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HOME > La Nota della Settimana > N° 17/2011

«SIAMO DIVENTATI UN POPOLO
DELLA LONTANANZA DA DIO?»


 

C’è stata una domanda che è rimbombata forte nella Basilica di San Pietro, durante l’intensa omelia che Benedetto XVI ha pronunciato alla Messa Crismale del Giovedì Santo, per meditare sul significato simbolico degli oli sacri, ma soprattutto per interrogarsi su cosa vuol dire essere cristiani in Occidente dove l’apatia sta prevalendo su qualsiasi altro atteggiamento. Una domanda accompagnata da una riflessione e, alla fine, dall’invito a guardare con speranza a un grande testimone del nostro tempo: Giovanni Paolo II.

«I cristiani – ha detto il Pontefice - dovrebbero rendere visibile al mondo il Dio vivente, testimoniarLo e condurre a Lui. Quando parliamo di questo nostro comune incarico, in quanto siamo battezzati, ciò non è una ragione per farne un vanto. È una domanda che, insieme, ci dà gioia e ci inquieta: siamo veramente il santuario di Dio nel mondo e per il mondo? Apriamo agli uomini l’accesso a Dio o piuttosto lo nascondiamo? Non siamo forse noi – popolo di Dio – diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che nell’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo? Abbiamo motivo di gridare in quest’ora a Dio: "Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa’ che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa’ che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!

Nonostante tutta la vergogna per i nostri errori, non dobbiamo, però, dimenticare che anche oggi esistono esempi luminosi di fede; che anche oggi vi sono persone che, mediante la loro fede e il loro amore, danno speranza al mondo. Quando il prossimo 1o maggio verrà beatificato Papa Giovanni Paolo II, penseremo pieni di gratitudine a lui quale grande testimone di Dio e di Gesù Cristo nel nostro tempo, quale uomo colmato di Spirito Santo. Insieme con lui pensiamo al grande numero di coloro che egli ha beatificato e canonizzato e che ci danno la certezza che la promessa di Dio e il suo incarico anche oggi non cadono nel vuoto.»


 

Il passaggio che abbiamo citato dell’omelia del Santo Padre è stato al centro del commento, il giorno successivo, dello scrittore Ferdinando Camon, pubblicato da Avvenire. Le parole del Papa hanno fatto venire in mente, allo scrittore padovano, «la pietra che segna il confine fra Turchia e Grecia». Racconta poi Camon: «Uscivo in auto dal territorio della Turchia, oltrepassavo la striscia fra Stato e Stato che si chiama "Terra di nessuno", entravo 'nel primo metro di terreno greco, e mi son visto davanti la pietra che annuncia la Grecia: “Grecia, Terra di cristiani”.

Ho guardato a lungo quella scritta, incantato. C'è dunque un popolo sulla Terra che ti accoglie a braccia aperte e per rallegrarti ti avverte: “Qui sei fra cristiani”. Che vuol dire: nella tua religione. Cioè: nella tua fede. Cioè: nella tua cultura. Cioè: nella tua patria. Cioè: nel tuo paese. Cioè: nella tua casa. Cioè, alla fin fine: nella tua famiglia.

I greci sono il popolo che ha introdotto nella storia il concetto di straniero come parlante altra lingua. I greci dicevano che gli stranieri parlano “la lingua delle rondini”. Sto per esprimere un concetto delicato, e non vorrei essere frainteso: per i greci, tu eri fuori casa quando eri fuori della lingua greca; per i romani, quando eri fuori dell'impero; per noi oggi, che viaggiamo spesso, la vera sensazione di essere lontani da casa te la dà il trovarci fuori del cristianesimo. In tal senso (ecco il punto delicato, che non vorrei fosse frainteso), la Turchia ci è più lontana degli Stati Uniti, Istanbul - purtroppo - più di New York. Tu vai a New York e ti senti nel tuo mondo, vai a Istanbul e ti senti in un altro mondo. Ora, che cosa dice il Papa, dicendo che “l'Occidente, noi, Paesi centrali del cristianesimo, annoiati della nostra storia e cultura”, “siamo diventati un popolo dell'incredulità”, e dobbiamo stare attenti a non diventare “un non-popolo”? Dice che la storia, che stiamo. avviando non va nella prosecuzione della storia che abbiamo alle spalle, ma segna una contraddizione. Il disagio, il senso d'insicurezza che avvertiamo nei lunghi viaggi, quando usciamo dalle aree della civiltà cristiana, lo avvertiamo anche in quel viaggio nel tempo che è la vita: settanta, cinquanta, quaranta, trenta anni fa, la nostra vita, la nostra civiltà, la nostra Europa, erano più vincolate al cristianesimo, se allora eravamo un popolo cristiano, la progressiva perdita di valori cristiani rischia di farci diventare un non-popolo. Mezzo secolo fa sarebbe stato inconcepibile per l'Europa il pensiero di darsi una Costituzione in cui non fossero affermate le sue radici cristiane. Perché esse non sono una valutazione ideologica, sono storia.

