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HOME > Le Interviste > 25 Giugno 2015

Prete per sempre!
Quattro domande ciascuno ai nostri preti

Giugno mese di anniversari di ordinazione sacerdotale. Voce Amica ha preferito far parlare ciascuno dei sacerdoti che celebrano un anniversario significativo anziché far parlare altri di loro ponendo quattro domande le stesse quattro domande. Non certo per metterli a confronto, quanto, sentendo riecheggiare espressioni care come ricordi, per cogliere, nella diversità delle risposte, quanta ricchezza sia stata messa a nostra disposizione. Le quattro domande sono:

1 che cosa oggi ti conferma, dandoti gioia, che anni fa hai fatto la scelta giusta dicendo di si al Signore che ti chiamava?

2 che cosa si aspetta un sacerdote dalla sua comunità?

3cosa suggeriresti ad un giovane che si interroga sul futuro cercando la propria vocazione?

4tra i tanti, avrai sicuramente un aneddoto da raccontare che ti faccia (e ci faccia) sorridere ancora oggi ...

 

Il Signore mi ha reso molto felice


don Andrea Ferrarotti - Festa agli Oratori 2007

DON ANDREA FERRAROTTI È PRETE DA 20 ANNI.

È STATO CON NOI DAL 2004 AL 2013 GUIDANDO LA PASTORALE GIOVANILE DI SACER E DIVIN PIANTO E, CON IL COSTITUIRSI DELLA COMUNITÀ PASTORALE, ANCHE DELL’ORATORIO PAOLO VI. È ORA PARROCO DELLA COMUNITÀ PASTORALE DI CUSANO MILANINO

Rispondere, con estrema sollecitudine, in 24 ore, a una mail che ti chiede un aiuto per “Voce Amica” è sempre un piacere e si trova certamente una mezz’oretta per scrivere! Come diceva una vecchia pubblicità: tutto può avere il suo costo, ma scrivere con sollecitudine a chi ti ha sempre detto che eri in ritardo, non ha prezzo! Dunque scrivo con vivissimo piacere!

1 Cosa, dunque, mi fa capire, 20 anni dopo, di aver fatto la scelta giusta? Direi così: la felicità. In questi 20 anni di ministero il Signore mi ha reso, sempre, molto felice. In tutte le esperienze che ho fatto fino ad ora. Ben 9 anni di questa grande felicità e serenità interiore sono merito di tutti i cernuschesi, quindi avete parte diretta in questo mio sentire che ho risposto, a suo tempo, ad una Voce che mi ha permesso di compiere la scelta giusta. Al di là della esperienza nella vostra Comunità pastorale, devo però riconoscere che il Signore mi ha sempre dato il centuplo promesso, come dice lui stesso “in fratelli, case, campi e … persecuzioni”, se accettiamo che anche le fatiche del ministero siano chiamate con questo nome, da utilizzare, quindi, nel senso non letterale del termine ma solamente in senso figurato. Insieme alla gioia direi anche la pienezza di vita che mi fa sperimentare ogni giorno. Io sento di avere una vita piena, che si realizza, giorno concrete, negli accompagnamenti che vivo, rispetto a tanta gente, nelle comunità che servo.

Oggi Cusano Milanino e, prima, Cernusco ed Erba. Credo che questa sia una vera grazia. Incontro molta gente insoddisfatta, gente che è sempre inquieta perché cerca un di più che non ha. Io, al contrario, mi sento molto tranquillo e pienamente realizzato. Credo che questo sia un segno molto forte e molto evidente con il quale il Signore mi fa capire che il discernimento operato negli anni della mia giovinezza, mi ha fatto fare la scelta giusta. Scelta che rinnovo ogni giorno nella preghiera e, soprattutto, nella celebrazione dell’Eucarestia, che sostiene il cammino di fedeltà a cui tutti, sebbene in diversi modi, siamo chiamati.

