CernuscoInsieme

Condividi il contenuto di questa pagina con i tuoi amici:

Torna alla pagina precedente

comunità pastorale

voce amica agorà oasi cVillage

piazzetta

dalla città

CernuscoInsieme.it - Il Portale della tua Città

Stai navigando in
HOME > La Nota della Settimana > N° 11/2012

«LA VITA DI UNA CITTÀ
È UN GIOCO A SOMMA “NON ZERO”»

 

Il mandato dei consiglieri comunali è ormai giunto alla scadenza. Per questa sera, lunedì 19 marzo, è convocata, con molta probabilità, l’ultima seduta del “parlamentino” cernuschese. In questi cinque anni il lavoro svolto dai consiglieri è stato senz’altro importante. Prima di addentrarci, nelle prossime settimane, in altre considerazioni, riteniamo utile proporre alcuni passaggi di un interessante discorso tenuto dal vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, al consiglio comunale della sua città lo scorso 3 febbraio. Una riflessione ad ampio raggio, nello stile di questo apprezzato Pastore e teologo, sul compito di un consiglio comunale e sull’impegno dei suoi componenti, che può aiutare a sviluppare qualche riflessione personale.

«Tra i detti che esprimono la saggezza popolare si dice, ad esempio che "ciascun popolo ha i governanti che si merita" e viceversa che "i governanti hanno il popolo che si meritano." Come tutti i detti proverbiali – ha esordito il vescovo Monari - queste espressioni non dicono una legge della vita sociale come se sempre e ovunque le cose accadessero proprio così. Non è vero, naturalmente; ma mi sembra che l'intento di quei detti sia un altro. Come se dicessero: voi, gente del popolo, se le cose non vanno non date tutta la colpa ai governanti; piuttosto chiedetevi che cosa potete fare voi perché le cose migliorino. E reciprocamente: voi, governanti, se le cose non vanno non gettate tutta la colpa sul popolo, ma chiedetevi che cosa potete fare voi per migliorarle.» 

Giochi a somma zero e quelli a somma “non zero”. Monari, dopo aver richiamato il significato di alcune espressioni classiche, ha proseguito spiegando che «ci sono due tipi di giochi: i giochi a somma zero e quelli a somma “non zero”. Nei giochi a somma zero, se uno dei giocatori vince, necessariamente l'altro perde; e quello che il vincitore guadagna è la somma precisa di ciò che perdono gli altri giocatori. È gioco a somma zero il poker o una partita di football; chi partecipa è in lotta con gli altri giocatori (con la squadra avversaria) e deve immaginare una strategia che lo conduca a prevalere, sconfiggendo gli avversari; tutto chiaro. Ma ci sono anche giochi a somma non-zero nei quali la vittoria di uno non comporta la sconfitta degli altri; anzi, può accadere che proprio la vittoria di uno favorisca il buon successo di altri.»

Nel passaggio successivo, il vescovo si è chiesto se «la vita di una città è un gioco a somma zero nel quale se uno vince l'altro perde? O è un gioco a somma “non zero”, dove la vittoria di uno favorisce la vittoria degli altri? Ci sono numerosi giochi a somma zero: le elezioni, ad esempio. Sono in palio un certo numero di seggi da dividere nel consiglio comunale, i diversi schieramenti lottano per conquistare questi seggi; se uno schieramento guadagna alcuni seggi, ne rimangono meno a disposizione degli altri.»

Per monsignor Monari se il funzionamento di un consiglio comunale “fosse un gioco a somma zero l'obiettivo della maggioranza sarebbe quello di eliminare la minoranza, almeno facendola tacere, non prendendo in considerazione le sue posizioni, anzi cercando di ridicolizzarle. E viceversa l'obiettivo della minoranza sarebbe quello di fare cadere la maggioranza a qualsiasi costo, con tutti i mezzi, contestando tutti i suoi provvedimenti, giocando sulle decisioni impopolari che chi governa è costretto a prendere.»