Ignorare le radici cristiane vuol dire ignorare la storia. Diventare "stranieri a se stessi". Se posso permettermi un altro pensiero rischioso (ma non vorrei che alla fine del discorso fossero troppi), rinnegarsi. Da popolo diventare non­-popolo. Cioè, per coloro che sono giunti alla conclusione della vita, essere nati in una civiltà e morire in un' altra. Non per la forte attrazione di un'altra civiltà, ma, dice il Papa, perché “annoiati della propria storia e cultura”.

È importantissimo il termine "noia", che indica stanchezza e indifferenza … Sono la noia e l'indifferenza a portare un popolo a perdere i suoi valori e diventare un non-popolo


 

Anche il filosofo francese Fabrice Hadjadj, convertitosi al cattolicesimo in età adulta, ha commentato le parole del Papa: «La perdita della fede cristiana non è la semplice perdita di un culto, ma anche di una cultura. Non solo lo smarrimento dell’Eterno, ma pure la dimenticanza della storia. Questo significa che abbiamo svuotato della loro profondità le nostre ricchezze artistiche … e abbiamo svilito le nostre idee etiche: la dignità della persona, il rispetto della libertà o la bontà della carne.

Se l’uomo è annoiato, ciò deriva dal fatto che ha perso il suo vigore. Credendo di raccogliersi, come un fiore, si è spezzato in due. La moder­nità ha trasformato alcuni aspetti della fede cristiana in “valori” e ha messo questi “valori”, separati da Cristo, come in un vaso, proprio come dei fiori recisi. Grazie a questo isolamento, tali fiori possono sembrare, per un attimo, più belli, poi iniziano a morire. Così, il materialismo storico e il progressismo hanno suscitato, all'inizio, un certo entusiasmo. Ma ben presto sono collassati nell'esperienza totalitaria e in un senso ristretto, tipicamente postmoderno, della finitezza dell'uomo. Nel suo umanismo più rivoluzionario l'Europa ha diffuso una speranza mondana, sostituto della speranza cristiana. Ora che tale speranza è morta, il nostro Continente non conosce altro che la disperazione, che cerca di fuggire gettandosi a peso morto nel divertimento dello spettacolo e nei sogni della tecnologia.

Come uscire da questo cortocircuito? Solo ritrovando la vera speranza, quella teologale, che viene dall'Eterno e non dai nostri pronostici. A differenza del fiore, l’uomo ha le sue radici in Cielo. Deve fare l'esperienza della vita eterna per con­tinuare a vivere in maniera incondizionata e a cambiare il deserto in fiume.»


 

Benedetto XVI, dopo aver denunciato la fede stanca di un Occidente annoiato dalla sua storia e dalla sua cultura, ci ha esortato a guardare, in particolare in questi giorni, a Giovanni Paolo II, per riprendere coscienza e vigore.

In occasione della beatificazione di papa Wojtyla i nostri cuori sono colmi di preghiera e di gratitudine al Signore per averci donato questo grande testimone di Dio nel nostro tempo, che ci ha accompagnato per tantissimi anni, ha segnato profondamente le nostre coscienze e «con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura a dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà.»

Lasciamo che per questa settimana il nostro sguardo sia rivolto unicamente a San Pietro. Certi che quanto accade là riguarda direttamente anche ciascuno di noi.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 2 maggio 2011

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