2 In prima battuta verrebbe da dire che si aspetta che tutta una comunità sappia seguire il Signore. Ma, appunto, in prima battuta. Se mi fermo seriamente a pensare cosa ciò significhi mi vengono in mente moltissime altre aspettative. Mi aspetterei che i bambini, i ragazzi, i giovani possano fare una esperienza concreta dell’amore e della vicinanza di Cristo, in una parola, esperienza dell’incontro con lui. Mi rendo conto che, per moltissimi, non è così. A volte vedo dei giovani che sono proprio allo sbando, come “pecore senza pastore”, e mi domando come fare ad entrare in relazione con loro. Poi mi aspetterei che gli adulti possano interessarsi al Signore. Sono in stretto contatto, ogni giorno, con molti adulti, con molti genitori, e mi rendo conto del vuoto spirituale che c’è nella loro vita. Una vera pena! Il che spiega il perché non ci sono, non sono presenti in molti ambiti e in molte scelte della vita comunitaria. Oppure il perché di alcune carenze nell’educazione, di fede e non solo, dei loro figli. Poi mi aspetterei che gli anziani fossero davvero una riserva di saggezza e un punto di riferimento per la vita di tutta la parrocchia. E mi aspetterei che i malati fossero la parte che, con la partecipazione al mistero della sofferenza, attira benedizione su benedizione su tutti noi. Poi mi aspetterei che ci fosse una condivisione e una partecipazione attiva alle incombenze pratiche della vita della parrocchia, incombenze che spesso intasano la vita del parroco e lo distolgono dall’oggetto primario del suo ministero.

Poi… poi mi fermo e mi domando: e che cosa si aspetta la gente da me? E qui le risposte sarebbero moltissime! Forse, rispetto ai 20.000 abitanti della mia comunità, direi che ci sono 20.000 aspettative diverse. E forse, quando ero a Cernusco, le aspettative erano 30.000… insomma, anche la gente ha un mare di aspettative…

Se impostiamo così la questione rischiamo di perderci, l’uno rispetto alle aspettative dell’altro.

Allora direi così: auguriamoci tutti di essere fedeli al Signore. Auguriamoci tutti di essere pronti a fare quel piccolo passo di fede che spetta a ciascuno. Allora costruiremo qualcosa che rimane, come pietra di riferimento, in ciascuna nostra comunità.

3 Io consiglierei a tutti di guardare alla propria vita come ad una esperienza vocazionale!

Credo, in questo senso, di aver molto lavorato quando ero a diretto contatto con i giovani e spero di essere riuscito a lasciare nel cuore di ciascuno questa domanda: cosa posso fare, io, nella mia vita? Cosa chiede il Signore a me, per realizzare quel progetto di felicità che ha per tutti? Cosa posso fare io per donare la mia libertà e la mia intelligenza perché ottenga quella pienezza di vita a cui il Signore mi chiama? Credo che la risposta possa essere trovata solo nella preghiera, nel raccoglimento e, soprattutto, nella forza dell’Eucarestia e della Confessione. Direi quindi ad ogni giovane di avere una sua dimensione spirituale, di scegliere un direttore spirituale, di andare a Messa spesso. Dio parla attraverso queste cose, oltre che attraverso gli avvenimenti di ogni singola esistenza, sui quali occorre fare discernimento!

Credo che questa “ricetta” che non è mia ma è, in ultima analisi, di Sant’Ignazio di Loyola, sia un ottimo modo per impostare la propria vita come vocazione. Cosa che consiglio, davvero a tutti.

4 Un aneddoto da raccontare… ce ne sarebbero centinaia. Ma rischiano di essere capiti solo da coloro che hanno preso parte ad una scena, ad un avvenimento, solo da coloro che possono ricordare una determinata circostanza e calarsi, di nuovo, in essa. Per non fare torto a nessuno, per non fare nomi, lascerei a voi il compito!

Ciascuno cerchi di ricordare una circostanza, un momento bello, una cosa ilare che è capitata quando il Signore ci ha donato di vivere insieme. Così ciascuno potrà sorridere ricordando quel singolo episodio. Io, questa sera, terminando il mio articolo e recandomi in chiesa per la compieta, ne avrò senz’altro più di uno, o forse più di mille… Forse centomila!

Grato ancora a ciascuno di voi, chiedo una preghiera per il mio 20°.

don Andrea Ferrarotti

 

 

Sperimentare la grazia della paternità di Dio


Don Matteo Invernizzi nella sede del CEDUC
(Centro de Educação para o Trabalho Virgilio Resi).

DON MATTEO INVERNIZZI, NOSTRO CONCITTADINO, È PRETE DA 10 ANNI NELLA “COMUNITÀ DI SAN CARLO”.