Proporsi il funzionamento migliore del sistema-città - «In realtà - ha continuato il vescovo della Leonessa - ciò che un consiglio comunale deve proporsi è il funzionamento migliore del sistema-città; la formazione di una maggioranza e di una minoranza è funzionale a questo obiettivo. Sarebbe miope la maggioranza che giocasse l'asso pigliatutto dicendo: abbiamo vinto le elezioni, quindi comandiamo noi e non vogliamo che alcuno ci condizioni. Come sarebbe miope la minoranza che giocasse il gioco del "tanto peggio, tanto meglio" e quindi si illudesse di vincere la partita utilizzando questa strategia. Ciò che è male per la città è male per la maggioranza e per la minoranza. Se l'organismo politico o economico è malato, né la destra riuscirà a fare la sua politica, né la sinistra. Chiunque sia al governo non avrà spazi d'azione, ma sarà costretto a usare semplicemente i mezzi curativi, le medicine necessarie. A nessuno conviene dover prendere in cura un organismo malato. E siccome l'alternanza è scritta nella logica della democrazia, la ricerca concorde del bene della città è vantaggio di tutti.»

Monsignor Monari ha però constatato che spesso il comportamento e le dichiarazioni dei politici non sono «motivate dalla ricerca del bene di tutti, ma (sono) dichiarazioni “partitiche” e cioè orientate a far prevalere la propria parte contro la parte avversaria. In questo modo, dopo un po', non ci sono più sorprese: sappiamo in anticipo quale sarà la dichiarazione di ciascun politico perché la dichiarazione non nascerà dallo studio del problema e dalla ricerca sincera delle soluzioni, ma dalla collocazione della persona nello schieramento dei partiti.

Il risultato è che il sistema funziona meno bene: se l'opposizione non collabora con proposte realistiche e se la maggioranza non ascolta seriamente la voce della parte opposta, il risultato è necessariamente un impoverimento della prassi politica e amministrativa. Voglio dire allora che dobbiamo proporre un embrassons-nous generale? Che dobbiamo cancellare ogni traccia di confronto, di lotta, di concorrenza? Certamente no; la società degli uomini non è un sistema chiuso, e il problema non è quello di trovare l'unica soluzione esistente del gioco come se fossimo davanti a uno schema di sudoku o di parole crociate. La società è un sistema aperto, che si protende verso un futuro indeterminato, che tocca all'uomo immaginare, creare, costruire, correggere, riformare, rilanciare. Siamo noi che diamo forma al futuro con le nostre decisioni e i nostri comportamenti.»

Due dimensioni che inevitabilmente si incontrano - L’intervento del vescovo di Brescia, a questo punto, si è allargato ad una ulteriore riflessione, mettendo in evidenza che nella «apertura al futuro ci sono due dimensioni che inevitabilmente si incontrano, si confrontano e si limitano a vicenda. Da una parte il valore del singolo, con la sua responsabilità, creatività, libertà; dall'altra il valore della comunità che unisce in un unico destino gli individui diversi. La vita sociale pone inevitabilmente dei vincoli alla libertà dei singoli; e la libertà delle persone condiziona la vita comune. Anche in questo caso le due dimensioni non vanno intese in una contrapposizione assoluta. Ciascuno di noi può crescere come persona e diventare creativo solo perché ha alle spalle un patrimonio di cultura, di storia, di amore che ci proviene dalle generazioni che ci hanno preceduto e che ci apre straordinarie possibilità di pensiero e di esperienza. Come è stato detto acutamente, siamo nani sulle spalle di giganti. Vediamo più lontano che il gigante sul quale siamo appollaiati, ma solo perché egli ci porta sulle sue spalle. Se rifiutassimo il sostegno del gigante, saremmo ricondotti immediatamente alla statura misera del singolo, con possibilità scarse. Insomma, individuo e comunità si sostengono e si potenziano a vicenda. Se la libertà dell'individuo viene esaltata in modo acritico e assoluto siamo di fronte all'anarchia e l'anarchia non ha mai consentito una vita comune buona. Se il valore della comunità viene proclamato in modo assoluto, cadiamo nel totalitarismo e la dignità personale è umiliata. Si tratta allora di costruire un equilibrio che non sarà mai perfetto e che procederà attraverso oscillazioni. Per questo ha un senso la presenza sullo scacchiere politico di una corrente più sensibile alla libertà personale e una più attenta alla solidarietà sociale. Se queste due posizioni anziché cercare di distruggersi a vicenda cercano di equilibrarsi e correggersi a vicenda il risultato sarà migliore.»

