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HOME > La Nota della Settimana > N° 23/2012

VII INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE:
“ADESSO TOCCA A NOI VALORIZZARLO AL MASSIMO”

 

Ritorniamo a riflettere sul VII Incontro Mondiale delle Famiglie alla luce dell’insegnamento lasciato da Benedetto XVI alle famiglie del mondo. Nei suoi interventi, durante la visita a Milano, il Papa ha toccato tutti i diversi momenti della vita di una famiglia: l’educazione alla fede, i giovani, il rapporto con lo Stato, il fidanzamento e il matrimonio, il dolore, il tempo libero … Parole chiare, capaci di rompere e sconvolgere alla radice le teorie ricorrenti e sempre più affermate nelle società del nostro tempo. Senza compromessi e senza benevole decurtazioni. Il Santo Padre ha ribadito nei momenti più solenni ciò che la fede cristiana pensa della famiglia: la sua inconfondibile fisionomia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna e i suoi diritti e doveri. Una volta chiarito questo, resta un vasto terreno in cui è comunque possibile lavorare insieme con chi, pur non aderendo totalmente alla visione cristiana, accetta la famiglia come risorsa imprescindibile per lo sviluppo della società.

 

IMPEGNO E RESPONSABILITÀ - Il nostro Arcivescovo, cardinale Angelo Scola, in un intervista rilasciata all’Agenzia Sir, ha affermato che le prime parole che gli sono venute in mente, dopo il grande evento, «sono, oltre a “gratitudine”, “impegno” e “responsabilità”. Un evento straordinario come questo è “conveniente” quando prende forma dall’ordinario e ridà qualità all’ordinario. Per i temi scelti e per il Magistero del Papa, il VII Incontro Mondiale delle Famiglie è andato al di là di ogni aspettativa. Adesso tocca a noi valorizzarlo al massimo come un ponte che ci conduce all’inizio dell’Anno della fede.» L’incontro del Santo Padre con le famiglie di tutto il mondo, ha aggiunto Scola, «ha favorito una migliore comprensione della “convenienza” – nel senso etimologico del termine, da con-venire – anche per l’umanità di oggi della famiglia che i sociologi definiscono “normocostituita”, formata da un uomo e una donna con figli. Il grande impatto che questo appuntamento ha avuto in tutto il mondo attraverso i media e la televisione ha messo questa famiglia al centro dell’attenzione. Il che non significa che non si debbano non discutere tutti i problemi annessi e connessi, ma è necessario mantenere una gerarchia di valori e questo è stato un contributo straordinario proprio in tale direzione”.
Parlando quindi del significato della visita di Benedetto XVI per Milano e per la diocesi ambrosiana, l’Arcivescovo si è detto “colpito dalla straordinaria vitalità del popolo ambrosiano. È come se fosse stata l’occasione privilegiata per far emergere da una parte la solida tradizione senza la quale un simile evento non sarebbe stato possibile, dall’altra parte la disponibilità di questo popolo a rischiare per una nuova evangelizzazione.”.
Per Scola, «la famiglia è la grande condizione perché il desiderio di infinito che è insopprimibile nel cuore dell’uomo trovi una strada per compiersi. Quando vado nelle parrocchie, capita spesso che persone anziane mi vengano a dire, sorridenti, dei loro 50 o 60 anni di matrimonio; in esperienze come queste trovo la conferma che la famiglia ha incanalato questo desiderio di infinito, aiutandolo a superare le contraddizioni, le fatiche, le difficoltà e permettendo alle persone di ritrovarsi davanti una vita riuscita.»
Il messaggio lanciato dal nostro arcivescovo alle famiglie di tutto il mondo è riassunto nell’invito a «volersi bene, fino in fondo, essendo capaci di arrivare fino al perdono reciproco. Dobbiamo riprodurre tra di noi, in famiglia, quell’abbraccio con cui Dio ci fa ripartire ogni mattina. E questo vale soprattutto per chi è nella prova, per le famiglie che soffrono incomprensioni o divisioni. Come Chiesa, dobbiamo far sentire il nostro abbraccio in modo particolare a loro.»

 

L’IMPORTANZA DELLE BUONE RELAZIONI UMANE -  Il card. Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia - a proposito del messaggio e dell’idea di famiglia emersa durante il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, in grado di contribuire allo sviluppo di un ragionamento comune tra Chiesa e società - ha affermato che «la famiglia normale (coppia stabile uomo-donna, unita in matrimonio, con due o più figli) è più felice per le persone che la compongono e più vantaggiosa per la società perché, sebbene sia mediamente più povera dal punto di vista economico, è più ricca di relazioni umane. La mia non è un’affermazione “di parte”, ma è stata convalidata da ricerche sociologiche rigorosamente scientifiche che abbiamo presentato durante il Congresso teologico-pastorale che si è svolto nell’ambito del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, a dimostrazione che la posizione della Chiesa non è ideologica ma confermata dalle scienze e soprattutto dalla realtà.»