SI TRASFERIRÀ A BREVE A SANTIAGO DEL CILE PER UN PERIODO DI APPRENDIMENTO DELLA LINGUA PER POI ESERCITARE IL MINISTERO, CON ALTRI MEMBRI DELLA COMUNITÀ, IN SUDAMERICA

 

1 Sono entrato in seminario nel 1999. Avevo incontrato alcuni sacerdoti della Fraternità san Carlo ed ero rimasto affascinato dalla paternità che vivevano con me e con i miei amici. Erano capaci di ascoltare, correggere, ma anche di sdrammatizzare e rendere leggeri i pesi della vita. Soprattutto, erano amici tra di loro.
Non stavano con noi per riempire un vuoto affettivo, o per svolgere un incarico; tutto in loro era passione per comunicare che Cristo era la ragione della loro vita, della loro amicizia, e anche della nostra.
Appena ordinato sacerdote, per sette anni ho lavorato come vicerettore educando i giovani seminaristi. Nel tempo, con gioia e stupore, ho visto che riaccadeva con loro quanto, a mia volta, avevo sperimentato da giovane: rapporti di paternità vera, in cui i ragazzi crescevano e maturavano, stringendo rapporti di vera amicizia tra di loro e con il Signore. Non c’è gioia più grande per un sacerdote che sperimentare la grazia della paternità di Dio verso coloro che gli sono affidati.

2 Quando leggo le lettere di san Paolo, rimango sempre colpito dalle accorate esortazioni che fa alle comunità: “Lasciatevi riconciliare con Dio!” (2 Cor 5,20) oppure “Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio” (2 Cor 6, 1).
Penso che ogni sacerdote, nella sua vocazione, riceva un grande dono e non desideri altro che condividerlo con altri. Quando la comunità si apre a questo dono – che è lo Spirito Santo, la presenza stessa di Dio tra di noi come comunione e amicizia – allora tutto fiorisce, il sacerdote e la comunità. Quando, viceversa, il dono è trattenuto, o non è accolto, ecco che la tristezza e la solitudine si impossessano tanto del sacerdote quanto della comunità. Non resta allora che supplicare Dio perché mandi ancora il suo Spirito di gioia e riconciliazione.

3 Come dissero Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: “Non abbiate paura! Cristo non toglie nulla e dona tutto!”. Sia per chi è chiamato alla verginità che al matrimonio, la vera questione è accettare il dramma del rapporto con Cristo. Un rapporto vero, autentico e personale, fatto di silenzio e preghiera (cioè di ascolto e di parola). Non avrei mai scoperto la mia vocazione se non fossi passato attraverso lunghi mesi di incertezza e interrogativi, aggrappato alla preghiera del rosario - come avevo visto fare a mia nonna da piccolo – e alla fedeltà alla messa quotidiana. Quel tempo così drammatico è stato in realtà tra i più fecondi della mia vita, perché mi ha costretto ad andare alla radice delle cose, degli affetti, delle speranze. Lì ho trovato Dio, al punto da scoprire che valeva la pena stare con lui per sempre, mettendosi a sua disposizione come sacerdote.

4 Ricordo una volta di essere tornato a casa per pochi giorni. Ero già prete da qualche anno, e andavo piuttosto fiero delle responsabilità che avevo verso i giovani a me affidati: insegnavo loro a pregare, li aiutavo a discernere la loro vocazione, li vedevo fiorire. Una sera, di ritorno da una giornata intensa, incontro mio padre che mi aspettava. Ero già pronto a raccontargli i successi della giornata, quando lui, con fare serio, mi disse: “ Oggi ti sei ricordato di celebrare la messa e di pregare?”. Lì per lì sono rimasto un poco indispettito. In fondo ero io il prete, quello che doveva ricordare agli altri i propri doveri religiosi. Poi ho sentito una grande gratitudine verso mio padre: come spesso accade, se pur in modo brusco, aveva colto l’essenziale. Infatti, a cosa sarebbero serviti tutti i miei incontri se non avessi affidato a Dio le persone incontrate? Non era forse questa l’unica grande opera che il Signore mi aveva affidato? Così ho scoperto che, anche se tutti chiamano i sacerdoti “Padri”, noi rimarremo per sempre figli di coloro che ci hanno generato e continuamente ci aiutano a tenere lo sguardo verso Colui che solo è Padre di tutti.

don Matteo

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