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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 20°/2009

Immigranti: che ne abbiamo fatto del Vangelo?

 

Lo scorso fine settima nella nostra città si è tenuta la seconda edizione della “Festa delle culture”, con un programma di iniziative, che nelle intenzioni dei promotori, aveva come filo conduttore “l’identità, intesa come incontro e contaminazione di storie, culture ed esperienze e come occasione per parlare e riflettere su diritti e cittadinanza delle persone migranti.” La festa è coincisa con l’intensificarsi, a livello nazionale, del dibattito sull’immigrazione, soprattutto a seguito della scelta del governo di rispedire in Libia i clandestini che tentano di raggiungere via mare il nostro Paese. Sappiamo bene che il tema dell’immigrazione è uno di quelli che più fa discutere e sul quale occorre riflettere. Ben vengano, dunque, anche queste feste se aiutano a comprendere queste migrazioni in atto.

Una certa propaganda, che va per la maggiore, cerca di accreditare la tesi che tutti i guai dell’Italia provengono dall’immigrazione. Ma sappiamo bene che non è così. Il tema è vasto e lo abbiamo affrontato già altre volte, questa settimana ci limitiamo a riproporre alcune sottolineature che riteniamo importanti.

 

L’Italia è già una nazione multietnica. «Piaccia o non piaccia, la realtà “racconta” un’Italia multietnica – ha scritto Giogio Paolucci su Avvenire, lo scorso 12 maggio - popolata da 150 nazionalità, e dove con tutta evidenza – anche per la comprovata funzionalità dell’immigrazione alle esigenze del mercato del lavoro – questa pluralità è destinata ad accentuarsi. Ma etnie e culture non sono ingredienti che possono essere mescolati in un “minestrone” in cui ogni sapore finisce per perdere la sua specificità. E l’Italia non è un Paese nato con l’immigrazione, nel quale sia ragionevole far  “ripartire da zero” una storia plurisecolare che ha radici profonde e molto qualificate. Chi sceglie di abitarlo deve fare i conti con un sistema giuridico, un modo di concepire la convivenza, il lavoro, l’istruzione, i rapporti tra uomo e donna, che si sono consolidati nel tempo e rispetto ai quali sono necessarie lealtà e condivisione totali. È a queste condizioni che la diversità delle culture può diventare occasione di reciproco arricchimento piuttosto che venire considerata una minaccia. In questo senso il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Mariano Crociata, ha tra l’altro ribadito la positività di una società interculturale, a patto che venga “inserita in un rigoroso rispetto della legalità, necessaria garanzia per l’integrazione”.
L’integrazione non è il frutto di formule magiche: è un processo che richiede tempo, pazienza e rigore, obiettivi chiari e condivisi, disponibilità a mettersi in gioco, vigilanza, perché le diversità non degenerino nella costruzione di recinti chiusi e impermeabili, ma contribuiscano alla costruzione di una società aperta e plurale. Una società in cui gli elementi costitutivi della nostra storia vengano fatti conoscere a chiunque desidera mettere radici in Italia, proposti a tutti nelle scuole, testimoniati nella prassi quotidiana.

 Solo a queste condizioni è possibile edificare quella “identità arricchita” che è l’obiettivo da perseguire per realizzare una società aperta e plurale, sicura e solidale.»
 
 

Come guardiamo ai problemi dell’Africa? Tutti abbiamo visto in televisione le drammatiche scene degli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste.  «È difficile – ha osservato Davide Rondoni, su Avvenire del 13 maggio 2009 - sentirsi “giusti” dinanzi a queste scene. Si è affranti. Sia chi pensa che è giusto risospingere indietro, nel quadro di norme internazionali, sia chi pensa che è ingiusto, perché si deve accogliere sempre, in particolare quando la gente è in mare. Il fatto è che anche sulle questioni più delicate è difficile intendersi.
E certi problemi a volte, no, non è per niente semplice affrontarli, limitati come siamo da una giustizia segnata dei nostri stessi caratteri umani, imperfetta. In queste faccende non ci sono necessariamente da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Si dice: povero continente di disperati, di scafisti e sfruttatori, che preme da oltre al mare. Ce li fanno vedere, sulle barche del niente. E ci viene da piangere sull’Africa. Tenuta in ostaggio dalla miseria e da imperi di cartapesta e fucili, da cui folle di uomini e donne cercano di andarsene. Però pochi mesi fa
(il riferimento è al recente viaggio del Papa in Africa), quando potevamo guardare senza schermi le cause e la natura dei problemi che stanno alla radice di questo esodo no, non ce li fecero vedere. Ci voltarono la testa da un’altra parte. Non facciamo di nuovo così. Non si parli, non ci si accapigli ancora una volta “usando” le miserie dell’Africa per guardare altrove. Guardiamoli in faccia davvero questi uomini, e facciamo ogni sforzo per accoglierli. In ogni caso, poi, concentriamoci sull’Africa. Su ciò che serve, su ciò che le necessita per trattenere con sé i suoi figli migliori. È un dovere dei governi, e degli uomini di buona volontà. Abbiamo l’esempio della passione e della libertà di giudizio del Papa. E quello di tanti cristiani impegnati ad aiutare l’Africa a rialzarsi.»  

Anche noi Cernuschesi abbiamo l’opportunità di conoscere dalla viva voce di alcuni nostri concittadini - religiosi, religiose e laici - che hanno messo la loro vita al servizio dei fratelli dell’Africa, la drammatica situazione di quel continente. A questo proposito, veramente interessante il “primo piano” di Voce Amica di maggio con articoli scritti da Cernuschesi che vivono in quella parte del mondo.    