Sull’importanza delle qualità delle “relazioni umane” ha molto insistito il cardinal Antonelli: «Mi pare che tutti gli spunti abbiano contribuito a riscoprire l’importanza delle buone relazioni. Cioè l’uomo come soggetto relazionale fatto per vivere, in buona armonia con tutti. Solo alla luce delle buone relazioni il momento della festa acquista il suo senso profondo.» E ancora «in una rete di buone relazioni tutti hanno la possibilità di crescere. E si gettano le basi per la coesione della società. Per noi cristiani la bontà delle relazioni rimanda alla comunione con Dio. In chiave civile aiuta a costruire quelle virtù come la gratuità, la solidarietà, la cooperazione, la disponibilità, il senso del sacrificio, che sono importantissimi per l’intera società.»

Proseguendo poi nel richiamare i temi affrontati nei lavori del congresso, Antonelli ha sottolineato, in materia di conciliazione della famiglia e del lavoro, che «il contributo più specifico delle famiglie al sistema economico consiste nella formazione del capitale umano, che è necessario per le imprese come il capitale finanziario e quello tecnologico. La famiglia dovrebbe essere sostenuta con un disegno organico di politica familiare che tuteli l’identità e i diritti della famiglia e preveda concreti provvedimenti da attuare progressivamente, a piccoli passi, secondo le possibilità: casa, occupazione, scuola, servizi, trasporti, ricongiungimenti familiari dei migranti. Le imprese, da parte loro, dovrebbero diventare più amiche delle famiglie sia per solidarietà umana sia nel proprio interesse perché, come ha detto il Papa, è stato dimostrato che nelle aziende in cui ai dipendenti è concessa maggiore flessibilità per armonizzare i propri tempi di vita c’è anche una maggiore produttività.»
Infine, per Antonelli «difendere la domenica è difendere la libertà dell’uomo. Dobbiamo difendere la domenica contro l’invadenza del mercato e la diffusione del lavoro no-stop. La domenica, se è celebrata bene, conferisce senso e bellezza anche alla vita ordinaria; dilata la festa anche nei giorni feriali. Così la famiglia diventa luogo di gioia quotidiana, di buon umore, di giocosità, di attenzione e dedizione reciproca, di ricchezza relazionale e affettiva, di ragionevole sobrietà nei consumi. E poi per noi cristiani la festa per eccellenza è la domenica, che va santificata con la partecipazione alla Messa.»

 

LA CHIESA DEL “SÌ” – Quella che si è vista e sentita a Milano non è certamente la Chiesa del “no” come spesso la dipinge una parte della stampa e dell’opinione pubblica. «Da Milano quella che è emersa con una forza tanto evidente quanto travolgente è 1'immagine e il senso della Chie­sa del “sì". Distante dalle rappre­sentazioni che se ne fanno comu­nemente, non arroccata su "pre­cetti" che ne dettano il senso, bensì fondata sulla roccia e protesa verso il domani, propositiva, ac­cogliente, attenta, concreta. Capa­ce di dire e di fare. Felice, anche: dove la felicità non vuol dire igno­rare i problemi, tanti, che esistono, e far finta che neppure ci sfiorino, ma affrontarli a viso aperto, forti di quella “speranza che non delu­de” che, ai cristiani, viene dalla fe­de. Consapevoli però, nello stesso tempo, che questa “speranza che non delude” ha qualcosa da dire, eccome, anche a un mondo laico che abbia voglia, finalmente, di misurarsi in un confronto vero sul filo non dei preconcetti, ma della ragione.