«Bisogna infatti ricordare che il bene concreto è sempre contemporaneamente individuale e sociale, ha aggiunto Monari. È individuale perché i soggetti che debbono vivere bene sono le persone concrete; è sociale perché solo il funzionamento delle realtà sociali (delle istituzioni) può garantire il flusso continuo di beni che sono necessari per le singole persone. Un bene sociale non è autenticamente tale se non produce beni concreti per le persone. Possiamo anche sognare un modello perfetto di stato o di organizzazione o di azienda … ma se lo stato concreto o l'organizzazione concreta o l'azienda concreta non producono effettivamente i beni individuali necessari e utili (il cibo, la casa, il lavoro, la gratificazione affettiva, le relazioni umane autentiche, la libertà, la fraternità …) non sono nemmeno beni sociali. Il loro valore non si misura dalla corrispondenza maggiore o minore con un'idea astratta di stato, organizzazione, azienda, ma con la quantità e qualità di beni umani che riescono ad assicurare nel tempo. Di fatto, può accadere che un'istituzione che in passato rispondeva ai bisogni concreti delle persone, non risponda più alle necessità, diventi auto-referenziale, si preoccupi più di mantenere se stessa che di produrre beni per le persone. In questo caso bisogna essere capaci di riformare le strutture per renderle adatte ai tempi nuovi e alle necessità nuove.

Parallelamente, non è possibile parlare di beni individuali se non mettendoli in rapporto con i beni sociali perché solo nel contesto della società i beni individuali possono essere garantiti. Anche la fruizione più elementare di beni (la colazione che faccio al mattino) è possibile solo all'interno di una struttura economica complessa: il lavoro agricolo, il commercio, la distribuzione, il sistema di controlli sanitari … Al di fuori di questo contesto i beni individuali non possono essere assicurati se non in minima parte e in modo del tutto aleatorio.

Se si tiene presente questo intreccio, si capisce anche che il problema non è quello di sposare un'ottica individuale o un'ottica sociale come se fosse quella giusta, condannando l'ottica opposta. Il problema è invece quello dell'equilibrio, dell'armonia, della sinergia.»

Il vescovo di Brescia ha quindi spiegato che è importante che le decisioni siano corrette e buone” indicando quindi “alcune condizioni” necessarie per ottenere un simile risultato. Ma di questo scriveremo nella prossima Nota.

 

QUARESIMA CON L’ARCIVESCOVO - “Senza la verità legittimata dall’amore alla lunga non viene rispettata la dignità di ogni uomo e di ogni donna”. Con queste parole l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, ha meditato martedì 13 marzo in Duomo i misteri della Via Crucis. “In tempi come i nostri - ha osservato - grande è la tentazione di dire ‘addio alla verità’ per accomodarsi in una sorta di ‘rassegnazione gaia’. Il Cristo denudato diventa allora per noi, soprattutto per i fedeli laici, impegno a edificare, anche in questa nostra società plurale, la civiltà della verità e dell’amore”. “La croce di Cristo - ha aggiunto - fa esplodere la consapevolezza del male morale. Una delle censure più pesanti della mentalità contemporanea è quella che riguarda il riconoscimento del proprio peccato. Tutt’al più quando il disagio diventa incontenibile, se ne tollera un travestimento”. “Chi ha coscienza del proprio peccato, invece, prova dolore dinanzi all’amore del Crocifisso e da Lui mendica liberazione dal male”. Anche nella terza tappa quaresimale della Via Crucis il cardinale ha chiesto di compiere un gesto di penitenza: “Prendiamo fisicamente in mano il crocifisso e contempliamolo intensamente. Come avvenne con Pietro, il suo sguardo ci muoverà a riconoscere il nostro peccato, a provarne dolore, accostandoci al benefico sacramento della riconciliazione”.

