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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 1/2011
 

SOGNO D’INIZIO ANNO:
LA CITTÀ CHE CI PIACEREBBE


 

Ci piacerebbe vivere in una città dove i credenti sappiano veramente annunciare la speranza cristiana, consapevoli che “innanzitutto per annunciare qualcosa si deve conoscere ciò che si annuncia. Altrimenti si va per approssimazioni e per facili distorsioni. Quindi (consapevoli che il primo passo da fare) è quello di conoscere, incontrare, meditare la Parola di Dio, che è Cristo, che ci viene incontro attraverso la parola scritta, le Sacre scritture, e la Parola trasmessa, la sacra tradizione del Magistero. E alla luce di questo, vivere nella propria vita il messaggio, la bellezza della fede, la gioia della fede cristiana e cattolica per poterne dare una testimonianza semplice, umile ma convinta. Ed è a questo punto che in tutti gli ambienti, dalla scuola, all’università, al lavoro, tra i diversi disagi sociali, si può annunciare la speranza che è Gesù Cristo. Una speranza che non è fuori dal mondo, perché Dio si è fatto carne.”

Ci piacerebbe vivere in una città dove i cristiani sappiano coltivare sempre l’amore per la verità e avere il coraggio di seguirla ovunque si mostri. Non manchi a loro «la disponibilità ad ‘essere cambiati’. La disponibilità a sopportare che Dio onnipotente ci cambi» perché «il vero spirito di fede porta una persona a staccare lo sguardo da se stessa, per volgerlo verso Dio, la porta a non preoccuparsi dei propri desideri, delle proprie abitudini, della propria importanza o dignità, dei propri diritti o opinioni, fino a poter sinceramente dire: “Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,9). Il profeta Isaia dice: “Eccomi, manda me!” (Is 6,8). E ancora più pertinenti sono le parole di san Paolo quando fu fermato sulla via di Damasco, dalla visione miracolosa: “Signore, che cosa vuoi che io faccia?” (At 22,10). Questa è la vera voce di chi si consegna totalmente: “Signore, che cosa vuoi che io faccia? Conducimi secondo la tua volontà; comunque sia, piacevole o dolorosa, io la farò”». (Beato Newman, dalle parole di un sermone predicato nel periodo anglicano, dal titolo La testimonianza della coscienza)


 

Ci piacerebbe vivere in una città dove i cattolici sentano il dovere di impegnarsi in politica. L’appello a “una nuova generazione di politici cattolici, non è un atto di disistima o ingratitudine verso quei cattolici che già ora, da tempo, sono impegnati in politica. Verso di loro semmai c’è l’incoraggiamento e l’invito ad essere sempre di più e sempre meglio una presenza incisiva, efficace, per il bene di tutti, a portare quindi il proprio contributo, chiaro, argomentato, nelle diverse sedi politiche … Vogliamo (però) insistere e incoraggiare i giovani che si sentono portati per questa forma di servizio alla collettività che è la politica, però preparandosi. Facendo discernimento su sé, sulle proprie capacità, attitudini intellettuali, morali. Preparandosi attraverso una vita cristiana radicata, profonda, attraverso una conoscenza il più possibile completa della Dottrina sociale cattolica e una conoscenza più puntuale, un addestramento circa la polis con tutte le sue articolazioni. Dalle più immediate e vicine come quelle territoriali, amministrative, a quelle più ampie e complesse che sono la politica nazionale.”


 

Ci piacerebbe vivere in una città che ricorda sempre le sue radici, non intende rassegnarsi al relativismo culturale e capace di riconoscere il valore dei segni della fede. “Quando uno smarrisce sé stesso, si vuole poco bene.” È quanto sembra stia accadendo all’Europa: “non si vuole bene perché sta sfigurando progressivamente il suo volto, la sua identità, negando la sua origine, le radici di ciò che di più bello e più prezioso ha e cioè quell’umanesimo plenario, aperto, solidale e comunitario che è eredità soprattutto del cristianesimo e del Vangelo … Perdendo l’identità propria, non si incontra nessuno”. Non vorremmo che ciò accadesse anche alla nostra città.

I Cernuschesi sappiano sempre riconoscere, in modo sereno ed oggettivo, quella che è la storia, la base, il fondamento della loro cultura: “quell’umanesimo profondo, ampio, esclusivo, che vede nel Crocifisso il segno della fede per tutti i cristiani e un segno di quello che è la gratuità della vita, di una vita spesa per gli altri. Quindi un simbolo estremamente ricco ed eloquente di quello che dovrebbe essere ogni vera società umanistica: la capacità di donarsi gli uni e gli altri nei rapporti quotidiani senza ricercare il proprio interesse, all’insegna della gratuità e dell’amore”.

Ci piacerebbe vivere in una città di famiglie semplici che sappiano sempre far trasparire una forte carica di speranza e di umanità, fatta di relazioni quotidiane, di affetti profondi e anche di fede. Famiglie semplici, che sappiano basare la “propria unità sull'amore, sul rispetto, sulla sincerità e sulla solarità del (loro) quieto vivere”. Famiglie che, anche quando si dovessero trovare a fronteggiare l’enormità del male, riconoscano nel “paese, nella casa, negli affetti, una comunità” che sa farsi presenza reale, silenziosa e vicina. Sappiano essere i confini di un mondo caldo, il segreto per non farsi annientare dal male.