 

Un’amara riflessione - quella di don Giancarlo Quadri, responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei migranti della nostra diocesi - sul vento gelido che colpisce spesso le nostre comunità cristiane. Con estrema franchezza, senza tanti contorsioni di linguaggio, ha reso manifesto un atteggiamento ampiamente avvertito, ma che sinora non era stato evidenziato pubblicamente. Il tutto senza dimenticare quanto di positivo comunque è fatto, da tante persone e comunità, per accogliere gli immigrati.

«Purtroppo – ha dichiarato don Quadri in un’intervista ad Avvenire, domenica 10 maggio 2009 - anche nelle nostre parrocchie si incontrano ormai sempre più profonde divisioni, discrepanze, ostacoli, esitazioni, per non dire anche contrarietà abbastanza diffuse per quanto riguarda il tema della migrazione. Quando vado in giro per le parrocchie, come mi capita ogni sera, vedo sempre più il primo grande ostacolo nel non saper distinguere un’accoglienza fatta di emergenze e del sovvenire a cose materiali, dal senso vero e profondo dell’accoglienza. Cioè un’apertura d’animo che dica che sono persone, prima di tutto miei fratelli, che arrivano per un piano preciso di Dio, della sua Provvidenza. Il primo passo è il porsi davanti alla Parola, prima che all’analisi sociologica e chiederci il perché di questa migrazione. Credo che la comunità cristiana si dovrebbe distinguere per questo. E servirebbe anche a creare nella società, che purtroppo non è più permeata dei valori cristiani, un nuovo clima culturale, un modo di vita di relazioni tra persone e gruppi sociali diversi da quelle improntate al guadagno, alla sfruttamento, alla non comunicazione. Viviamo in un’autentica emergenza culturale in cui il diverso, lo straniero, non ha più cittadinanza. … »

A rincarare la dose è intervenuto anche un prete di una parrocchia di Varese, da sempre impegnato nel servizio di accoglienza ai migranti: «Devo constatare che certa disattenzione delle nostre comunità sul tema dell’accoglienza dei migranti avviene nonostante i grandi messaggi dei nostri vescovi. … Vediamo, invece che la nostra gente, anche i bravi parrocchiani, si lasciano guidare da ben altri messaggi e allarmi sul tema degli extracomunitari, che arrivano da una certa mentalità dominante e politicamente ispirata. Ma allora, che ne abbiamo fatto dell’annuncio del Vangelo, viene da chiedersi?» Verso l’immigrato il clima che si respira è di «resistenza e ostilità, insomma, tutto il contrario di quello che predichiamo e ci dice il Vangelo.»

C’è, insomma, di che riflettere e discutere, anche per noi e la nostra comunità pastorale. Cernusco è forse una realtà diversa? A noi non sembra!

 

Nella seduta del consiglio comunale dello scorso 12 maggio è stato approvato il rendiconto consuntivo 2008 del nostro Comune ed è stata decisa la partecipazione, come socio fondatore, della nostra città, alla Fondazione  comunitaria “Terre e Navigli”.

Il dibattito sul “consuntivo” 2008 è stato tutto sommato sereno e pacato, perché il confronto politico tra maggioranza e opposizione avviene, in modo più vivace ed articolato, sul “preventivo”, essendo quest’ultimo il documento che detta le linee di intervento dell’amministrazione comunale nel corso di un anno. Tuttavia ci sono stati alcuni commenti che meritano di essere richiamati.

Il rendiconto si chiude con un avanzo di amministrazione di 442.000 euro (di cui 414.000 euro non spesi nella spesa degli investimenti ed euro 28.000 non spesi nella gestione delle spese correnti), per la competenza 2008, che sommato ai residui degli esercizi precedenti arriva a 2.627.000 euro.

Partendo da questi dati, il consigliere Cassamagnaghi ha tratto la conclusione che “l’avanzo di amministrazione è fatto con le contravvenzioni al codice della strada (oltre due milioni di euro) e che si poteva evitare l’aumento dell’addizionale comunale  Irpef”, che ha fruttato alle casse comunali entrate per circa due milioni di euro.

Il Sindaco, Eugenio Comincini, ha fatto presente che “quando si dice che a fronte di un avanzio di Bilancio di circa 2,6 milioni di euro non sarebbe stato necessario l’aumento dell’addizionale Irpef o che la dovremmo restituire si fa un discorso non completo o un po’ furbetto. Infatti, l’avanzo di amministrazione della gestione corrente è di sole 28.000 euro. Questo vuol dire che tutte le risorse che avevamo a disposizione, addizionale Irpef compresa, sono state spese quasi tutte e che, quindi, abbiamo monitorato bene le spese. Si può dire ai cittadini che il risultato conseguito è di gran significato, che il sacrificio che abbiamo chiesto a loro, con l’aumento dell’Irpef, ci ha consentito di garantire servizi importanti per la città.”

In un dibattito che ha visto toccare molti argomenti, anche non strettamente attinenti al rendiconto (viabilità, bocciodromo, assistenza ai minori, spese per il personale, rette degli asili nido, swap, società partecipate … ), Cassamagnaghi ha fatto anche un’altra osservazione, che l’amministrazione comunale farà bene a tenere nella dovuta considerazione. “La guida tecnica dei Lavori pubblici e dell’Urbanistica – ha detto il consigliere del Naviglio – dà qualche dispiacere. Gli uffici tecnici, per disposizione del dirigente, adesso ricevono pochissimo ed è aumentato il tempo di disbrigo delle pratiche, con lamentele continue dei professionisti e dei cittadini. Un richiamo all’attuale guida appare quanto mai consono.”  È forse anche per questo che la giunta comunale ha deciso di nominare direttore generale del Comune, sino al 31 dicembre 2009, l’attuale segretario comunale?

 

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 18 maggio 2009

 

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