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HOME > La Nota della Settimana > N° 10/2014

UN ANNO CON PAPA FRANCESCO:
LA STRAORDINARIETÀ DELLA NORMALITÀ

È passato un anno da quando il cardinale Bergoglio, dopo le dimissioni di papa Benedetto XVI, è stato eletto suo successore e, in qualità di vescovo di Roma, ha assunto il nome di papa Francesco.
È lo stesso papa a far comprendere chiaramente di non voler fare bilanci dopo un anno di pontificato, non perché non crede nella necessità di una verifica, ma proprio perché ogni quindici giorni compie tale discernimento con se stesso nel sacramento della Penitenza. Un esempio per tutti i cristiani, che da questo sacramento si sono allontanati, più o meno in punta di piedi.

Non vogliamo fare bilanci, anche perché non ci riteniamo all’altezza di un compito così responsabilizzante, al punto da arrivare a giudicare il papa. Possiamo, però, rendere grazie a Dio per questo dono grande e, per certi versi, inaspettato, visto quale era la situazione della Chiesa fino a poco più di un anno fa, prima della storica e umile scelta di Benedetto.
Guardando al modo con cui papa Francesco si è presentato alla Chiesa e al mondo – a partire da quel primo “Buona sera” con cui ha salutato i presenti in piazza san Pietro nel giorno della sua elezione – non ho potuto fare a meno di ripensare al modo con cui Gesù, nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli, viene presentato nello svolgimento del suo ministero. Nelle pagine della Scrittura più volte si sottolinea che agiva “con segni e con parole”.

Anche papa Francesco si è fatto conoscere attraverso “segni” e “parole”. I segni sono quelli che hanno maggiormente stupito, proprio per la loro normalità. Salutare le persone con un semplice “Buona sera”, “Buon giorno”, augurare “Buon pranzo” al termine delle udienze e della preghiera domenicale dell’Angelus, portarsi la propria borsa durante i viaggi e gli spostamenti, utilizzare mezzi di trasporto comuni, risiedere nell’appartamento di Santa Marta, insieme ad altre persone, e non nel Palazzo Pontificio: sono tutti gesti all’insegna della normalità. Non sono gesti eccezionali o straordinari, e il papa l’ha più volte rimarcato, arrivando a dire di non essere un superuomo, ma di fare le cose che fanno tutti gli uomini normali. Anzi, quando ci siamo meravigliati davanti a certi suoi comportamenti, è lui stesso che si è stupito, chiedendosi: ma che c’è di strano in gesti che dovrebbero essere quotidiani? Forse l’avevamo dimenticato e l’avercelo ricordato – per usare un’espressione che compare spesso sulla bocca del papa – “ci fa bene”.

Le parole più ricorrenti nel linguaggio di papa Francesco dicono lo stile con cui ha voluto svolgere e svolge tutt’ora il suo ministero di vescovo di Roma e, in quanto tale, di riferimento per l’intera cristianità. Tra le molte espressioni, tre termini ricorrono continuamente: “misericordia”, “tenerezza”, “perdono”. Fin dal suo motto episcopale – tenuto anche nello stemma papale – Francesco ha voluto sottolineare quello sguardo di misericordia con cui Dio, così come aveva scelto Matteo il pubblicano tra i suoi discepoli, ha guardato e ha chiamato anche lui – Miserando atque eligendo – e non manca occasione per ricordare come questa misericordia di Dio è accessibile a tutti e la si riceve proprio nel gesto del perdono: “Il Signore mai si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. La “tenerezza”, poi, quella con cui Giuseppe ha custodito il piccolo Gesù e Maria sua madre nei giorni della sua vita terrena – era proprio il 19 marzo il giorno dell’inizio del suo pontificato – è la stessa che papa Francesco mostra quando abbraccia nei piccoli, nei poveri e nei sofferenti “la carne di Cristo”, o meglio, “Cristo nella sua carne”.

Accanto a queste parole, Francesco ne ha aggiunte spesso delle altre: la “chiacchiera”, la “carriera”, lo “scarto”. Sono mali che toccano la società civile, ma che si insinuano anche nella vita della Chiesa, quando scende a compromessi con la mondanità spirituale e si ripiega in se stessa. Anche in questo caso gli interventi – in opere e in parole – sono stati molti: dalla scelta delle sue prime visite apostoliche (a Lampedusa e in Sardegna) all’esortazione apostolica Evangelii gaudium, scritta con il linguaggio e la cifra della “normalità”. Forse avevamo caricato sulla figura del papa attese e immagini che non gli erano proprie. Papa Francesco ci ha ricondotto alla semplicità evangelica. A un anno di distanza, evitiamo di caricare sulla sua persona aspettative inopportune e cerchiamo, piuttosto, di diventare anche noi cristiani “normali”, perché vivono l’“ordinaria straordinarietà” del Vangelo.

Buona settimana!
Don Ettore Colombo

Cernusco sul Naviglio, 17 marzo 2014

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