In questo senso, a Milano, Bene­detto XVI ha scritto una pagina in­dimenticabile di magistero. Sfi­dando la cultura moderna a ripar­tire da quell'idea di famiglia che è inscritta in una legge naturale che precede il cristianesimo. Se mai qualche dubbio residuo ci fosse stato su quello che è lo spirito che lo anima, ancora una volta lo ha offerto a tutti: ha messo da parte non Cristo ma ogni cifra confessionale e, scegliendo la via stretta, ha svolto il proprio ragionamento sul filo di un umanesimo antropologicamente stringente. Riproponendo le ragioni di una famiglia che va messa al centro della società, rivolgendosi ai politici chiamati a mettere un “più" amore nel loro impegno; ribadendo quei “valori non negoziabili” - vita, famiglia, educazione - che, nella sua visione, non possono né devono essere scambiati per “verità di fede”, come disse esplicitamente nel 2006, proclamandoli, ma che “sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità” . Provocazione forte, quella del Papa, all'intelligenza e alla cultura. Così come altrettanto forte è quella che Benedetto XVI, una volta di più, ha rivolto ai cristiani, "sfidandoli'' a una testimonianza chiara, cristallina, che sempre più ha bisogno di essere radicata nella fede per essere credibile agli occhi del mondo e a quelli della stessa comunità dei credenti rispetto ai propri problemi, che esistono - vedi la situazione dei divorziati risposati - e che devono sempre trovare la via della solidarietà, dell' accoglienza, dell'amore. » (Salvatore Mazza, Avvenire, 5 giugno 2012).

 

IN PROCESSIONE, PER LE VIE DELLA CITTÀ - Nella festa del Corpus Domini, lo scorso giovedì 7 giugno, alla sera, la Comunità pastorale cittadina si è riunita nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore per la celebrazione dell’Eucaristia, a cui ha fatto poi seguito la processione per le vie del quartiere.

“Questa sera – ha detto don Ettore Colombo, responsabile della Comunità pastorale, all’omelia della solenne concelebrazione - siamo chiamati a lasciarci amare da Dio, a amare il Signore Gesù, e a offrire la testimonianza di questo amore. Siamo chiamati a portare questo annuncio a tutti, proclamando la buona parola del Vangelo. Per questo faremo la processione per le vie della città, perché questo annuncio non può restare chiuso all’interno di una stanza.”

Don Ettore ha poi ricordato che “l’Eucaristia è il vertice della preghiera liturgica, è il vertice della vita stessa della Chiesa, è il cuore di ogni comunità cristiana, è la sorgente di ogni suo anelito missionario.” Poi ha aggiunto che obbedendo al comando di Gesù - “mangiate la mia carne e bevete il mio sangue “ – noi accettiamo di “entrare in comunione con Lui e celebrando la sua Pasqua partecipiamo sin d’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre e quindi della novità della sua stessa vita, che ora abita in noi.”

“Ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia – ha proseguito don Ettore - dovremmo riconoscere di essere innanzitutto oggetto dell’amore di Dio, che rinnova la sua alleanza con noi. Dopo viene la nostra preghiera, il nostro metterci davanti a Dio. Prima di tutto viene il suo amore: di questo amore siamo chiamati a fidarci e soprattutto di questo amore siamo chiamati a diventare testimoni ed evangelizzatori.»

Citando l’immagine del roveto ardente, narrata nell’Esodo, don Ettore ha così concluso: «l’Eucaristia è fuoco divorante della presenza di Dio che trasforma tutta la nostra esistenza. Spesse volte purtroppo dobbiamo ammettere che per noi non è così l’Eucaristia, ma qualcosa di abitudinario. Nell’Eucaristia vive il Signore, si dona a noi con tutta la sua persona e domanda che anche noi ci affidiamo a lui con tutto noi stessi, donando poi interamente la nostra vita agli altri. Solo con questa convinzione possiamo evitare di vivere un dono così grande semplicemente come un dovere o addirittura ridurlo a una semplice devozione. L’Eucaristia è ben altro!”

Al termine della Messa, concelebrata da tutti i sacerdoti della Comunità pastorale, è seguita la processione eucaristica per le vie della città, sino a raggiungere, passando da viale Assunta, il Parco degli alpini. Una processione molto partecipata, vissuta in un clima di preghiera ma anche di apparente indifferenza della maggioranza dei Cernuschesi. Nell’oscurità della notte, le tante porte rimaste chiuse e le moltissime tapparelle che non si sono alzate al passaggio dell’Eucaristia - accompagnato dalla preghiera, dai canti e dalla musica della Banda cittadina – hanno sollevato interrogativi, ma soprattutto hanno reso evidente e urgente l’invito, ascoltato poco prima, a “essere testimoni ed evangelizzatori” dell’amore di Dio.   

Con la processione per le vie della città i cristiani non vogliono fuggire dalla realtà. Anzi, questo attraversare le strade sta a significare che proprio al cuore della società i credenti vogliono offrire  quanto di più prezioso posseggono: quell’Eucaristia che è principio di comunione, dentro e fuori la Chiesa, sorgente e fermento di vita buona, preoccupazione per il bene comune, mano tesa verso i poveri, i bisognosi, i malati i disabili le persone sole e le vittime della crisi.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 11 giugno 2012  

 

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