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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 20°/2008

 

Giovani, i grandi dimenticati?

 

Questa settimana avevamo pensato di scrivere alcune considerazioni sulla sesta edizione del “Meeting della cultura” in versione decisamente minimale, sulla questione troppo presto dimenticata del sorvolo degli aerei, sull’inaccettabile rozzezza di un intervento di una lista civica sulla questione sicurezza, sulle oltre trentamila multe emesse sinora per transito in zona a traffico limitato, sul raffreddamento del mercato immobiliare locale, ma, alla fine, anche alla luce di alcuni drammatici fatti di cronaca nazionale, abbiamo deciso di porre la nostra attenzione su una questione che riteniamo fondamentale per il futuro della nostra comunità: l’emergenza educativa delle nuove generazioni.

Proponiamo innanzitutto alla comune riflessione una sintesi degli editoriali dei due settimanali cattolici delle diocesi (Verona e Piazza Armerina) che in queste ultime settimane hanno visto alcuni loro giovani accusati di efferati delitti.         

 

Il pestaggio di Verona - «Il pericolo, sempre dietro l'angolo - ha scritto il direttore del settimanale cattolico Verona Fedele, don  Alberto Margoni -  è che, una volta passata l'ondata emotiva, ci si dimentichi in fretta di quanto accaduto. E tutto venga ancora una volta assorbito oppure scrollato di dosso in un battibaleno …  Mentre invece è opportuno prendere coscienza ed interrogarsi seriamente su alcuni fenomeni presenti nella nostra società e che si propongono come pericolosamente attraenti per le fasce giovanili, le più a rischio in quanto ancora nella fase evolutiva verso una maturità che non coincide con il compimento dei 18 anni. Il primo lo individuerei nel nichilismo di cui quanto accaduto viene ad essere, a mio parere, una manifestazione lampante nella sua drammatica tragicità. … Quel nichilismo che porta a disprezzare la persona umana e la sua vita proprio in quanto nega l'esistenza di qualsiasi verità e di Dio stesso. E allora che male c'è ad aggredire l'altro perché ha i capelli lunghi o rasta? O perché veste, si atteggia o parla in un modo diverso dal mio? Se poi a tutto questo aggiungiamo un brodo di cultura a presa rapida nel mondo adolescenziale e giovanile, quale è certo pseudo tifo calcistico che crea appartenenza da un lato e avversari da sconfiggere (non solo sportivamente) dall'altro, la presenza di alcuni simboli e atteggiamenti condivisi, l'effetto esercitato dal branco su personalità deboli e facilmente influenzabili, il gioco è fatto Ed è un "gioco" che può arrivare sino alla tragedia.
Nella assurda morte di Nicola Tommasoli (“il 28enne aggredito in maniera tanto selvaggia quanto inconsulta da un gruppo di cinque giovani poco più che maggiorenni”) è sin troppo facile cedere al rischio delle generiche colpevolizzazioni. Diciamo piuttosto che tutti noi adulti ne usciamo, poco o tanto, sconfitti. Perché incapaci di intercettare le esigenze dei più giovani ma forse, prima ancora, di suscitare in loro delle attese, di trasmettere degli ideali, delle motivazioni forti sulle quali impostare la propria vita. Non è con la cultura della deresponsabilizzazione, dello scaricabarile, del "poverino il mio figliolo, è così bravo e tutti ce l'hanno con lui" che si educa e si pongono solide basi per formare delle personalità adulte e mature. E neppure proponendo modelli all'insegna di guadagni facili e senza fatica dove l'importante è apparire, possedere e consumare. Forse certe situazioni non sono anche una conseguenza del vuoto di noi adulti, delle nostre drammatiche incoerenze, peraltro puntualmente individuate dai figli, tra ciò che affermiamo e le scelte che compiamo?
Si tratta dunque di individuare qualche punto dal quale partire, a cominciare dalla creazione di una rete solida e coesa tra famiglia, scuola, istituzioni, parrocchia, agenzie educative, società sportive... dove si remi tutti dalla stessa parte, secondo le peculiarità e le specificità di ciascuno. Senza la paura di dover dire dei sani no anche decisi, di porre degli argini,
coscienti che se qualche tempo fa la questione cruciale era l'incapacità di trovare risposte autentiche e fragranti di senso per la vita, oggi, drammaticamente, sembra apparire l'incapacità di porsi le domande. Il che, da un punto di vista educativo, è assai più grave ed espone
allo sbando.» 

 

Niscemi, morire a 14 anni -  “Trovare il perché di tanta efferatezza forse aiuterà a fare giustizia e chissà un giorno a capire. Ma dietro queste cronache di dolore c’è sempre tanta solitudine, una società sempre più sola e alienata”. È il commento del settimanale della diocesi di Piazza Armerina - Settegiorni dagli Erei al Golfo - all’omicidio di Lorena Cultraro, la ragazza di Niscemi, uccisa da tre amici (Niscemi fa parte della diocesi di Piazza Armerina).

“Il colpevole – si legge nell’editoriale – non cancella il delitto, trovare le mani omicide non cancella la perdita. Bisogna fermarsi un attimo a riflettere e capire in che modo rispondere a tanta violenza. Morire a 14 anni avendo ancora tutta la vita davanti a sé... Deve essere un impegno cristiano delle nostre comunità salvaguardare ed educare i giovani al rispetto dell’altro come persona, a frenare la rabbia e addolcire il dolore: i giovani vanno accompagnati e non lasciati soli, sono le parole di sempre ma ancora lontane dal modello educativo che questa società del terzo millennio ha scelto”.

“Dietro questo delitto – secondo il settimanale cattolico – si annida il sintomo di una società malata, patologie croniche e permanenti che irrompono nella quotidianità come se fossero parte normale e corrente di quella stessa realtà: omicidi, episodi vandalici, atti xenofobi, bullismo... Le mani strumenti di morte forse un giorno saranno fermate e incatenate, ma l’incubo persiste, un malessere sociale che ormai è impossibile ignorare”. Per il settimanale, “il problema di fondo è il riposizionamento nella società dell’essere umano, posto ai margini come persona e valorizzato per quello che ha e produce, piuttosto che per il suo valore di essere umano, in quanto semplicemente persona. Più si ha in termini di possesso più si è, meno si ha in termini di possesso meno si vale, meno si è importanti e meno conta la vita di una persona”.

 

Quale è la condizione giovanile nella nostra città? Un’ampia domanda su un tema che ci sembra il grande assente nel dibattito cittadino.

A nostro parere, è importante avviare un confronto - da parte di chi ne ha la responsabilità istituzionale o educativa - per gettare uno sguardo, non superficiale e sbrigativo, su tutte le dimensioni sociali che coinvolgono ragazzi, adolescenti e giovani: famiglia, scuola, formazione, disagio e tempo libero.

Con grande disponibilità e apertura da parte di tutti, vincendo anche una certa tentazione a voler minimizzare e nascondere taluni comportamenti o a sentirsi messi sul banco degli imputati.

Non abbiamo ricette, riteniamo però che sia urgente interrogarci su questi problemi per non trovarci magari un giorno a risvegliarci, pure a Cernusco, con un fattaccio di cronaca nera sbattuto in prima pagina.

Non abbiamo ricette, ma ci sembra possibile indicare una direzione, che è quella di una reale presa di coscienza, da parte degli adulti, della loro responsabilità verso le nuove generazioni. Non si tratta di moltiplicare, come si vorrebbe fare in tema di sicurezza, i controlli, che i giovani sono bravissimi ad eludere, ma occorre riscoprire una tensione educativa, che sembra evaporata.

 

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 17 maggio 2008

 

 

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