 

Ci piacerebbe vivere in una città di adulti capaci di comunicare alle giovani generazioni il desiderio di coltivare “una storia viva, che nasce ed è guidata da ispirazioni alte, da ideali veri.” Sappiamo che «i giovani sono disorientati quando non vedono punti di orientamento; ma questi punti li desiderano e li cercano. Tocca a noi adulti essere dei riferimenti umili e autorevoli: il mondo degli adulti, invece, è a volte sofisticato, pieno di preconcetti e pregiudizi, pretende di costruire il futuro senza il passato, di poter guardare la storia con occhi sufficienti, di ritenere superato e vecchio ciò che è stato vissuto con frutto. I giovani chiedono altro con modi spesso indiretti, che richiedono da parte nostra di essere raccolti con attenzione e compresi. Non possiamo assistere rassegnati allo sbando della confusione valoriale che porta all’individualismo, che rinchiude ognuno in se stesso, uccide i rapporti, impoverisce il vivere sociale.
Tutti abbiamo sempre bisogno di essere educati e di educarci: nessuno è arrivato! Quanta umiltà ci vuole per educare e lasciarci educare!

I giovani hanno bisogno di vedere negli adulti delle persone libere: non perché fanno ciò che vogliono a capriccio, secondo gusti, voglie, interessi individuali. Liberi perché non sono ingiusti, perché fanno ciò che è vero e buono, perché seguono le regole, perché osservano le leggi, fedeli alla parola data e agli impegni assunti, decisi a fare il proprio dovere sempre, fieri di poter tenere la testa alta davanti a tutti perché a posto con Dio e con la propria retta coscienza; fieri di “stare all’onore del mondo”, di poter fare cioè – come dicevano i nostri vecchi – “bella figura” non perché ricchi o potenti, ma perché onesti e giusti.»
 

Ci piacerebbe vivere in una città che sa “fare sempre più rete”. A fronte della “grande preoccupazione che suscita la disoccupazione, il costo della vita per le famiglie”, la Chiesa da una parte - cercando di rispondere nell’immediato attraverso tutta quella rete fittissima di solidarietà che parrocchie e associazioni sanno sempre porre in essere – e i responsabili a tutti i livelli dall’altra parte sappiano “fare sempre più rete, dialogare proprio per costruire risposte sempre più efficaci e risolutive in un momento che non è soltanto una congiuntura economica che ha invaso il mondo ma che sembra anche un cambiamento strutturale di mentalità e di stili. Noi ci auguriamo, anche rispetto alla famiglia che è lo zoccolo duro, l’argine che ha tenuto più di ogni altro in questo momento difficile e continua a tenere, che ci sia un riconoscimento culturale ed economico sempre più efficace, sia per sostenere la famiglia, sia per incoraggiare i giovani a non avere timore a progettare una nuova famiglia con il dono straordinario di fare figli con maggiore serenità”.

 

Ci piacerebbe vivere in una città che sappia sempre dare forza e contenuti al principio della sussidiarietà. Sussidiarietà è investire sulle risorse umane, sociali e culturali, presenti nella società nelle più svariate forme, secondo un pluralismo di espressioni che è un indubbio segno di ricchezza e di vivacità: dall’associazionismo al volontariato, dalle categorie economiche ai gruppi sociali, dalle parrocchie alle cooperative … Da una parte ci sembra sia necessario che il Comune valorizzi sempre più strategie e metodi partecipativi in grado di far crescere le diverse realtà, dall’altra, è indispensabile che tutti sviluppino maggiormente il senso di responsabilità e di iniziativa. Talvolta, non nascondiamocelo, è più facile ridurre ogni questione a un problema di semplice assistenza, sia per chi deve erogare la prestazione, sia per chi pretende di riceverla.

 

Ci piacerebbe vivere in una città nella quale tutti siano consapevoli della complessità delle situazioni che ci si trova a dover affrontare: sicurezza, mobilità, inquinamento ambientale e acustico, pianificazione territoriale. Situazioni che richiedono risposte non solo tecniche, ma soprattutto etiche e culturali. In questa prospettiva, è indispensabile ripensare il concetto di “qualità della vita”, di autentico sviluppo economico, di servizio sociale e di “modi d’abitare”.

Pur convinti che lo stile di vita diffuso e i frenetici ritmi socio-economici non possono essere modificati per delibera, tuttavia, riteniamo che scelte politiche ed economiche possono indurre comportamenti sostenibili, capaci di avviare il cambiamento secondo la prospettiva indicata.

 

L’inizio dell’anno è sempre tempo per nuovi buoni propositi e per sognare. Lo abbiamo fatto anche noi, con riguardo alla nostra comunità pastorale e alla nostra città, nel tentativo di tracciare innanzitutto un percorso

per il nostro cammino personale e poi con la speranza che, se condiviso anche da altri, possa trovare anche qualche realizzazione.

Buona settimana e buon anno.

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 3 gennaio 2011

 

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