 

QUARESIMA IN CITTÀ – La Via Crucis cittadina, al terzo appuntamento, è partita da via San Francesco per poi raggiungere, dopo aver percorso viale Assunta e via Filzi, la chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore. Questa volta la riflessione finale è stata proposta da don Enrico Carulli, vicario parrocchiale di Santa Maria Assunta. “Dio ama l’uomo – ha ricordato don Enrico - al punto da dare la vita e come potete dimostrare a una persona che gli volete bene al massimo modo se non dando la vita per lui? Proprio nella croce l’uomo Gesù dà la vita per il Signore, perché lo ama sopra ogni cosa. Proprio lì c’è l’incontro dell’amore grande. Nella croce noi non contempliamo semplicemente la sofferenza, il dolore, l’angoscia, il male, ma l’amore. Al centro del progetto di Dio sta l’amore. Gesù ci ha insegnato lungo il tragitto della Via Crucis che per combattere il male non c’è bisogno di adoperare il male ma il bene, la misericordia. L’odio, l’invidia hanno portato Gesù in croce.” Il vicario, proseguendo nella su riflessione, ha sottolineato  che “al peccato Gesù ha risposto con l’amore, dimostrando in questo modo inequivocabilmente qual è lo stile di Dio» E ancora «l’amore potente di Gesù segna in modo perenne e universale la storia degli uomini. C’è l’amore grande che ci ha insegnato. Non dovremmo dimenticarlo mai!” “Se ci pensiamo bene - è stato l’ultimo passaggio della riflessione di don Enrico – la morte in croce di Gesù è il massimo dei mali. Ma Gesù ha capovolto ciò che è male facendolo diventare bene, perché l’ha vissuto in modo divino. È morto da Dio, per insegnarci a vivere da Dio. Ecco perché noi adoriamo la croce. Dove non c’è amore, ci ricorda Gesù, metti amore e riceverai amore. Allora la croce di Gesù non è simbolo di sofferenza e di morte ma di amore e di vita e nel nostro quotidiano la croce entra portando ancora vita.”

Il quarto appuntamento per la Via Crucis cittadina è per venerdì 23 marzo, alle ore 21,00 in via Briantea (ex oratorio femminile) per poi raggiungere la chiesa prepositurale, dove a cura dei giovani della comunità pastorale sarà proposta una breve meditazione, rappresentando un testo di Loris Navoni dal titolo “Il cielo oscuro”.  

 

BENTORNATO PADRE EFREM TRESOLDI – Negli scorsi giorni è rientrato in Italia, dal Sudafrica, il nostro concittadino padre Efrem Tresoldi, missionario comboniano. Si appresta ad assumere un incarico di particolare rilievo nell’ambito della sua congregazione religiosa: tornerà a dirigere Nigrizia, importante rivista missionaria, e a occuparsi più in generale dei media dei comboniani. A lui diamo, innanzitutto, il bentornato, certi che, in relazione al suo nuovo incarico, avremo modo spesso in futuro di scrivere di lui.

 

IN CITTÀ – Per la Festa di San Giuseppe 2012, potremmo tranquillamente riscrivere quanto avevamo annotato negli scorsi anni, ma non vogliamo ripeterci. Questa Festa non ci incuriosisce e non ci sorprende più. Nessun evento di rilievo a caratterizzarla, eccezione fatta per il conferimento delle benemerenze civiche! Che quest’anno sono state attribuite a suor Angela Cavenaghi - “per il lavoro apostolico, civile e sociale, svolto per 50 anni da missionaria a servizio dei lebbrosi e tubercolotici del Bangladesh” – a Mario Cicogna - “per il suo impegno nel campo dell’educazione musicale quale indiscusso ed amato maestro di musica di diverse generazioni di nostri giovani” – a Natalina Sozzi, fondatrice e animatrice dell’Auser cernuschese - perché “con gratuità, generosità e professionalità ha dimostrato instancabile dedizione, vocazione e attenzione ai bisogni del prossimo” – al Gruppo comunale di Protezione Civile – perché “ha saputo trasformare l’abnegazione che anima i volontari in efficacia ed efficienza nelle azioni di soccorso, non solo sul territorio comunale”.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 19 marzo 2012

 

Sito continuativamente attivo dal 1 gennaio '01    Best View:  800x600  IE 6