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HOME > La Nota della Settimana > N° 16/2013

LA PARABOLA DEL BUON CAFFÈ

 

Questa settimana vi raccontiamo una simpatica esperienza di una parrocchia trentina. «Secondo un detto popolare, diffuso in varie regioni d'Italia, il caffè migliore è quello ben caldo, che si gusta stando comoda­mente seduti e che ci è stato donato. A ben pensarci, anche le relazioni umane di cui si sente maggiormente bisogno in questi tempi di ano­nimato e di frenesia, hanno le qualità del caffè ideale: nascono dal guardare all'altro con gli occhi del Vange­lo, hanno bisogno di tempi distesi e comodi, non devono essere mossi dal tornaconto o dalla convenienza, ma da una gratuità genuina. Quanto si siano persi, pure in ambienti rurali o montanari, questi atteggiamenti di prossimità evangelica lo rilevava già nel 2006 il convegno ecclesiale di Verona che per la prima volta dedicò un intero ambito alla fragili dei rapporti umani, messi in crisi da individualismo, immaturità affettiva e rifugio nel virtuale. “A fronte di questi aspetti problematici della vita affettiva - si leggeva in una delle tesi - si registra un profondo bisogno di relazioni autentiche e una volontà e desiderio di vivere legami e amicizie significative”.

Da allora non sono mancati gli sforzi per recuperare questa dimensione - si è parlato di pastorale delle relazioni, quasi in antitesi a un eccesso d'iniziative strutturate - con la valorizzazione degli ambienti più "caldi" e spontanei, a partire dal sagrato e dalla piaz­za per arrivare ai soggiorni domestici. Esemplare risulta in quest'ambito la formula dei gruppi-fami­glia … Altrettanto significati­vi sono i tentativi, suggeriti dalla Caritas, di realizzare gruppi di ascolto nei rioni o perfino di condominio che vadano a intrecciare una rete di rapporti solidali. Tra le varie iniziative che la fantasia pastorale ha suggerito in questi anni, una ha propria l'aroma del caffè ed è riuscita a legare la dimensione liturgica della celebrazione domenicale con il quotidiano. È quella varata già due anni fa in una parrocchia della trentina Val di Non, Sanzeno. In che cosa consiste? All'offertorio della messa "grande" delle 10.30 si porta all'altare anche una moka che al termine della celebrazione viene conse­gnata alla famiglia che s'impegna ad usarla almeno una volta durante la settimana per invitare qualche “lontano” a casa. La caffettiera, insomma, come pegno di apertura, stimolo all’ospitalità, occasione di evangelizzazione. Ma non è un caso che si sia scelto un prodotto così trasversale a tante culture e quest'oggetto così tra­dizionale e comune, che un tempo non mancava nemmeno nella valigia degli emigranti italiani in America così come oggi è apprezzato dagli immigrati nel nostro Paese. Un dono, quello della caffet­tiera parrocchiale, che forse può far storcere il naso a qualche liturgista contrario a un eccessivo affolla­mento di simboli sul presbiterio, ma che è stato ben illustrato dal parroco di Sanzeno: “Non vuole essere certo irriverente questo sacramento della moka poiché il riferimento rimane sempre all'Eucarestia, vero e grande sacramento che costruisce la nostra comunione. Ma ci sembrava che potesse esserci anche un segno nuovo ed elo­quente”. Sicuramente provocatorio e intrigante, se è vero che alcuni si sono subito messi in lista per prenotarsela o altri hanno atteso qualche mese “finché ci sentivamo pronti a quello che esigeva”. Risultava chiaro che la preparazione all'accoglienza e all'invito di altri gruppi famigliari non poteva essere né improvvisato, né formale, tanto meno imposto ai figli o altri componenti della propria famiglia.

Quel “vieni a prendere il caffè da noi, che abbiamo la moka della parrocchia ...” è diventato un aggancio utile, talvolta un motivo di riconciliazione o recupero di relazioni interrotte, anche interfamiliari. In alcuni casi è stato un pretesto per trascorrere qualche mezzora in compagnia di persone sole o allontana­tesi dalla partecipazione alla vita ecclesiale. E anche i bambini hanno fatto la loro parte, stimolando i geni­tori a non dimenticare il significato di quella grande moka da cinque tazze.

A fine dell'anno pastorale, col ritorno della caffettie­ra in canonica dopo la permanenza settimanale di casa in casa, il bilancio è stato positivo. “Ne ha fatti molti di caf ... e ha anche suscitato interesse in altre parrocchie, vicine e lontane”. Il parroco non ha messo il copyright sull'idea pastorale, che, ver­rebbe da dire, è "la scoperta dell'acqua calda", da portare a ebollizione con il fuoco dell'impegno per­sonale e familiare.» (da: Segno, mensile dell’Azione Cattolica Italiana, n° 2 / 2013).

Un’esperienza esportabile? Forse. Non è escluso che la nostra creatività potrebbe trovare altre originali iniziative capaci di coltivare relazioni umane significative e durature. L’importante è non lasciar cadere l’invito rivolto da don Andrea, vicario parrocchiale per la pastorale giovanile sul numero dello scorso febbraio di Voce Amica: “continuiamo a cercare vie per le quali vivere relazioni serie ed autentiche all’interno della comunità cristiana” perché  senza relazioni “il rischio è quello di snaturare tutta quanta l’essenza di una comunità cristiana che, al contrario, dovrebbe reggersi anche su relazioni forti e reali, che aiutano il concreto vivere il Vangelo con segni di prossimità e fede.”  

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 22 aprile 2013

 

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