Nava. Anche il dolore innocente, infatti, se vissuto cristianamente può generare frutti di comunione.

«È inutile aumentare il numero delle forze dell’ordine o i posti nelle carceri - sottolinea il parroco -. Dobbiamo accendere la telecamera che è in noi, la nostra coscienza. Altrimenti fatti così si verificheranno ancora».

Ragazzi che crescono nell’epoca di internet e dei social network, abituati a esprimere i propri pareri con un click su “mi piace” o “non mi piace”, che non hanno il tempo e soprattutto la voglia di pensare e di riflettere. «Se tutto questo vale anche nella vita reale, viene a mancare l’etica della responsabilità. È bello invece coltivare relazioni profonde, avere reti familiari amiche che si confidano e si aiutano tra loro. Nessuno poteva immaginare cosa Carlo (reo confesso degli omicidi) avesse dentro di sé, altrimenti si sarebbe potuto fare qualcosa», conclude don Giovanni.

«Abbiamo bisogno di silenzio»: sono le parole risuonate all’inizio dell’omelia della Messa celebrata dal vicario generale della nostra diocesi, monsignor Mario Delpini, ai funerali delle tre vittime di Motta Visconti. «Il clamore delle notizie – ha proseguito il vicario generale - sul fatto incomprensibile, il moltiplicarsi delle parole quando non c'era nulla da dire, l'ossessione delle immagini quando non c'era nulla da vedere, l'affollarsi delle curiosità sulla vicenda tragica, una specie di gusto di aggiungere particolari, di formulare ipotesi per dare una spiegazione all'inspiegabile tutto questo ci ha riempito di confusione: abbiamo bisogno di silenzio. La vita delle famiglie generose e buone è stata ferita, sconvolta, invasa da domande e indiscrezioni: abbiamo bisogno di silenzio.» Monsignor Delpini ha poi constatato come, dopo questo tragico fatto, «le parole sono come travolte dal disagio di avere perduto il significato che sembrava ovvio, il significato che tiene in piedi il mondo. Dopo quello che è successo, infatti, che cosa significano parole come “papà”, “figlio”, “amore”, “normale”? Abbiamo bisogno di silenzio. Il silenzio che custodisce la discrezione, che si sottrae alla curiosità, che prende tempo per piangere, per piangere e riflettere, per piangere e perché le lacrime provino a lavare le tracce del male e le ferite. Abbiamo bisogno di silenzio. Per favore facciamo silenzio.» Ma subito dopo, il vicario generale ha aggiunto che insieme al silenzio «sentiamo la necessità della parola: che ci sia una parola per dare un nome ai fatti che hanno travolto tutto, che ci sia una parola per aiutare a capire, che ci sia una parola per continuare a vivere, una parola che consoli se mai sia possibile, una parola che consenta ancora di parlare. Viviamo in attesa di una parola, una parola che sia più seria delle chiacchiere, più affidabile dei luoghi comuni della consolazione, una parola che sia così vera da resistere a tutte i fatti che la negano, a tutte le storie che la contestano. Viviamo in attesa della parola.» Per il vicario generale, «l’unica possibilità che abbiamo di vivere insieme parola e silenzio è la preghiera. Ecco abbiamo bisogno di pregare, abbiamo l’umiltà e il coraggio di pregare, siamo attratti e persuasi a pregare, non ci resta altro che pregare. E forse queste sono le parole della preghiera: Pietà, Signore, pietà.»

Lo stesso invito è stato espresso dal papà di Yara: «In questi giorni dobbiamo pensare solo a pregare per la famiglia di Bossetti (il presunto colpevole dell’omicidio della tredicenne), perché stanno soffrendo più di noi». Raccogliamo questi inviti e preghiamo.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 23 giugno 2014

 

 

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