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HOME > La Nota della Settimana > Settimana 12°/2009

In Fiera, pensando alla vera ricchezza

 

Camminare per le strade e le piazze della città, in mezzo a tanta gente, come da sempre accade in occasione della tradizionale Fiera di San Giuseppe, è, già di per sé, motivo di gran festa. Quest’anno i nostri pensieri - in mancanza di iniziative di significativo interesse, capaci di attirare la nostra attenzione - sono corsi alle meravigliose persone e alle belle cose che ci hanno reso cara questo nostra Cernusco. Pensieri accompagnati anche dalle parole scritte dal Sindaco, Eugenio Comincini, nell’editoriale del numero di marzo dell’informatore comunale.

“E’ curioso notare - ha scritto il Primo cittadino - come dalle associazioni alle scuole, dagli imprenditori alle cooperative, dai partiti ai quartieri, ciascuno fatica a inquadrare la propria legittima e importante esigenza in un contesto più ampio, che è quello del bene comune, del bene della nostra città; un contesto fatto di risorse limitate e di priorità da definire.”

La Dottrina sociale della Chiesa ci insegna che “Per bene comune si intende l’insieme di quelle condizioni di vita sociale che permettono ai gruppi e ai singoli di realizzare la propria perfezione” e che “Ogni uomo, secondo il posto e il ruolo che ricopre, partecipa a promuovere il bene comune, rispettando le leggi giuste e facendosi carico dei settori di cui ha la responsabilità personale, quali la cura della propria famiglia e l’impegno nel proprio lavoro.” (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 407 e  410).

Una riflessione che merita certamente di essere ripresa ed approfondita, anche alla luce di recenti autorevoli interventi: la visita del Santo Padre in Campidoglio e il documento dei vescovi dell’Abruzzo e Molise dal titolo “Al servizio del bene comune”.

Questa volta però - ripensando alle origini contadine della nostra borgata e alle motivazioni che indussero gli amministratori comunali negli anni ’20 del secolo scorso a promuovere la Fiera di San Giuseppe - ci limitiamo a raccontarvi una storia - carica di immagini, di simboli e di valori - che da qualche parte abbiamo letto, che ben testimonia del bene comune e nella quale abbiamo trovata rispecchiata la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni. Eccola!

‹Il vecchietto che è seduto davanti all’uscio della sua casa ogni giorno, è diventato un riferimento quasi abituale per quanti vivono nel paese, cosicché si fa volentieri una breve sosta con il caro Giuseppe, per un saluto e per ripetere magari le stesse cose dette e ridette nel tempo “Buon giorno Giuseppe, come va oggi?”. “O figliolo, queste gambe mi fanno tanto male e non posso andare neanche nell’orto.” Questa era ormai la frase abituale che ripeteva a tutti il nostro caro vecchietto, perché negli ultimi tempi era il suo impegno quotidiano, non potendo più andare per le campagne.

Contadino e figlio di contadini, la sua vita aveva un orizzonte quasi tutto campestre, per cui anche la sua esistenza era in riferimento all’evolversi, possiamo dire, delle stagioni.

D’inverno i famigliari lo portavano vicino alla stalla dei buoi, riparato dal freddo, ma in compagnia di ciò che lui più amava ed aveva presente nella memoria, perché, se lo tenevano in casa, era un continuo lamento verso i suoi, accusati di trascurare le bestie: così lui si sentiva l’utile guardiano, a cui i famigliari chiedevano in modo simpatico, se potevano governare o mungere.

Cosa oltremodo curiosa, era quando gli si chiedeva quanti anni avesse. Rispondeva - alzando il suo volto quasi nascosto dalle spalle incurvate e con quella mano rugosa e quasi rattrappita dall’artrosi – facendo un  cenno di diniego e dicendo: “Io non ce li ho gli anni!”. Un modo anche arguto per troncare un discorso che probabilmente non gli andava a genio, ma che nascondeva anche con una certa ironia, come a dire: ormai non li conto più, anche perché abbastanza sordo, non riusciva spesso a capire ciò che gli si chiedeva. Gli piaceva però parlare dei figli e dei nipoti, ai quali aveva promesso un grande tesoro, che avrebbero avuto dopo la sua “transumanza” per la vita eterna.

Una cosa che chiedeva un po’ a tutti era: “Figliolo, ma tu sei contento?”

La sua contentezza era la Domenica, quando lo accompagnavano passo, passo alla vicina chiesa e scambiava un breve saluto con il prevosto, anche questo oltre i settant’anni, ma che era anche il tenutario, come lui diceva, del segreto di quel tesoro, che avrebbe lasciato ai suoi figli e ai nipoti.

E venne così il tempo della “transumanza” del caro Giuseppe, lasciando in quel bianco sasso su cui amava stare, davanti alla sua casa, un grande vuoto, ma anche un grande e bel ricordo per tutti.

Il giorno del funerale eravamo anche un po’ curiosi di sapere se veramente avesse lasciato ai suoi quel famoso tesoro, ma nessuno dei parenti sapeva dirci qualcosa.

Alla breve predica del prevosto, seguirono le istruzioni lasciate da Giuseppe per trovare il grande tesoro. Don Claudio, aperto un foglietto ingiallito dal tempo, lesse in pubblico il testamento che diceva: “Ho promesso un grande tesoro, a voi miei famigliari, ma lo avete già ricevuto, perché restando fedeli alla terra che Dio ci ha donato, non avete disperso le preziose fatiche in inutili ricerche dei beni illusori, ma avete potuto costruire un futuro per voi ed i vostri figli, come abbiamo fatto noi prima di voi, con quella sobrietà e sacrificio che la terra ci ha richiesto ed offerto ogni giorno. Infatti, il tesoro che avete raccolto da questa nostra povera terra è l’amore dell’unità famigliare, l’onestà del lavoro, la semplicità della vita, la pietà per gli anziani, il dovere dell’ospitalità, il reciproco rispetto e aiuto scambievole, e il tutto con la mia benedizione.”

Questa eredità è la vera ricchezza che esprime bene anche un antico proverbio: Contadino, scarpe grosse e cervello fino!

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

 

Cernusco sul Naviglio, 23 marzo 2009

 

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